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Richard Avery – I Sacrificabili (Sacri 1-4)

Ho già avuto diverse occasioni di elogiare la vecchia fantascienza per il suo coraggio e la sua creatività: non c’era idea che le fosse aliena, non c’era argomento che non tentasse di sviluppare, non c’era strada che non provasse ad esplorare. Non si appoggiava alla sicurezza del «già visto e provato» ma prendeva ogni storia come l’occasione per sperimentare, proprio perché ogni tema era abbordabile: in altre parole, non c’era la correttezza politica, non c’era il timore di offendere qualcuno (e qualcuno che si vuole offendere lo si trova sempre, per qualsiasi cosa), non c’era l’imperativo di includere e diversificare solo per fare contenti gli scalmanati dell’inclusione e della diversità ad ogni costo, non c’era il bisogno di apparire impegnati affrontando gli argomenti di attualità dalla parte del pensiero unico alla moda.
Gli autori erano liberi – o come tali agivano – e scrivevano davvero di tutto. Così spuntavano opere meritevolissime che però, nella sterminata produzione di libri tutti altrettanto validi dell’epoca, rischiavano persino di restare nell’oscurità, come nel caso dei quattro volumi della serie degli «Expendables» o «Sacrificabili» di Richard Avery, pseudonimo dello scrittore inglese Edmund Cooper, già noto in Italia. Che, per carità, non saranno pietre miliari della fantascienza ma si leggono scorrevoli e mantengono ogni promessa: avventura, pericoli, ritmo ed uno stile secco, senza mezze parole né peli sulla lingua, come vedremo.
Il bel coraggio della vecchia fantascienza, appunto.

La colonizzazione dello spazio
Pubblicati in rapidissima successione tra il 1975 ed il 1976, i quattro libri della serie dei Sacrificabili sono ambientati tra il 2071 ed il 2080 circa e raccontano le avventure dell’equipaggio della Santa Maria, il primo razzo finanziato dalle Nazioni Unite per esplorare e rendere sicuri nuovi pianeti colonizzabili dall’umanità futura, che avrà bisogno di una valvola di sfogo per la sovrappopolazione, una delle litanie apocalittiche care alla fantascienza dell’epoca – che iniziava a preparare i lettori alla tirannia del governo unico mondiale – e da allora mai più abbandonata, anche se di spazio sulla terra ce n’è in abbondanza per tutti, e così di risorse. Non di libertà, purtroppo, che è sempre meno: soprattutto la libertà di espressione. Ma è un altro discorso, che esula dal tema odierno.
Ogni volume affronta quindi le insidie di un singolo pianeta, dichiarate già nel titolo: così «I vermi della morte di Kratos» (The Deathworms of Kratos, 1975) è dedicato alla forma di vita dominante dell’omonimo pianeta; «Gli anelli di Tantalo» (The Rings of Tantalus, 1975) narra invece l’incontro dei protagonisti con i resti di una civiltà aliena; «I giochi mortali di Zelos» (The Wargames of Zelos, 1975) descrive il primo vero contatto con gli alieni, che però sono anche identici a noi; ed infine «Il veleno di Argo» (The Venom of Argus, 1976) passa in rassegna i mille pericoli di un pianeta che a tutta prima parrebbe un paradiso. Tra l’altro, scalda il cuore constatare che ai pianeti esplorandi vengono ancora assegnati nomi classicheggianti di ispirazione greca, invece di ricorrere alle lingue, popolazioni o leggende più oscure e meno rilevanti della storia umana, come invece piace fare oggi.
Ma ogni volume è anche il sogno dell’adolescente cresciuto a pane e space opera, perché le storie trascurano gli aspetti noiosi e marginali come l’introspezione e le scoperte meno che sensazionali per gettarsi invece immediatamente in quello che conta davvero, ossia l’esplorazione, la valutazione dei pericoli e, dopo una serie di vicende che solitamente costano la vita ad un paio di membri dell’equipaggio troppo superficiali nei loro doveri, alla loro risoluzione, in genere violenta e decisiva. Persino Patton si sarebbe commosso.
Tuttavia, se da un lato questa formula ha il pregio di tenere incollato il lettore (ogni libro si divora letteralmente), dall’altro paga in caratterizzazione dei personaggi, che sono giusto abbozzati: con l’eccezione dei tre protagonisti, presenti in tutte e quattro le avventure (il comandante James Conrad, un’autentica testa di mandolino; la sua vice, la tenente medico Indira Smith; e l’ecologo nigeriano Kurt Kwango), gli altri quattro membri di ciascuna spedizione sono dei burattini che servono bene il loro scopo, per lo più mettere in luce i pericoli del pianeta e le doti dei tre protagonisti. Non che si senta il bisogno di più spessore – queste storie sono prima di tutto azione e poi avventura, e lo dichiarano già dai titoli – ma è bene eliminare ogni dubbio circa l’ingrediente principale dei Sacrificabili prima di cimentarsi con la serie: se si cercano i grandi interrogativi, i dilemmi personali, l’introspezione e la maturazione dei personaggi è meglio guardare da un’altra parte perché qui proprio non ce n’è traccia.

Tre protagonisti, quattro comprimari e sei robot
Ciò non toglie che, nel caso dei tre protagonisti, Cooper non tenti almeno di renderli un po’ più reali, tridimensionali, approfittando del loro ruolo di spicco e delle ripetute apparizioni di avventura in avventura: ma alla fine nonostante le biografie più ricche i personaggi rimangono identici a com’erano all’inizio, forse solo con un briciolo di umanità in più, almeno per il comandante James Conrad.
E proprio da lui, in quanto protagonista principale, è necessario partire per presentare i Sacrificabili, così chiamati perché le loro vite non valgono niente: sono tutti rifiuti umani – per lo più criminali, terroristi ed assassini le cui pene sono state commutate – arruolatisi volontariamente nel «Sacri» dell’Onu («Servizio Accertamenti Colonizzazione e Ricerche Interstellari») o «ExPEND» nell’originale inglese (Extra-Solar Planets Evaluating and Normalising Department), che attribuisce una sfumatura leggermente meno fatalista al nomignolo di «Expendables»; anche nella traduzione italiana c’è un tentativo di salvare la stessa associazione tra «Sacri» e «Sacri-ficabili» ma il legame non è subito evidente.
Il compito di questi pionieri dello spazio (sette per spedizione) è di esplorare e rendere colonizzabili pianeti che le sonde automatiche hanno giudicato adatti all’uomo perché dotati di gravità e atmosfera simili a quelle terrestri: ma dati i costi elevatissimi delle missioni, avversate da molti a livello politico, i Sacrificabili non possono permettersi di fallire. La missione quindi è più importante delle loro vite: da qui il titolo.
Nel caso del comandante James Conrad il servizio presso il Sacri invece è solo un’occasione di riscatto personale, perché poco prima di essere coinvolto nel programma era stato congedato malamente dalla marina spaziale a causa di una missione di salvataggio fallita che aveva compiuto contravvenendo agli ordini ricevuti: nell’operazione aveva salvato due membri della nave in avaria (poi morti per le radiazioni) ma a costo della vita di quattro dei suoi spaziali; in più lui stesso aveva perso un braccio e un occhio, ora sostituiti da un arto bionico ed un occhio all’infrarosso, elementi chiave in tutte le avventure. Conrad, un inglese, è il classico ufficiale inflessibile dal carattere impossibile, che non familiarizza con i sottoposti ed esige una disciplina ferrea: severo ma giusto, non si tira però mai indietro dal pericolo.
Già nel primo libro inizia una relazione intima con la tenente medico anglo-indiana Indira Smith, la vice in comando, che prosegue per tutta la serie ma, ovviamente, mai in servizio: lei pure è una mutilata con protesi bioniche, perché quando ancora prestava servizio umanitario in Sud America un gruppo di ribelli l’aveva catturata, poi seviziata ed infine le aveva amputato entrambe le gambe, ora rimpiazzate da arti meccanici più efficienti. Dopo aver fallito un tentativo di suicidio è entrata nel Sacri in risposta ad un’inserzione sul giornale.
Il terzo protagonista, e di gran lunga il più convincente dei tre, è l’ecologo nigeriano Kurt Kwango, per metà germanico (da qui il nome), un criminale già condannato per tentato omicidio, lesioni gravi e violenza carnale: è anche il membro dell’equipaggio di gran lunga più intelligente e pertanto quello al quale Conrad affida sempre il compito di mettere assieme gli elementi raccolti dalla spedizione, sviluppare una teoria sull’ecologia del pianeta ed individuare il tipo di intervento più efficace per risolvere ogni minaccia.

I continui bisticci tra Conrad e Kwango
E proprio il rapporto tra Conrad e Kwango è anche l’elemento più singolare di tutta la serie: perché tra i due è un bisticcio verbale continuo che, trattandosi degli anni Settanta, sconfina rapidamente nel campo degli insulti razzisti. Oggi un lettore farebbe appena in tempo dirsi indignato dagli epiteti impiegati prima di collassare a terra in preda alle convulsioni e al pianto isterico; all’epoca invece il lettore era ancora in grado di capire il contesto e leggere tra le righe: perché al di là delle continue bordate il loro rapporto e la dipendenza dell’uno dall’altro indicano uno sconfinato rispetto reciproco. Non si stanno offendendo: si stanno divertendo.
Quel continuo punzecchiarsi vicendevolmente – persino i rimbrotti razzisti – è infatti il modo in cui due uomini dal carattere forte, entrambi dotati di grande intelligenza e competenza oltre che consapevoli tanto del proprio valore quanto di quello dell’altro, mostrano il rispetto reciproco ma senza dirlo apertamente, per non apparire deboli: in altri termini, ciò che pensano è l’esatto contrario di ciò che dicono ma, per una questione di carattere, lo nascondono con le parole. Da ogni siparietto infatti trasuda il rispetto reciproco, dimostrato anche dalle azioni, perché in più occasioni l’uno non esita a rischiare la vita per trarre in salvo l’altro.
Non si tratta quindi di razzismo ma di un atteggiamento, addirittura di cameratismo: basti dire che quando, nell’ultimo volume, dopo l’ennesimo bisticcio tra Conrad e Kwango una neorecluta (una tale Mirlena) chiede a quest’ultimo se Conrad sia razzista, il nigeriano risponde: «Sì, Mirlena, è razzista (…) Quel bastardo bianco è naturalmente razzista…razzista umano. Lui è per la razza umana. Ecco tutto».

Il resto dell’equipaggio
E così si arriva agli altri quattro membri di ciascuna spedizione, che non sono mai abbastanza importanti per essere ricordati: sono tutti volontari con una specializzazione utile al successo della missione, come conoscenze nel campo della biologia o degli esplosivi. Il loro compito principale è mostrare che i pericoli dei diversi pianeti sono reali, ed infatti alcuni di essi ci lasciano le penne durante l’avventura mentre altri sono così fortunati da tornare persino sulla terra ed essere poi assegnati ad altri compiti, come addestrare l’equipaggio del secondo razzo del Sacri, del quale si parla in una nota e poi si perde ogni traccia.
Completano infine il cast sei robot senzienti, abbastanza da comprendere ed eseguire gli ordini ma non da prendere l’iniziativa autonomamente: anzi, nel quarto libro si viene a sapere che la missione di un altro razzo è terminata in una catastrofe proprio a causa dell’impiego di un modello più evoluto di robot interamente senzienti.
Dietro insistenza di Conrad, i sei automi che accompagnano sempre la Santa Maria sono di un modello più vecchio ma affidabile e, sebbene gli esemplari distrutti vengano via via sostituiti, si chiamano sempre con gli stessi nomi: i quattro evangelisti più Paolo e Pietro, che è il dominante. La loro funzione non cambia mai: svolgere compiti ripetitivi o troppo pericolosi per gli umani, equivocare le battute di Conrad e mostrare un efficientismo tecnologico tipico dell’epoca che include le due espressioni più ricorrenti nei libri, ossia «decisione registrata, segue esecuzione» e «(tempo stimato) più o meno il dieci per cento».

I quattro volumi
A questo punto integro la recensione con i riassunti, più brevi del consueto, dei quattro volumi: per le conclusioni rimando al fondo dell’articolo.

1) I vermi della morte di Kratos (The Deathworms of Kratos, 1975)
Dopo la lunga parte introduttiva – che con un buon ritmo ed una serie di flashback alternati alla storia principale presenta i protagonisti, le loro motivazioni e altre amenità dell’addestramento – la storia entra subito nel vivo: i sette Sacrificabili sono già in orbita attorno al pianeta Kratos, a sedici anni luce dalla terra. Per ragioni superscientifiche hanno dovuto compiere il lungo viaggio a velocità superluminale in animazione sospesa (lo stesso avverrà anche nei volumi successivi): sono stati appena rianimati dai sei robot di bordo e già rischiano di perdere uno dei loro, Kurt Kwango, l’ecologo. Prima della partenza infatti il nigeriano aveva evitato l’iniezione di antigelo nel sangue: e così al momento del risveglio subisce un arresto cardiaco. Lo salva solo un trapianto d’emergenza da parte della vicecomandante, il tenente medico Indira Smith.
Scesi finalmente su Kratos, in poco tempo i nostri ne scoprono la principale minaccia: i «vermi della morte» del titolo, dei serpentoni lunghi un centinaio di metri e grossi in proporzione che divorano e distruggono tutto quello che incontrano. Va da sé che rappresentano una seria minaccia per i futuri coloni.
Dal momento che il tempo è denaro, i Sacrificabili iniziano subito le loro indagini, che per mesi non portano a niente, finché un giorno non hanno occasione di osservare il rituale di accoppiamento di questi serpentoni, che culmina in una battaglia campale tra due opposti nidi e l’apparizione della regina soccombente, ancora più grande e spaventosa dei suoi cuccioli. Così quella notte, penetrando di nascosto nel nido e facendo esplodere la regina con uno stratagemma, i Sacrificabili costringono i pochi vermi superstiti ad emigrare in cerca di altri nidi, lontano dall’area designata per la prima colonizzazione del pianeta (un milione di chilometri quadrati: tre volte l’Italia, abbondanti): con l’arrivo dei primi emigranti la loro missione è finalmente conclusa.
L’esplorazione di Kratos costa un morto e due feriti gravi (uno perde un braccio, un altro viene congedato dal servizio per lesioni al cervello): ma alla fine da quel gruppo raccogliticcio di rifiuti umani che erano, i superstiti sono diventati così uniti che, nel breve epilogo, tutti rifiutano posti migliori pur di restare nella squadra.
Un bel libro, che non solo è veloce e pieno d’azione ma serve anche benissimo come introduzione alla serie.

2) Gli anelli di Tantalo (The Rings of Tantalus, 1975)
Episodio inferiore al precedente ma comunque ottimo: i Sacrificabili vengono mandati su Tantalo, a cinquantaquattro anni luce dalla terra. Il pianeta è abitabile ma le sonde hanno individuato un grande pentagono di origine chiaramente artificiale – è formato da sei cerchi (uno sta al centro) – sul quale l’equipaggio deve concentrare le indagini.
Appena giunti nella zona i nostri si imbattono nel relitto di un’enorme astronave distrutta da un missile, che orbita ancora attorno al pianeta: la esplorano prima di scendere sulla superficie ma a bordo non trovano niente di utile. Scesi così a terra, si presenta un problema più urgente: è infatti arrivato un messaggio che informa Conrad che tra le quattro reclute (oltre a lui, della spedizione precedente rimangono solo la Smith e Kwango) potrebbe esserci un traditore, un agente dei paesi poveri che vuole far fallire la missione e con essa il costosissimo programma spaziale. Conrad forza la situazione e spinge la terrorista (americana) a gettare la maschera: ma è così convincente che crea problemi personali anche gravi tra gli altri membri dell’equipaggio.
Intanto i nostri devono difendersi dai continui attacchi di esseri umanoidi con la coda: solo che, ucciso il primo, scoprono che in realtà non si tratta di creature vive ma di robot avanzatissimi, ricoperti addirittura di pelle artificiale. La storia prosegue senza autentici colpi di scena né veri pericoli fino al combattimento finale, quando i robot attaccano in massa il perimetro difensivo della nave: adesso sono armati di armi pesanti, missili inclusi, con i quali alcuni giorni prima avevano fatto a pezzi un esoscheletro ed il Sacrificabile che lo pilotava. Alla fine della battaglia i nostri hanno la meglio, sempre grazie ad un colpo di matto di Conrad.
Eliminata così l’opposizione, i superstiti possono investigare gli anelli: ma la struttura è zeppa di trappole, che esplodono quando un Sacrificabile si introduce nel complesso per esplorarlo. Dalle rovine ancora fumanti Kwango deduce che si trattava di una città abbandonata da tempo immemorabile, costruita dagli esuli di un lontano pianeta: probabilmente erano cittadini di serie B che erano fuggiti ma erano stati inseguiti e attaccati dai cittadini di serie A; il relitto in orbita potrebbe essere la nave degli inseguitori. Nello scontro i due schieramenti devono essersi sterminati a vicenda: solo la loro città ed i loro robot guardiani sono rimasti a testimonianza della loro civiltà, chiaramente molto più progredita della nostra.
Liberato il pianeta, che è fertile e accogliente, nove mesi dopo l’arrivo dei Sacrificabili arrivano anche i primi coloni.
La storia è meno avvincente della precedente ma ha tutto quello che serve per piacere: buone idee, stile secco, narrazione fissa sull’esplorazione e sull’avventura.

3) I giochi mortali di Zelos (The Wargames of Zelos, 1975)
L’unico libro davvero deludente della serie: manca tutto quel senso di mistero che aveva fatto brillare i due precedenti episodi. Il cardine della storia è lo sbarco dei Sacrificabili su un pianeta abitato da umani primitivi ma perfettamente identici a noi, come spunto per una riflessione da birreria sull’origine dell’umanità: le due teorie proposte dai protagonisti ipotizzano l’esistenza di una razza superiore agli umani col pallino del giardinaggio, perché prende piante che ci sono note, le incrocia tra loro e le dissemina ovunque ritenga ci siano le condizioni favorevoli per la crescita. Così, tanto noi terrestri quanto gli abitanti di Zelos e di chissà quanti altri pianeti ancora sconosciuti saremmo esperimenti di questa razza aliena, che non si è ancora manifestata.
Dopo l’arrivo sul pianeta, il primo contatto con gli zelosiani non è dei più felici: per catturare un esemplare vivo da studiare, i Sacrificabili fanno strage dei suoi compagni; ma così – chi l’avrebbe mai detto – si inimicano tutti gli indigeni, la cui cultura sembra essere altomedievale ed estremamente violenta,
Gli zelosiani credono infatti nel valore individuale: per fare qualsiasi cosa devono guadagnarsene il diritto tramite il combattimento a morte (persino per procreare: ma ha poco senso, perché i fallimenti servirebbero solo a ridurre ulteriormente la popolazione, sino all’estinzione). Così la società è estremamente crudele: non selvaggia né malvagia ma semplicemente violenta; e per certi versi persino più civile della nostra.
Il culmine di queste pratiche violente è rappresentato dai giochi mortali del titolo, lo strumento che ha permesso di estirpare la guerra dal pianeta: le poche decine di migliaia di abitanti di Zelos popolano infatti una manciata di città riunite sotto un impero. Tutte le dispute territoriali vengono quindi risolte durante questi giochi: dieci uomini per parte, tutti volontari, si sfidano in un combattimento all’ultimo sangue; chi rimane in piedi garantisce la vittoria o la ragione alla sua città di provenienza. Conrad e compagni osservano che si tratta di un metodo per risolvere le questioni più civile e meno cruento della guerra, perché costano al massimo una ventina di vite, tutte di volontari, ed evitano distruzione e conflitti prolungati.
I giochi però sono anche l’occasione in cui gli zelosiani possono guadagnare prestigio, ottenere il diritto a fare questa o quella cosa, persino difendersi dalle accuse.
Ovviamente i nostri danno sfoggio nell’arena, grazie ai loro arti cibernetici: la Smith, che ha le gambe bioniche, stravince la gara di salto sulle «fosse della morte» anche se alle donne è proibito gareggiare nell’arena; e Conrad uccide in maniera spettacolare – blocca col braccio bionico la palla di un mazzafrusto e la rimanda al mittente, staccandogli la testa – un possibile pretendente al trono, salvando così la vita del re in carica, tutto sommato favorevole all’arrivo dei terrestri, del quale si garantisce anche l’amicizia.
Tuttavia l’Onu decide di non colonizzare il pianeta, dal momento che è già abitato da una razza intelligente: manderà solo scienziati e studiosi, per approfondire l’amicizia e la conoscenza di questo popolo.
E così finisce la terza avventura dei Sacrificabili: nell’insieme è un libro inferiore alle aspettative, perché a differenza dei precedenti qui è tutto sotto controllo da subito. Non c’è mistero, non c’è esplorazione: e tutta l’azione è nell’ambiente protetto dell’arena.

4) Il veleno di Argo (The Venom of Argus, 1976)
Col quarto volume il ciclo dei Sacrificabili arriva davvero al capolinea: infatti, nonostante l’ottima idea di partenza, alla serie non rimane più molto da esplorare.
Perché i pianeti possono essere di due tipi: o bucolici e quindi già pronti per la colonizzazione senza sforzo (e allora non offrono un grande soggetto per un’avventura); oppure devono essere bonificati in qualche modo, ed allora la procedura è la stessa già vista nei precedenti episodi (arrivo sul pianeta; si scoprono le minacce; si trova una soluzione; successo della missione), ma così ogni nuova avventura finisce per essere «more of the same», sempre la stessa minestra. Fin qui Cooper è stato bravo ad evitare ripetizioni perché ogni libro della serie si è concentrato su un diverso tipo di minaccia: locale e definita (mostri giganti); aliena e indefinita (rovine di un’antica civiltà); primo contatto con altri umani; ed ora tante piccole fonti di pericolo, insidiose perché invisibili.
Insistere con altri libri significherebbe o ripetere lo stesso copione alla nausea o esagerare e tradire lo spirito della serie: già in partenza infatti è stata piantata una serie di paletti, che escludono i pianeti non abitabili, quelli abitabili già occupati da razze senzienti e quelli abitabili ma disabitati che non è stato possibile domare. Questo restringe di molto il campo d’azione dei Sacrificabili ed impedisce un’«escalation» dei contenuti, come ad esempio lo scoppio di un conflitto interplanetario con una razza aliena, la conquista e sottomissione di una specie primitiva, o la stessa terraformazione, per non parlare di fallimenti, che data l’opposizione sulla terra porterebbero alla chiusura con ignominia del programma. No, davvero non c’è più spazio per una quinta avventura.
Già con questo quarto volume però Cooper è abile a trovare una ragione creativa per differenziare ancora una volta la storia dalle precedenti: a tutta prima infatti Argo sembra pacifico e accogliente, un’Arcadia pronta alla colonizzazione; ma in realtà il pianeta riserva parecchie piccole minacce che, tutte assieme, lo trasformano in un piccolo inferno. Le minacce continuano a spuntare all’improvviso, e costano due morti.
Ma per reggere un intero libro anche questa storia ha bisogno di un aiuto extra, come essere rinforzata – leggasi «allungata» – con un antefatto sulla terra di cui si farebbe volentieri a meno: prima della partenza affrettata della spedizione, infatti, Conrad ne combina una delle sue, perché per vendicare la morte di alcuni colleghi Sacrificabili causata dai nuovi robot «smart» spacca la faccia al direttore dell’ufficio competente, che poi si suicida per la vergogna di essere stato scoperto (traeva un guadagno personale dalla vendita di questi nuovi modelli). Questa parentesi iniziale non aggiunge nulla all’avventura sul pianeta, che invece è il vero motivo di interesse della serie.
Così, se da un lato dispiace che non siano usciti altri volumi dei Sacrificabili, dall’altro si può essere soddisfatti che la serie non sia proseguita: perché i Sacrificabili hanno dato davvero tutto quello che potevano ed anche solo un’altra avventura avrebbe probabilmente deluso, perché era già stato esplorato tutto quello che c’era da esplorare.
Rimarrebbe da soddisfare solo un’ultima curiosità: che fine abbiano fatto i nostri eroi dopo l’ultima avventura. Il libro non lo dice, un indizio che forse – forse – Cooper aveva almeno pensato ad un quinto episodio ma poi non ne ha più fatto niente, probabilmente proprio perché si è scontrato con le ragioni già ipotizzate.

«Con gli esseri umani, le probabilità sono cinque a due contro»
Questa libera citazione di Damon Runyon, «un oscuro scrittore dell’inizio del secolo ventesimo», che compare nel quarto volume (l’originale sarebbe: «Tutta la vita è sei a cinque contro») riassume il tono della serie: quando l’uomo si mette in mente qualcosa, non può fallire. È quella fiducia nelle capacità umane che trasuda da tutta la vecchia fantascienza, più interessata a mostrare le potenzialità dell’uomo che ad evidenziarne i limiti o i dubbi o i conflitti interiori o, peggio ancora, gli aspetti cupi e deteriori. Il successo dei sette Sacrificabili – o, meglio, di Conrad e degli altri sei membri dell’equipaggio – contro interi pianeti è la conferma che nulla è impossibile per l’uomo.
Delle avventure mozzafiato e dei personaggi piattini si è già detto in apertura, così come ho già avuto modo anche di elogiare la vecchia fantascienza per il suo coraggio di osare: ora rimane da dire giusto qualcosa sull’inclusione forzata dell’Onu in chiave positiva e sullo stile, ma non voglio dilungarmi su nessuno dei due.
Quanto alla prima, com’era – anche questo – tipico della fantascienza dell’epoca, la serie presenta l’Onu senza ambiguità, come soggetto positivo e disinteressato che opera unicamente per il benessere ed il progresso dell’umanità, invece di quel covo di iniquità che è realmente: dietro la politica filantropica del Sacri e la colonizzazione dei pianeti si cela infatti la spinta verso il governo unico mondiale che, duole dirlo, aveva attirato con l’inganno molti grandi autori del passato. Ho già esposto le mie considerazione al riguardo nel commento a «Stranieri dello spazio» di Silverberg, al quale rimando per un approfondimento.
Quanto allo stile invece, il lettore moderno non può fare a meno di sorridere nel leggere questi libri, perché Cooper cerca di presentare un efficientismo superscientifico e freddo tecnicismo tipici del modo in cui il passato pensava il futuro: si credeva che presto avremmo davvero avuto razzi per esplorare lo spazio e costruire colonie sui pianeti. Ed invece cinquant’anni dopo siamo ancora dietro a dibattere se l’anno prossimo andremo (ancora? Ma ci siamo stati davvero?) sulla luna ed il massimo della tecnologia è il nuovo modello di telefonino, o qualche altro strumento effimero il cui unico fine è controllare e schiavizzare sempre di più l’uomo: per fortuna che adesso si è aggiunta almeno un’intelligenza artificiale che architetta la conquista del mondo, perché il futuro stava diventando noioso.

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