Libri

John Steakley – Armor

Oggi è un giorno speciale: Libri Pulp compie cinque anni.
Per me che lo curo è una grande soddisfazione, perché in questo lustro ho visto crescere il blog sia di contenuti (quasi centocinquanta articoli pubblicati sinora, per lo più recensioni) sia di traffico (oltre diciottomila visite solo l’anno scorso): e non ho affatto intenzione di mollare, anzi.
Vista dunque profilarsi l’importante ricorrenza, nelle scorse settimane ho iniziato a ragionare sul modo più adeguato di celebrare l’avvenimento. E la sola conclusione cui sia giunto è stata di fare al meglio ciò per cui questo blog è nato: scrivere la recensione di un libro. Ma non uno qualunque: un libro che, al pari delle «Streghe di Karres» già recensite, è stato importante per la mia formazione e ha contribuito a modellare i miei gusti in campo fantascientifico.
Così la scelta è caduta su «Armor» di John Steakley (1984), che senza alcun dubbio ha avuto un ruolo di primissimo piano nell’influenzare la mia passione per le armature o tute potenziate: lo considero il terzo per importanza nel genere, assieme ai ben più noti «Fanteria dello spazio» di Heinlein (Starship Troopers, 1959), l’iniziatore; e «Guerra eterna» di Haldeman (The Forever War, 1975), molto più cinico, crudo e critico. A differenza degli altri due però «Armor» non ha mai ricevuto una traduzione italiana – né in nessun’altra lingua, a quanto mi risulta – e ciò non ha certo contribuito alla sua popolarità: spero quindi che questa recensione possa contribuire alla sua riscoperta, perché è un libro che meriterebbe davvero di essere letto.
Ma, a dire il vero, questo non è il solo motivo per cui l’ho scelto.

Tutto iniziò più di vent’anni fa
Quando quest’estate ho ripreso in mano «Armor» ero convinto che ne avrei scritto non tanto una recensione quanto una dichiarazione d’amore, tale era il trasporto con cui a suo tempo lo avevo letto e apprezzato. La recente rilettura però me lo ha un po’ ridimensionato: sia chiaro, continuo a ritenerlo un ottimo libro con un’ottima storia ma purtroppo mi sono reso conto che non è più quel capolavoro che ritenevo fosse. Così niente più dichiarazione d’amore: mi accontenterò di scrivere una lettera di apprezzamento, magari un po’ più partecipata del solito, perché comunque occupa ancora un posto speciale nel mio cuore.
Per più di vent’anni infatti «Armor» è stato qualcosa di più di un semplice libro per me: è stato il primo libro in inglese che abbia mai letto, verso la fine degli anni Novanta (i manuali di AD&D studiati ai tempi della scuola non contano). All’epoca, da poco ottenuto il congedo, ero reduce dall’appassionante lettura di una sfilza di libri di military science fiction – inclusi i citati «Fanteria dello spazio» e «Guerra eterna» – e, sfruttando quegli strumenti fantastici che erano la vecchia internet ed i forum specializzati di allora, mi era capitato di leggere ottimi commenti riguardo a questo libro sconosciuto: decisi così che dovevo leggerlo ad ogni costo.
Ed il costo infatti fu notevole: spesi una fortuna per farlo arrivare dagli Stati Uniti, credo sulle trentamila lire abbondanti per un libro in brossura il cui prezzo di copertina era di sette dollari e novantanove. E a casa non mi arrivò nemmeno l’edizione che desideravo (la prima, quella con la bella illustrazione di James Gurney) ma la seconda, con la copertina sì caruccia ma molto meno evocativa del più quotato Jim Burns che illustra questa recensione (sì, sono uno che non distrugge i libri quando li legge).
Ci misi poco più di tre settimane a finirlo, letteralmente divorandolo, per quello che all’epoca le mie conoscenze dell’inglese mi permettevano: autodidatta armato solo di un vecchio dizionario e tanta buona volontà, passai dalle tre pagine all’ora dei primi giorni alle sette/otto degli ultimi. E il volume ne conta più di quattrocento! Oggi, molto più padrone della lingua, per la rilettura ho invece impiegato appena cinque giorni, pur lavorando.
A suo tempo rimasi così entusiasta di «Armor» che, pochi mesi più tardi, fui indotto a leggere anche l’altro libro scritto da Steakley, «Vampire$» (questo sì che è stato tradotto in italiano: «Vampiri spa», 1990), che invece è un centro perfetto nel genere dell’urban fantasy, perché parla di cacciatori di vampiri finanziati dal Vaticano che operano nel mondo contemporaneo: anche se non è malaccio come storia (e mi pare di ricordare anche un paio di riferimenti ai fatti di «Armor», oltre ai nomi dei protagonisti), oggi mi rifiuterei di rileggerlo perché proprio non sopporto l’urban fantasy come genere.
E qui finalmente termina la parte autobiografica e comincia invece la recensione più tradizionale.

Brevissima storia editoriale
Pubblicato nel 1984, «Armor» è stato ristampato più volte, con copertine via via sempre più brutte e meno evocative: l’ultima edizione è dell’anno scorso e sfoggia la più anonima di tutte, ma così non si offende nessuno. Per anni si è parlato di un possibile seguito, che l’autore aveva anche iniziato a scrivere (qui si trova un assaggio del capitolo introduttivo) ma la morte prematura di Steakley nel 2010 ha interrotto anche questo progetto.
La storia di «Armor» tuttavia è autoconclusiva, anche se lascia aperte parecchie questioni: ma la forza del libro è proprio di non perdersi in troppe spiegazioni ed anzi di far piombare volutamente il lettore nel pieno dell’azione, senza dargli nessun contesto né chiarimento a parte quanto è necessario per farsi un’idea di ciò che sta accadendo. Così imita l’estraniazione che provano i protagonisti, uno in particolare.

Un futuro troppo anticipato
Gli eventi del libro sono ambientati tra il 2077 ed il 2081 ma sarebbe più corretto posticiparli di almeno un paio di secoli, dal momento che la tecnologia e l’espansione dell’uomo nello spazio sono molto più progredite di quanto potranno realisticamente essere tra sessant’anni: a dire il vero, già nel 1984 non poteva apparire verosimile un prossimo futuro come quello delineato nel libro, nel quale l’umanità ha sviluppato il viaggio spaziale a velocità superluminale, lo ha perfezionato ed assimilato come un fatto naturale e si è pure stabilita su decine di pianeti abitabili, dove hanno persino già iniziato a svilupparsi fortissime identità locali, tradizioni particolari e persino famiglie regnanti così amate dai soggetti che l’intero popolo identifica il proprio benessere con quello dei padroni.
Tolta questa fretta di anticipare il futuro, l’ambientazione ha però un suo senso. La tecnologia è evolutissima e presente in ogni aspetto della vita quotidiana ma non è così invadente come vorrebbe la fantascienza più recente (ed impone la nostra realtà quotidiana): ad esempio, una volta istruiti i computer sono in grado di fare praticamente tutto ma non sono senzienti; non ci sono nemmeno robot né – Dio ce ne scampi – cibernetica, ologrammi e pseudoschermi luminosi sospesi nell’aria ma al contrario tutto ha una sua bella consistenza, pratica, solida e ingombrante.
Per muoversi nello spazio, oltre al viaggio più veloce della luce l’uomo ha sviluppato anche una sorta di «wormhole» o «stargate»: in sostanza, per viaggiare da un punto all’altro basta passare attraverso un portale, si entra in un luogo (come l’interno di un’astronave) e si sbuca in un altro (come la superficie di un pianeta), distante chissà quanto dal punto di origine. Questa tecnologia pare però riservata alle forze armate, che la usano per scaricare truppe sull’inutile pianeta Banshee, che i generali incompetenti stanno cercando di conquistare ma senza risultati concreti a parte lo scempio di ondata su ondata di soldati. Non si tratta di teletrasporto, si badi bene, ma proprio di galleria gravitazionale: inizio il passo qui, lo termino lì, a centinaia o forse milioni di chilometri di distanza.
Non è tuttavia chiaro il rapporto tra i diversi pianeti e la terra: pare esistere un potere centrale abbastanza autoritario che però non controlla tutti i mondi ma solo una parte e lascia che gli altri si governino da sé. Potentissima è pure la Flotta, che include tutte le forze armate terrestri e controlla direttamente almeno un pianeta, Militar: ma anche in questo caso il suo potere non è assoluto, perché deve rispettare le autonomie locali. Nell’insieme si ha l’impressione che i diversi pianeti colonizzati dall’uomo formino tra loro una sorta di «commonwealth», con vari gradi di autonomia e di collaborazione.
Esistono anche diverse razze aliene che però, tolte le Formiche di Banshee, non hanno un ruolo negli avvenimenti del libro.

Un’armatura che è anche spirituale
La storia di «Armor» è in realtà due trame distinte che confluiscono nel finale: così distinte che dall’una all’altra non cambiano solo i protagonisti ma anche il genere, lo stile narrativo e persino il punto di vista, che nell’una è la terza persona, nell’altra la prima.
La trama numero uno, in terza persona, è una narrazione quasi ininterrotta delle battaglie combattute da un certo Felix e della sua lotta per la sopravvivenza contro ogni aspettativa; l’altra racconta invece in prima persona le vicende tutt’altro che virtuose di Jack Crow, pirata spaziale e criminale a tutto tondo che ha avuto il suo momento di gloria durante un processo (per pirateria) trasmesso in tv nel quale è stato assolto e da allora è diventato un personaggio famoso e di grande attrattiva.
L’elemento di collegamento tra le due storie è appunto un’armatura: anzi l’Armatura, quella indossata da Felix nelle sue battaglie, sulla quale successivamente Crow mette le mani e se ne serve per ingraziarsi una comunità di scienziati che dovrà tradire per togliersi dai guai.
Ma l’armatura è anche spirituale ed è quella che entrambi i protagonisti devono costruirsi per sopravvivere: per Felix è «The Engine», la sua personalità dissociata che suo malgrado lo mantiene in vita battaglia dopo battaglia perché, pur rassegnato alla morte, rifiuta di morire; per Crow invece è più simile ad una maschera pirandelliana che indossa per conformarsi al ruolo e al personaggio che tutti si aspettano da lui.

Protagonisti e antagonisti
Arriviamo così a parlare dei due protagonisti, Felix e Jack Crow.
Dei due, è il primo quello che suscita immediata simpatia e immedesimazione da parte del lettore ma è il secondo quello che più si avvicina al tipico protagonista di un romanzo, perché è attraverso il suo punto di vista che si comprende quello che sta accadendo: la trama principale si sviluppa infatti nei segmenti dedicati alle vicende di Crow, nei quali si innestano anche le due ampie parentesi che invece raccontano la storia di Felix su Banshee, il pianeta delle Formiche. Quest’ultima però – si scopre man mano che il romanzo procede – è già conclusa da un pezzo: sono infatti solo i suoi ricordi, quasi registrazioni mentali rimaste impressionate in qualche modo nella sua armatura, che gli scienziati, col reticente aiuto di Crow, stanno studiando, esplorando e rivivendo.
Come per suggerire questa interpretazione, che diventa chiara a posteriori, i due segmenti di Felix infatti non sono suddivisi in capitoli ma sono una narrazione continua, ad imitazione del «flusso di coscienza» di Joyce, Svevo ed altri autori di inizio Novecento, perché l’armatura conserva non solo quello che Felix ha visto e vissuto ma anche i suoi pensieri, le sue emozioni e le sue paure: soprattutto le sue paure, che spiegano lo sdoppiamento di personalità al quale si è già accennato.
Ma qui occorre spiegare chi sia Felix e, di conseguenza, anche Crow.

– Felix
Felix, del quale non viene mai detto il cognome (ma non ne ha bisogno, come vedremo), è un volontario dell’esercito impegnato nell’inutile quanto sanguinosa campagna su Banshee, un pianeta ostile alla vita abitato da una razza di creature erette ma insettiformi, che infatti sono chiamate «Formiche» («Ants» nell’originale: da qui la «Antwar», il nome del conflitto): non vengono fornite le ragioni della guerra né spiegato nulla della società di questi alieni, tranne che continuano ad uscire a migliaia dai loro formicai senza curarsi della propria incolumità e a fare a pezzi i terrestri, che pure indossano armature quasi indistruttibili di plastacciaio.
Le Formiche non sono semplici insetti però, perché alcune di loro sono armate di fulminatori (molto inferiori a quelli degli umani): dispongono anche di cannoni potentissimi, soprannominati «Martelli» dai soldati, che dall’interno dei loro formicai sono in grado di colpire con estrema precisione i portali o «wormhole» di fuga degli umani non appena compaiono sul suolo di Banshee, impedendo così ogni ritirata. Devono inoltre disporre anche di un qualche tipo di volo spaziale perché ad un certo punto viene detto che hanno attaccato ripetutamente la terra, anche se non viene spiegato se con astronavi o loro surrogati o semplicemente con spore sparate nello spazio come avviene ad esempio in «Fanteria dello spazio». L’impressione generale che se ne ricava però è che le Formiche siano solo le truppe senza cervello create dai veri signori del pianeta – ipotetici: di loro nemmeno si sospetta l’esistenza – per combattere contro gli invasori terrestri.
Man mano che la storia procede si apprende la ragione dell’arruolamento volontario di Felix: la morte di Angela, la sua giovane moglie, in un incidente spaziale, provocato probabilmente dalle sue stesse guardie del corpo. Felix infatti non è un disgraziato qualunque ma l’Arconte Guardiano di Golden, uno dei due pianeti più ricchi dell’umanità, sfuggito ai suoi doveri di monarca per il dolore causato dalla perdita della moglie, una terrestre che non era mai stata accettata dai suoi concittadini e che per questo aveva deciso di tornarsene sul pianeta natale, dove però non è mai arrivata a causa dell’incidente fatale.
Addolorato e disgustato, Felix trama per mesi finché non gli si presenta l’occasione per disertare il trono e arruolarsi, sotto falsa identità, nell’esercito: durante l’addestramento però si mette troppo in evidenza e così, al momento del primo sbarco su Banshee, scopre con rabbia di essere stato scelto come esploratore, un ruolo al tempo stesso ricercato e temuto dai più. Ricercato perché garantisce una certa libertà e autorità, temuto perché, statistiche alla mano, gli esploratori (che indossano armature potenziate più piccole e meno armate di quelle dei guerrieri ma più veloci e reattive) non durano mai molto: anzi, secondo i dati snocciolati da un gruppo di veterani con cui Felix lega, una matricola che compie il suo primo sbarco come esploratore ha una probabilità su dieci di sopravvivere, la più bassa di tutte, mentre già una matricola in armatura da guerriero ne ha quattro su dieci.
Queste statistiche sono particolarmente dettagliate ma non vanno oltre i dieci sbarchi: nessuno, né guerriero né esploratore, infatti è mai sopravvissuto così a lungo. Ma per un errore del computer – o per le trame dei pezzi grossi dell’esercito, che sanno chi è e vogliono vederlo morire in battaglia per interessare così tutta l’umanità al loro piccolo conflitto – Felix arriverà a fare ventuno sbarchi in sei mesi.

– The Engine
La ragione della sua ostinata sopravvivenza contro ogni spiegazione è «The Engine», «La Macchina», la coscienza dissociata che prende il controllo del suo corpo nelle battaglie e nei momenti di panico. Felix stesso, paralizzato dalla paura, assiste quasi dall’esterno allo scempio dei nemici che si vede compiere senza avere alcuna padronanza di sé: gli stessi scienziati che analizzeranno la sua armatura e i suoi ricordi stabiliranno che la sua reazione alle situazioni di pericolo è un paradosso inspiegabile.
Infatti, in quello che definiscono il suo «zombie time», Felix riesce a sopravvivere non tanto per la voglia di vivere quanto per il rifiuto di morire: in battaglia sente la paura come chiunque altro ed è bloccato dal terrore come tutti. Piomba così in uno stato di fatalismo rassegnato, che scatena la sua reazione subconscia: l’emergere di un’identità che rifiuta la realtà e prende il controllo del suo corpo, ostinandosi a non morire. Questo meccanismo psicologico contorto, paure e debolezze incluse, rende il protagonista molto umano.
Quando diventa The Engine, Felix è spaventato da se stesso e da quello che fa per restare in vita ma che non vorrebbe fare: ad esempio, in una circostanza è pronto a sacrificare un commilitone ancora vivo ma ormai spacciato e senza rimorsi lo usa come bomba atomica (una reazione imprevista delle tute potenziate, quando vengono aperte ed attivati tutti i comandi simultaneamente) gettandolo in un formicaio dal quale continuano a riversarsi fiumi di nemici e cannonate sul portale per impedire la ritirata ai pochi superstiti dell’esercito di invasione.
Dopo sei mesi di stress quasi ininterrotto su Banshee però un giorno The Engine rifiuta di riaffiorare e questo quasi gli costa la pelle: per sua fortuna però Felix si è guadagnato la stima di un altro guerriero, Nathan Kent, che gli salva la vita a costo della propria.

– Lewis
Dopo una fuga precipitosa in seguito alla morte in combattimento del Masao (l’erede al trono dell’omonimo ricchissimo pianeta e suo amico d’infanzia) che, dopo averlo rintracciato, aveva usato la sua influenza per organizzare una finta missione su Banshee e proprio sul pianeta ostile era riuscito a farlo rinsavire, Felix infine ripara su un pianeta vergine, di cui prende il possesso: lo chiamerà Sanctuary.
Assume anche un’altra identità, quella di un certo Lewis, un ubriacone che passa le giornate a pescare, bere e dormire, spesso tutto allo stesso tempo: solo alla fine, quando tornerà ad indossare l’armatura per salvare gli abitanti del pianeta attaccati dai pirati, getterà la maschera e suo malgrado rivelerà di essere Felix, anche se qualche sospetto sulla sua identità era già sorto da un po’.
Infatti, anche se nominalmente il «padrone» sarebbe lui (Lewis), Sanctuary in realtà è aperto a tutti i diseredati, a chiunque cerchi un mondo dove rifugiarsi dopo essere fuggito – anche per diserzione – dall’oppressione del governo terrestre: il nome, che significa santuario o rifugio, vuole proprio sottolinearne questa caratteristica.
E qui su Sanctuary finalmente si incrociano le strade dei due protagonisti: entra così in scena Jack Crow.

– Jack Crow
L’altro protagonista della storia è invece Jack Crow, criminale, pirata e duraccione generico, divenuto famoso su tutti i pianeti abitati dall’uomo durante un processo (per pirateria) trasmesso tempo prima in tv: proprio per effetto della sua popolarità, chi lo incontra non è spaventato dalla sua reputazione ma è soprattutto interessato a conoscere dettagli sulla sua vita avventurosa, che lui ben volentieri inventa su due piedi per soddisfare gli interlocutori ed al tempo stesso prendersi gioco di loro.
Quando incontriamo Jack Crow per la prima volta la sua parte di storia è già cominciata: si trova prigioniero in una miniera di una qualche razza aliena e sta per mettere in atto il suo piano di fuga, progettato da tempo. Uccide a sangue freddo alcuni compagni di prigionia più deboli per rubare il loro rancio, una sorta di pappa che dà l’energia necessaria per lavorare alcune ore: ha calcolato che mettendo assieme più razioni può ricavare tutto il vigore che gli serve per fuggire. Ed infatti l’evasione riesce.
Ripara così all’astroporto dove si guadagna il passaggio su un Coyote della Flotta il cui equipaggio, intuisce da diversi dettagli, si è ammutinato: in sostanza, anche loro sono diventati pirati. Il loro capo, un gigante di nome Borglyn, lo riconosce immediatamente per averlo visto in tv e lo accoglie a bordo in cambio di un certo servizio: deve farsi accettare da una missione di scienziati della Flotta che si è stabilita su Sanctuary e poi al momento opportuno tradirli per permettere ai pirati di impossessarsi della loro unità di energia, di cui la nave ha bisogno. In realtà Borglyn ambisce a conquistare l’intero pianeta per sé e sabotare le installazioni degli scienziati – dotate anche di cannoni orbitali per la difesa – significa mettere fuori combattimento l’unico ostacolo al suo piano.
Crow rimane così invischiato nella storia: per ingraziarsi gli scienziati, che stanno studiando proprio la ragione delle elevatissime perdite della «Antwar», porta loro in regalo un’armatura da esploratore che ha rinvenuto in uno yacht di lusso parcheggiato nell’orbita di Sanctuary. Più avanti si scoprirà che era l’armatura di Felix e lo yacht quello che aveva usato per fuggire, dono del Masao.
In questo modo Crow viene coinvolto ancor più nella storia: Hollis, il capo missione, esamina l’armatura e scopre che in qualche modo è rimasta impressionata dei ricordi del suo possessore. Decide quindi di collegarsi (una sorta di realtà virtuale) alla memoria della tuta ma l’esperienza è così debilitante che subisce un collasso e rischia di rimanere ucciso, perché chi è collegato all’armatura prova anche le stesse emozioni e sensazioni che aveva provato il suo proprietario. Prega quindi Crow di assisterlo nelle sedute successive: ritiene infatti che la sua esperienza con la violenza e la vita pratica gli saranno d’aiuto a superare lo stress dei combattimenti incessanti. L’esperienza prosciuga però persino le risorse del pirata: tuttavia contribuirà al suo ravvedimento finale.
La storia di Crow è necessaria perché tiene in piedi tutta la struttura narrativa ma è pure in gran parte inutile: anche se si impara ad apprezzarlo come personaggio (ma rimane sempre inferiore a Felix), il suo unico scopo infatti è di fare da collegamento tra l’armatura (e quindi la storia di Felix, alla quale possiamo assistere anche noi da spettatori) e gli scienziati.

Tutti gli altri
La storia pullula di personaggi minori che, pur importanti per mettere in luce questo o quell’aspetto, fanno per lo più una brutta fine: è il caso ad esempio di Forest, un’altra esploratrice conosciuta da Felix nei primi giorni su Banshee. La sua storia mostra il disprezzo dei vertici militari per i sottoposti: atleta e combattente straordinaria, anni prima è arrivata seconda alle Olimpiadi militari (qualcuno – non lei – sostiene che l’hanno fatta perdere di proposito) e così si è giocata l’opportunità di diventare «Everybody’s Hero», il soldato simbolo che viene esibito dai pezzi grossi nella propaganda come esempio di combattente provetto e così può evitare il fronte. Forest fornisce un gran numero di informazioni utili a Felix e al lettore prima di morire stupidamente, e nemmeno per causa propria: con l’ultimo respiro confessa finalmente il suo amore per Nathan Kent.
Che è proprio «Everybody’s Hero», il cocco dei generali: unico nella storia, Kent ha vinto le Olimpiadi militari tre volte di seguito (per questo le malelingue sostengono che il terzo titolo sia stato manipolato) e così è diventato il volto ammiccante dell’esercito. Spedito brevemente su Banshee per ragioni propagandistiche, incontra Felix e ne apprezza subito la schiettezza, l’abilità e l’amicizia. È però il classico paladino stupido: atleta e combattente sopraffino, buono di carattere e motivato dagli ideali più alti, soffre di timidezza e manca di carattere. E così può essere manipolato facilmente dai generali, ai quali si oppone una volta sola: quando mette in salvo Felix, accusato della morte del Masao, e viene ucciso (tagliato in due) mentre tenta di coprirgli la fuga.
Il terzo personaggio minore di una certa rilevanza è Hollis Ware, detto Holly, giovanissimo storico statistico e direttore della base su Sanctuary, dove sta conducendo un progetto di ricerca col fine di comprendere la ragione delle perdite elevatissime nella guerra con le Formiche: sempre positivo e amichevole, il suo ruolo nella storia è sia di fare da tramite competente tra il lettore e le memorie custodite nell’armatura di Felix sia in un certo senso di riabilitare Crow perché, proprio grazie all’entusiasmo e all’assenza di pregiudizi con cui lo scienziato lo accoglie, Crow nel finale ha l’opportunità di riscattarsi.
Infine merita citare Borglyn, il capo degli ammutinati che ingaggia Crow: un gigante capace e spietato, non è interessato tanto all’unità di energia degli scienziati come gli ha fatto credere quanto invece alla conquista dell’intero Sanctuary. La base infatti – un’astronave che dopo l’atterraggio è stata ristrutturata per diventare un accogliente complesso abitativo – è ancora armata massicciamente e all’occorrenza può essere protetta da un campo di forza che i cannoni della nave dei pirati non sono in grado di superare: per la sua posizione, la base offre inoltre un’efficace difesa anche alla vicina baraccopoli, dove si raccoglie la maggior parte dei profughi che costituiscono la nuova popolazione di Sanctuary, un gruppo dei quali sta già ostacolando i suoi agenti sul posto.

Storie che si intrecciano
Gran parte della trama è ormai già stata anticipata nei paragrafi precedenti: quello che segue è quindi solo un brevissimo riassunto delle due storie di Felix e Crow, nella quale converge anche l’epilogo.

Banshee: Felix
Il libro si apre con la storia di Felix e quindi è da questa che partirò, anche perché questi fatti precedono l’altra di circa quattro anni.
Felix fa parte del primo contingente di invasione del pianeta Banshee, dove non cresce vegetazione e persino l’atmosfera è velenosa: il suo gruppo di duecento guerrieri deve fare una «passeggiata» in un’ampia zona alle spalle del grosso del contingente dove, assicurano i generali, non c’è assolutamente niente. Da esploratore, il posto del protagonista è davanti a tutti e così Felix è anche il primo a sbucare dal portale sul pianeta, proprio in mezzo ad una colonna di Formiche, che fanno scempio del suo gruppo: in pochi minuti è l’unico superstite e, lottando a pugni e calci per farsi strada, si trova a vagare per le dune e i canyon del pianeta.
Finalmente si ricongiunge ai superstiti degli altri corpi di invasione, che vanno via via diminuendo: la fuga infatti è resa impossibile dalle cannonate e dai continui attacchi delle Formiche, che non demordono nonostante le perdite incalcolabili. Un colpo di mano condotto da Felix risolve la situazione, quando innesca l’esplosione atomica che distrugge l’enorme formicaio che impediva la ritirata: Felix diventa un eroe ma rifiuta ogni riconoscimento, promozione inclusa, perché non vuole attirare troppa attenzione su di sé.
A questo punto attacca la storia di Crow, che molti capitoli più tardi si ricollega a quella di Felix: quando questa riprende sono ormai passati sei mesi dal primo sbarco e Felix è già un’anomalia statistica perché è sopravvissuto oltre ogni aspettativa, nonostante frequenti soggiorni in ospedale, dove arrivava sempre in condizioni disperate.
È stato appena dimesso dall’ultimo ricovero quando uno psicologo ottiene di farlo assegnare ad un compito che dovrebbe essere leggero: fare da supporto ad un distaccamento di genieri che allestisce l’ultima trovata dei generali, la costruzione di un fortino con bunker sotterraneo che deve tenere sotto controllo un vicino formicaio, per stabilire la velocità con cui le Formiche sono in grado di produrre nuove truppe in battaglia. Va da sé che anche questo espediente finisce malissimo: qui però Felix ha modo di conoscere Nathan Kent, l’Eroe di Tutti, il supersoldato simbolo dell’esercito, che a sua volta ha modo di apprezzare Felix.
Quest’amicizia sarà d’importanza capitale poco tempo dopo, quando il Masao, erede al trono di uno dei due pianeti più ricchi e influenti dell’umanità, viene ucciso su Banshee in una missione che doveva essere una visita turistica del pianeta: il Masao stesso, amico d’infanzia di Felix, l’aveva fatta organizzare per avere la scusa di ricongiungersi con l’amico e convincerlo a tornare ai suoi doveri di governante di Golden. Il suo piano è un successo, perché Felix rinsavisce, ma l’epilogo è drammatico: al momento di tornare a casa, si scopre che il portale di uscita è stato aperto a pochi passi dal formicaio più grande mai incontrato sinora, dal quale parte immediatamente il cannoneggiamento della via di fuga.
Il Masao viene ucciso già dalla prima esplosione e Felix, che era al suo fianco e varca il portale recando con sé il corpo dell’amico, viene subito considerato responsabile dell’accaduto. Ma prima che l’accusa possa essere formulata Kent strappa Felix al suo dolore e lo trascina con sé da qualche parte nell’astronave: viene lasciato credere che stia per linciarlo (a sottolineare il sospetto, la «linea vitale» dell’armatura di Felix si interrompe improvvisamente). In realtà, si scopre più avanti, l’Eroe dell’Umanità ha guidato Felix allo yacht che il Masao aveva portato per l’amico, lo ha chiuso dentro e lo ha fatto decollare, coprendogli la fuga: per la prima volta ha imposto la sua volontà a quella dei generali e, sempre per la prima volta, ha compiuto il suo dovere di eroe. Ma è stata anche l’ultima, perché mentre la navicella del protagonista si allontana Kent viene abbattuto dall’equipaggio della nave.
E così finisce la storia di Felix.

Sanctuary: Crow e Lewis
Il racconto di Jack Crow è molto più lineare: dopo essere evaso dalla miniera ed aver strappato un passaggio sulla nave ammutinata in cambio dei suoi servigi, Crow viene scaricato da Borglyn su Sanctuary. Porta con sé un’armatura da esploratore che ha appena trovato in uno yacht di lusso parcheggiato sul satellite del pianeta, che Borglyn gli ha promesso come ricompensa per la sua missione: farsi accettare dalla missione scientifica (della Flotta) presente su Sanctuary e poi al momento opportuno tradirla, soffiandole l’unità energetica. Ancora non si sa nulla della fuga precipitosa di Felix, quindi ancora non si è in grado di collegare le due storie, anche se ovviamente l’armatura fornisce un forte indizio.
Dal momento che l’obiettivo degli scienziati è studiare il conflitto con le Formiche e comprendere la ragione delle perdite elevatissime (ma vista l’incompetenza mostrata sinora dai generali non è difficile capirla), Crow ritiene che l’armatura possa aiutarlo ad ingraziarseli: ed infatti è così, perché Hollis Ware (Holly), il direttore, subito si mette al lavoro e scopre che, pur danneggiata, conserva ancora le memorie del suo proprietario. Così Holly costruisce un casco per la realtà virtuale e si immerge nei ricordi ma l’esperienza è così debilitante che rischia di ucciderlo: convince quindi Crow ad assisterlo nell’esperimento e questi, sempre per ingraziarsi lo scienziato, lo asseconda. Ma anche per un duro come lui è un’esperienza durissima, che rischia di provocargli un crollo psicofisico, tanto che le notti successive si sveglia in preda agli incubi o addirittura in lacrime. L’esperimento prosegue per settimane e così anche il lettore approfondisce la sua conoscenza sia di Felix sia della guerra sia dell’umanità del futuro in generale: ad esempio, si scopre che la guerra prosegue ancora, anche se la Flotta dichiara di aver distrutto Banshee due anni fa; ed allo stesso tempo vengono offerti motivi a sufficienza, se ancora ce ne fosse il bisogno, per diffidare dei potenti, del loro operato e delle loro false rassicurazioni.
La sera stessa dell’arrivo su Sanctuary Crow aveva preso contatto con gli agenti di Borglyn sul pianeta, un gruppo di criminali che cercano di assumere il controllo della sua unica cittadina – una baraccopoli in cui vive la quasi totalità dei disperati coloni – e che per questo sono in lotta con un altro gruppo di cittadini rispettosi dell’ordine. Quando, settimane più tardi, Crow quasi si ridesta dalle sue sedute con Holly e torna in città, scopre che proprio quel giorno è scoppiata la guerra aperta tra i criminali ed il resto dei cittadini: mentre le guardie degli scienziati sono distratte dalla battaglia, i pirati di Borglyn possono sbarcare indisturbati e attaccare in forze la base che, già sabotata da Crow al suo arrivo, offre poca resistenza.
Ciononostante Holly, unico rimasto nell’edificio centrale, rifiuta di arrendersi e si barrica nella sala di controllo: Crow, che inizia a ravvedersi, decide di unirsi a lui ed assieme fanno quello che possono contro il centinaio abbondante di pirati armati fino ai denti e attrezzati anche con cannoni, mortai e scheletri potenziati, versione economica delle armature da battaglia già viste abbondantemente all’opera.
Quando la situazione sembra ormai precipitare appare Lewis, che porta i due al sicuro nel laboratorio di Holly e qui, davanti a loro, indossa la sua armatura, ancora adagiata su un banco da lavoro: a questo punto non c’è dubbio sulla sua identità perché, era già stato ripetuto diverse volte, ogni armatura è fatta su misura solo per il suo proprietario. Ritornato Felix, Lewis fa scempio dei pirati e arriva fino alla nave di Borglyn, che a quel punto decide di decollare, bombardando a tappeto la zona circostante: tutti credono che Felix sia rimasto ucciso nella spaventosa esplosione. Tuttavia poco dopo una telecamera puntata all’esterno della nave del pirata e collegata con la sala di controllo della base mostra una figura in armatura che prende a pugni un portellone, aprendosi così un accesso all’interno dello scafo: poi più niente, la telecamera smette di funzionare.
Nell’epilogo, molti anni più anni, Crow lascia intendere di essere diventato una (quasi) brava persona: dice anche che saltuariamente arrivano delegazioni di Golden a raccogliere informazioni sul loro Arconte Guardiano, che continuano a cercare per riportarlo a casa.

Il materiale di cui è fatta la buona fantascienza
A chi è arrivato fin qui non sarà sfuggita la ragione per cui ho amato questo libro: racconta una storia avvincente, che continua ad arricchirsi di nuove informazioni e non smette mai di tenere sulle spine il lettore, nemmeno nei lunghissimi ed interminabili capitoli di Jack Crow, perché anche in queste parti si ha sempre la speranza che venga rivelato qualcosa di nuovo su Felix. È lui infatti il personaggio che tiene assieme l’intera vicenda: di Crow in definitiva importa poco, la sua ragione d’essere è solo fornire una struttura che giustifichi la progressiva scoperta di nuovi frammenti di quel rompicapo che è l’Arconte fuggiasco, la sua storia e la sua personalità dissociata.
Nonostante una certa spigolosità, giustificata forse dall’amarezza per la morte della moglie e dal desiderio inconscio di condividerne la stessa sorte, Felix è infatti un personaggio umanissimo, capace di provare una comprensibilissima paura in battaglia ma incapace di tirarsi indietro dal proprio dovere: nemmeno le sue spaventose trasformazioni in The Engine riescono a renderlo meno umano; anzi, questa sua reazione incontrollata mostra semmai quanto sia sviluppato il suo istinto di sopravvivenza, che infine porta la ragione a vincere sulle emozioni.
Felix diviene così un personaggio in cui è facile immedesimarsi: non è certo un eroe ma non è nemmeno un antieroe, l’archetipo su cui è modellato Jack Crow. È invece un personaggio complicato, con pregi e difetti, come l’uomo qualunque: di conseguenza, i due ampi segmenti che parlano di lui, scritti in uno stile incalzante, mozzafiato, sono anche la parte migliore del libro. Se al contrario ci fossero solo i capitoli di Crow, il romanzo sarebbe invece deboluccio e poco invitante: proprio per questo, esaurita ormai da tempo la magia del «primo libro in inglese che abbia mai letto», mi sono sentito in dovere di rivedere il mio giudizio su «Armor», che, lo ripeto, rimane un’ottima lettura ma non così straordinaria come ricordavo.
Ma mi sento di raccomandarlo comunque, se non altro perché offre un punto di vista unico sul tema delle armature potenziate: non le esalta e non le condanna ma le mostra per quello che sono, macchine straordinarie che, trasformando l’uomo in superuomo, ne prendono anche il controllo, trasformandolo a sua volta in una macchina.
E questo è il materiale che distingue la buona fantascienza.

Scrivi qui il tuo commento