Caso esemplare di film molto più noto del libro da cui è tratto, «La fuga di Logan» (Logan’s Run, 1967) è un romanzo distopico meritevolissimo ma quasi sconosciuto in Italia: prodotto tipico di un’epoca che immaginava il futuro cupo e non nascondeva il suo pessimismo, la breve opera di William Francis Nolan e George Clayton Johnson racconta la singolare avventura del protagonista eponimo nel suo ultimo giorno di vita. Perché Logan 3-1639 ha appena compiuto ventuno anni ed il regime dispotico ed oppressivo che governa il mondo del 2116 – una «neocrazia» planetaria, dove «neo» non indica tanto la novità quanto i giovani, in greco «neoi» appunto – condanna a morte tutti i cittadini divenuti vecchi, ossia al raggiungimento del ventunesimo anno di età.
Un libro noto solo come film
Pubblicato nel 1967 e da allora ristampato, almeno in inglese, con una certa regolarità ancora oggi, «La fuga di Logan» ha ispirato l’omonimo film del 1976, lo stesso anno in cui è uscita l’unica edizione italiana, che spiega anche perché il libro è quasi sconosciuto da noi.
Ottimo esempio di letteratura distopica che affonda le sue radici nella sociologia, la storia è ambientata poco più di un secolo dopo la cosiddetta «Piccola Guerra», la rivolta mondiale dei giovani del marzo 2000, che alla fine del ventesimo secolo costituivano più dei quattro quinti della popolazione: partita come protesta contro la nuova legge sul controllo delle nascite, la contestazione dapprima si è trasformata in ribellione e poi, dopo appena due settimane di scontri, ha portato al nuovo ordine mondiale. Infatti, per far fronte a quella stessa sovrappopolazione che la legge sul controllo delle nascite voleva regolare, nel 2006 è stato approvato il Piano Moon, dal nome del suo proponente, Chaney Moon, che imponeva l’eutanasia di stato al compimento del ventunesimo anno di età: ed il magnetico Moon, un incantatore di folle sostenuto da masse di quindicenni tanto immaturi quanto fanatici, è anche il primo a consegnarsi a quello che con un eufemismo viene chiamato il Sonno Profondo.
Da allora il mondo è retto da un supercomputer – il «Pensante» – che sa tutto di tutti, grazie a telecamere e sensori disposti ovunque: così nessuno può sfuggire al Sonno perché alla nascita viene impiantato a tutti un «fiore» radioattivo nel palmo della mano destra, che brilla di una luce gialla fino ai sette anni, poi azzurra fino ai quattordici ed infine rossa, finché all’ultimo giorno di vita non diventa intermittente rossa e nera, per poi spegnersi definitivamente.
A quel punto i cittadini coscienziosi dovrebbero consegnarsi ai Magazzini del Sonno Profondo, dove ricevono l’eutanasia: i disertori – ossia coloro che con la fuga cercano di sottrarsi al loro dovere – vengono invece cacciati dagli Uomini della Sabbia («Sandman» in inglese, come la figura del folclore anglosassone che addormenta le persone e le fa sognare), guardiani fanatici e indottrinatissimi al rispetto dell’unica vera legge che regola l’opprimente mondo futuro.
E Logan, il protagonista, è uno di loro.
I giovani non costruiscono. Usano.
In questa frase, che compare in una delle ultime pagine, è concentrato tutto il libro: perché il mondo del ventiduesimo secolo è un mondo che vive l’oggi senza pensare al domani.
Un po’ perché il domani – ossia il termine della vita – è sin troppo vicino, un po’ perché la giovane popolazione di questo mondo non si preoccupa di seminare, in quanto sa che tanto non potrà mai raccogliere i frutti: e così tutti vivono senza pensieri tra droghe, sesso libero, voyeurismo, sadismo, assenza di moralità, giochi mortali e pericolosi. Non per adesione consapevole all’epicureismo né per un radicato nichilismo e nemmeno per altre ragioni filosofiche, ma solo perché non c’è altro da fare, non ci sono altri stimoli. Nemmeno il lavoro: tre ore al giorno, tre giorni alla settimana. Tanto a tutto provvede lo stato, anche a ricordarti che la tua vita sta per scadere: «Che futuro abbiamo, noi?», chiede ad un certo punto un personaggio secondario a Logan, «Il Sonno. Per te domani, per me l’anno prossimo». Davvero una bella prospettiva sulla quale costruire un’intera vita.
Così, scippata di ogni legame familiare, spogliata di qualsiasi aspirazione, intossicata dall’edonismo, tenuta di proposito nell’ignoranza e governata da un supercomputer privo – per definizione – di umanità, questa società futura crede pure di essere felice della vita miserabile che conduce e perciò non è nemmeno capace di mettere in dubbio la moralità delle politiche eugenetiche ed eutanasiche cui si sottomette volontariamente.
La frase che fa da titolo a questo paragrafo però è di un’attualità straordinaria anche nella realtà odierna: la società tecnologica in cui viviamo infatti è pensata per i giovani e solo per loro, al punto che persino un trentenne inizia già ad essere guardato con sospetto e considerato vecchio. L’incessante innovazione tecnologica infatti richiede un continuo cambiamento ed adattamento al quale solo i più giovani hanno la capacità e la volontà di assoggettarsi: chi è anche solo un po’ più anziano – e nella categoria rientra la mezza età, che lo voglia oppure no – ad un certo punto si accorge che fatica a tenere il passo e per quanto si dia da fare presto o tardi è costretto a capitolare, perché il progresso è sempre più veloce della sua capacità di stargli dietro.
Non è quindi un’esagerazione dire che oggi la società appartiene ai giovani, proprio come nel libro: anzi, sotto molti aspetti il mondo di oggi assomiglia a quello di Logan, con la sola differenza che non siamo ancora arrivati ad eliminare fisicamente i vecchi, ossia coloro che hanno raggiunto un’età sgradita. Un tempo i vecchi godevano di grande rispetto: oggi è già tanto se gli facciamo fare i nonni vigili.
Così ai modelli efficienti del passato – giudicati ormai superati e quindi abbandonati solo per una questione di età e di «cool» – abbiamo sostituito una società fragile, debole, costruita sull’apparenza, sull’inconsistenza dei bit e sulla vita comoda ma con poca propensione alla lotta, senza nerbo e senza alcuna resistenza, fisica, mentale e spirituale: basta un’avversità, una qualsiasi cosa anche piccola che non va come si vorrebbe perché i giovani – quelli sui quali e per i quali è stata costruita questa nostra società – subiscano un crollo psicologico totale, senza nemmeno sapere dove trovare quella forza interiore che invece permette di lottare, stringere i denti e superare le difficoltà.
Proprio perché i giovani non costruiscono. Usano.
Un’indagine sotto copertura
È passato poco più di un secolo dall’avvento del Piano Moon: Logan 3, il protagonista, è un Uomo della Sabbia abile e coscienzioso, che non ha mai messo in dubbio il sistema né fallito un incarico. Anche se la sua ultima vittima, Doyle 10, gli ha dato del filo da torcere, alla fine dell’inseguimento Logan è riuscito ad eliminare il disertore, che prima di morire gli ha lasciato un indizio: Santuario, e una chiave.
Però mentre fa ritorno a casa dal luogo dell’esecuzione il suo fiore, la lampadina radioattiva impiantata nel palmo destro, inizia a lampeggiare: gli sono rimaste ventiquattr’ore di vita. Deciso quindi a scoprire e sgominare una volta per tutte Santuario – e con esso la rete clandestina che si dice assista i fuggiaschi – per dare un senso alla sua esistenza, Logan avvia un’indagine per conto proprio: sa che se riuscisse a trovare e distruggere Santuario diverrebbe un eroe mondiale e così la sua vita potrebbe concludersi in gloria.
Da buon servitore del sistema, anche se gli sono rimaste poche ore di vita non ha ancora iniziato a mettere in dubbio il principio dell’eutanasia di stato.
Con la chiave e l’indizio di Santuario si mette subito sulle tracce dei traditori: la ricerca lo porta prima ad una festicciola privata di guardoni, poi all’ambulatorio di un chirurgo plastico, dove si imbatte in Jessica 6, la sorella di Doyle, che inizialmente lo scambia per il fratello col volto rifatto: poi però, quando scopre la verità – cioè che Logan è in realtà un Uomo della Sabbia, e per giunta quello che ha ucciso suo fratello – cerca di fuggire. Ma siccome anche lei è arrivata all’ultimo giorno, finisce per accettare la collaborazione di Logan che, mostrandole il palmo intermittente, finge di essere lui stesso un disertore.
Una fuga a tappe
La rete del Dedalo, la metropolitana mondiale superveloce che collega tutto il mondo, consente alla coppia di spostarsi in fretta da una località all’altra e completare la fuga in meno di ventiquattro ore, comprese le fermate necessarie per raccogliere indizi.
La prima tappa è Molly, una città subacquea abbandonata, che un tempo forniva proteine a tutto il mondo, prima che un terremoto la trasformasse in un relitto: nei pochi ambienti ancora stagni vive un tale, Balena, che fa da intermediario per i disertori. Istigato da Jessica, questi rinchiude Logan in una camera le cui paratie stanno per cedere alla pressione dell’acqua: ma all’ultimo momento la ragazza si ravvede e salva il protagonista dall’annegamento.
Fuggiti da Molly, un guasto nella rete del Dedalo dirotta la loro vettura su Inferno, un carcere all’aperto al polo Nord, dove Logan deve lottare prima con un detenuto, per guadagnarsi un buco in cui vivere e le pellicce con cui ricoprire sé e Jessica, e poi con Scatola, una specie di cyborg che vive come uno spirito dei ghiacci da qualche parte a nord e passa il tempo nella sua caverna a scolpire quello che gli capita tra le mani: l’uomo macchina ha deciso di trasformare i due fuggiaschi nell’opera d’arte definitiva ma ha fatto i conti senza Logan, che si mette in salvo con Jessica, uccidendo al contempo il loro catturatore.
La tappa successiva li porta alle Colline Nere del Sud Dakota: in particolare, la collina trasformata nel monumento a Cavallo Pazzo, un’opera colossale e reale iniziata nel 1948 ma oggi ancora lontana dal completamento. Nel libro però la scultura è terminata già da tempo: e siccome la collina è attraversata da una fitta rete di grotte naturali, prima ancora dello scoppio della Piccola Guerra qui era stato trasferito il Pensante, il supercomputer che governa il mondo nonostante i guasti che ne limitano la funzionalità.
Raccolto l’ultimo indizio (la destinazione è Washington), i due sono costretti ad un’avventura imprevista quando vengono intercettati dagli Zingari del Piacere sui loro «scopizzi» o «scope del diavolo», in sostanza scope volanti che hanno sostituito le motociclette: questa deviazione permette sia di vedere ulteriori degenerazioni della giovane popolazione mondiale (già in precedenza se ne era incontrata un’altra: i Lupetti, giovanissimi che crescono allo stato selvaggio fino ai quattordici anni e poi devono fuggire nelle città per non essere fatti a pezzi dagli altri lupetti) sia di farsi un’idea degli asili in cui vengono allevati i bambini nei primi anni di vita, una sorta di caserme gestite interamente da macchine e robot.
La salvezza è nello spazio
Quando finalmente raggiungono Washington i due fuggitivi trovano una città in rovina ricoperta da una fitta vegetazione tropicale: nella breve carrellata storica che introduce questa tappa viene detto infatti che durante la Piccola Guerra nella capitale americana era stata fatta detonare anche una modesta bomba atomica, che ha trasformato l’area – anticamente una palude bonificata – in una giungla, oggi popolata anche di bestie feroci, discendenti degli animali dello zoo che erano stati liberati dai guardiani all’inizio dei disordini del Duemila.
Qui la coppia incontra Ballard, l’uomo più vecchio del mondo con i suoi quarantadue anni, che fa da ultimo contatto con i fuggiaschi: più avanti si apprenderà che, approfittando di un fiore difettoso (mostra ancora la luce rossa fissa), è in grado di infiltrarsi non solo nelle città per aiutare i disertori ma anche nella stessa struttura del potere. Ballard infatti è Francis, il collega e l’amico più stretto di Logan.
A Washington avviene la svolta del libro: il protagonista, soddisfatto per aver scovato Ballard e quella che ritiene essere Santuario, getta la maschera e dichiara le sue vere intenzioni, perché si crede ancora un Uomo della Sabbia. Ma quando cerca di eliminare Ballard e Jessica con l’ultimo proiettile che gli è rimasto, nella sua testa scoppia un conflitto interiore che lo blocca e lo rende incapace di prendere qualsiasi decisione: prontamente stordito da Ballard e raccolto da Jessica – che a questo punto ha capito che il suo compagno è divenuto in realtà un fuggiasco come lei – Logan si risveglia al fianco della ragazza sul marciapiede del Dedalo. C’è infatti ancora il tempo di un ultimo, breve fuori programma a Pittsburgh, la città dell’industria metallurgica, ora interamente robotizzata: qui, tra scintille, vapori velenosi, nastri trasportatori, benne e altri ingranaggi, la coppia si sbarazza di un paio di inseguitori e poi può proseguire tranquilla sino nel sud della Florida, dove li aspetta un razzo.
Santuario infatti si trova nello spazio: è la stazione Ares, che orbita attorno a Marte, un luogo poco accogliente dove però hanno già trovato rifugio alcune migliaia di esuli. Qui resteranno finché il Pensante ed il governo planetario non saranno collassati: secondo Ballard non manca nemmeno molto, i segnali già ci sono.
E lo confermano anche i due seguiti del libro, il primo dei quali (Logan’s World, 1977) parla proprio del ritorno di Logan sulla terra dopo il crollo del sistema: il terzo volume (Logan’s Search, 1980) porta invece il nostro eroe in una realtà alternativa.
Dal libro al film
Anche se non è del film che desidero parlare, data la popolarità di quest’ultimo merita soffermarsi un momento sulle differenze tra le due opere, che sono numerose e sostanziali: ciò che li distingue nettamente però è il finale, tutt’altro che definitivo nel libro ed invece nel film così aperto al cambiamento da essere l’alba del nuovo mondo.
Una prima differenza, irrilevante, riguarda l’anno in cui è ambientata la storia, che nel libro è il 2116 e nel film il 2274; una seconda, molto più consistente, riguarda invece il contesto: mentre nel libro si è arrivati all’eutanasia di stato a causa non di una catastrofe ma della sovrappopolazione, tanto che il pianeta è ancora florido e (sovrap)popolato, nel film il cupolone sotto cui sopravvivono la città ed i suoi abitanti è tutto ciò che rimane dell’umanità dopo una guerra atomica che ha devastato il pianeta. Di una bomba atomica c’è traccia anche nel libro (quella esplosa a Washington) ma è una sola e non ha certo cancellato la vita dalla terra.
Per ragioni collegate alla scelta degli attori, nel film è stato anche alzato il limite di età: la vita dura trent’anni invece che ventuno. E nel film chi è arrivato alla scadenza partecipa al «Carousel», una sorta di giostra volante al termine della quale i più fortunati possono rinascere: poco importa che, nella storia della giostra, nessuno abbia mai raggiunto questo traguardo. Pare che le scene del Carousel, con la levitazione dei partecipanti (mediante cavi), siano state tra le più difficili da realizzare ma abbiano contribuito a far vincere al film un Oscar per gli effetti visivi. Del Carousel non c’è traccia nel libro, che parla invece solo dei Magazzini del Sonno, dove i corpi vengono conservati su scaffali di acciaio: un po’ più macabro e molto meno coinvolgente di una bella scena ricca di effetti speciali.
Cambiano anche le motivazioni di Logan, che nel libro avvia un’indagine in proprio e rimane sotto copertura fin quasi alla fine mentre nel film riceve l’incarico dal malizioso computer che regge la città: dal corpo della sua ultima vittima aveva infatti recuperato un oggetto – una croce ansata – che prede il posto della chiave come simbolo di riconoscimento dei disertori. Nel film Logan ignora tutto su Santuario: è quindi il computer ad informarlo della sua esistenza e ad incaricarlo di distruggere quel luogo leggendario finendosi lui stesso un disertore. Per rendere più credibili le sue intenzioni il computer riprogramma il suo fiore per farlo lampeggiare come se fosse giunto al termine della vita: e quando la macchina si rifiuta di rispondere, lascia il protagonista con l’angoscia di aver perso gli anni di vita che gli sono appena stati tolti.
La fuga stessa è più semplice e circoscritta nel film che nel libro, dove invece copre buona parte di un emisfero (dalla costa occidentale degli Stati Uniti alla Fossa delle Marianne, poi al polo Nord ed infine a Washington): nel film Logan e Jessica percorrono a piedi un po’ di strada nel sottosuolo e poi sbucano già a Washington, da dove poi sono in grado di tornare alla città nel giro di poche ore.
Nel film, le tappe di Molly ed Inferno vengono raggruppate in un’unica località della città, caduta in disuso, dove compaiono sia vasche per l’allevamento dei pesci, abbandonate, sia grandi celle frigorifere dove un robot folle (Scatola) ha surgelato i corpi dei precedenti fuggitivi, credendoli cibo.
Da qui la coppia emerge direttamente a Washington, dove non c’è traccia né di Ballard (rimpiazzato dall’Anziano: Peter Ustinov) né della tigre che aggredisce Logan (sostituita da una colonia di gatti: sempre di felini si tratta) né della giungla che ha inghiottito la città: di conseguenza, si perde completamente anche la doppia identità di Ballard, che nel libro è anche Francis. Nel film il «rimpiazzo di Ballard» e Francis sono due personaggi distinti e quest’ultimo, che mantiene il suo ruolo di collega e amico di Logan, si trasforma anche nel suo cacciatore, perché non ne conosce la missione e lo crede un disertore.
Infine, il finale: nel libro, Santuario è un luogo reale, una stazione spaziale; la caduta del regime è data per certa ma è ancora lontana, tanto che la struttura dei disertori è all’opera per accelerare i tempi. Nel film invece Santuario non esiste, è un luogo leggendario: sono Logan e Jessica che, dopo l’incontro con l’Anziano e la scoperta di com’era il vecchio mondo, decidono di tornare alla città per far conoscere la verità, provocando così il cortocircuito del computer, il crollo della città ed il collasso della società edonistica che viveva prigioniera sotto la cupola.
Sulla scia del successo del film è stato prodotto anche un telefilm ispirato molto lontanamente agli eventi della pellicola: una vera porcheria. Ambientato all’esterno della cupola, in un mondo che dovrebbe portare i segni della guerra atomica ed invece pulsa di vita, segue le avventure di Logan e Jessica, accompagnati da un androide che ad ogni puntata li tira fuori dai guai, mentre Francis ed altri guardiani altrettanto incapaci cercano di catturarli. La sua cancellazione a metà stagione non ha sorpreso nessuno.
Un romanzo estraniante
Come si è detto in apertura, «La fuga di Logan» è un romanzo distopico meritevolissimo: magari non uno dei più facili o abbordabili ma sicuramente uno di quelli che nonostante l’età si sono mantenuti più freschi nel tempo, tanto da essere ancora attuali. Una caratteristica del genere distopico è avere sempre qualcosa da dire tra le righe riguardo al mondo reale, anche se a volte occorre scavare a fondo per trovarlo: «La fuga di Logan» fa di più, perché non si limita ad una critica superficiale ma coglie lo spirito del tempo (quello degli albori della contestazione giovanile degli anni Sessanta) e lo proietta nel futuro, esasperandolo.
Così facendo però richiama l’attenzione del lettore su una caratteristica della nostra società che, così radicata oggigiorno nel vivere quotidiano da essere considerata naturale, negli anni Sessanta era appena ipotizzabile: il predominio dei giovani sul resto della società. Il romanzo finisce così per mettere in guardia il lettore da ogni squilibrio demografico: assecondare una fascia di età a scapito delle altre – ad esempio perché ha una discreta disponibilità finanziaria ed è priva di scrupoli quando si tratta di spendere e indebitarsi – finisce solo per indebolire la società e creare problemi che il tempo può solo aggravare. Gli estremismi infatti, di qualunque tipo siano, non fanno altro che creare danni.
Si diceva anche che il libro non è dei più abbordabili: è scritto infatti in uno stile secco, essenziale, con tanto gergo ma con poche spiegazioni sul significato delle parole o delle espressioni, che il lettore deve ricavarsi dal contesto. In questo modo il romanzo riesce a creare un leggero senso di alienazione, un po’ la stessa sensazione che, ad un livello subconscio, si può immaginare provino gli abitanti di questo mondo futuro: anzi, i «cittadini», che è il modo in cui i personaggi del libro si rivolgono agli sconosciuti. E, guardacaso, «cittadino» è anche l’appellativo tipico usato dagli abitanti degli stati totalitari nelle opere di finzione, probabilmente perché richiama i vari «compagno» o «camerata» della storia reale, ma con toni più sfumati e burocratici.
Anche la struttura contribuisce a generare un certo estraniamento nel lettore, con salti improvvisi nella trama che eliminano i passaggi intermedi e confondono per un momento, giusto il tempo necessario per comprendere che si è passati rapidamente da una scena alla successiva: niente di grave, si capisce che è solo un espediente per mettere a disagio il lettore. Proprio come lo è la numerazione dei capitoli, che va al contrario, dal dieci all’uno, un altro piccolo accorgimento intonato col conto alla rovescia che fa da filo conduttore della storia: i giorni di vita dei «cittadini» sono contati e anche la fuga di Logan ha le ore contate, non più di ventiquattro.
Sono proprio i dettagli che rendono grande «La fuga di Logan».