Quante volte, terminato un libro tanto atteso, si è rimasti più delusi che soddisfatti della lettura, perché la storia era poco originale, identica a decine di altre? Purtroppo è un’esperienza abbastanza frequente quando si sguazza nel fantastico ed in particolare nel fantasy, soprattutto quello pubblicato negli ultimi venti o anche trent’anni: tutte le storie seguono ormai il medesimo canovaccio e presentano le stesse situazioni, gli stessi personaggi, le stesse motivazioni. Anche per questo motivo un libro così originale come «Il viaggio di Hiero» di Sterling E. Lanier (Hiero’s Journey, 1973) meriterebbe di essere riscoperto, perché è davvero unico nel suo genere: segue, è vero, il canovaccio classico del viaggio dell’eroe campbelliano (come già tradisce il titolo) ma lo rielabora in maniera tanto insolita che ripaga il lettore di ogni minuto speso.
Tutto cominciò con «Dune»
Sospeso a cavallo tra fantasy e fantascienza (ma leggermente più sbilanciato verso il primo), «Il viaggio di Hiero» è stato pubblicato direttamente in volume nel 1973 ma non ha mai goduto né del successo né della fama di altri romanzi fantastici divenuti immediatamente popolari: pur elencato nella famigerata Appendice N che corredava i primissimi manuali di D&D, un repertorio straordinario per scoprire storie d’avventura quasi sconosciute, «Il viaggio di Hiero» è stato sempre un libro di nicchia, probabilmente proprio perché è così dissimile da ogni altra storia da fare quasi genere a sé.
Lanier stesso, che non ha scritto moltissimo ma sempre di qualità, è noto non tanto per ciò che ha pubblicato quanto per ciò che ha fatto pubblicare: nel 1965 infatti fu proprio lui a convincere la Chilton, la casa editrice presso cui lavorava, a dare alle stampe il ben più noto «Dune» di Frank Herbert, che all’epoca era già stato rifiutato da decine di editori. E proprio la sua raccomandazione per il libro di Herbert gli costò il posto, perché le vendite di «Dune» furono deludenti e non ripagarono nemmeno l’investimento iniziale.
Tornando al «Viaggio», l’ultima edizione inglese dell’opera risale al 1995; in Italia invece il libro ha avuto solo due edizioni, entrambe della Nord: la prima nel 1976 e la seconda, una ristampa economica della precedente, nel 1991. Sono passati quindi quasi trent’anni dall’ultima pubblicazione e non sorprende che la storia, già poco nota quando era reperibile in volume, sia presto caduta nell’oblio.
Merita tuttavia ricordare ancora che «Il viaggio di Hiero» era stato pensato come avvio di una trilogia rimasta incompleta: ne è uscito un solo seguito, «Il ritorno di Hiero» (The Unforsaken Hiero, 1983), che porta un’ambientazione già stramba a livelli di stravaganza inimmaginabili, basti dire che buona parte della trama ruota attorno ad una lumaca telepatica gigante che controlla una fetta di mondo. Ma ne parlerò a tempo debito (cioè qui).
Un mondo misterioso e minaccioso
La forza di questo libro dimenticato sta appunto nella sua ambientazione unica e lussureggiante: il Nord America di un remoto futuro postatomico dove la natura, tutt’altro che sopraffatta dalle radiazioni, ha ripreso a proliferare in forme mutate e spesso pericolose. Bastano poche pagine per ricavare subito l’impressione di un mondo vivo, al tempo stesso misterioso e minaccioso: foreste sconfinate di alberi alti come grattacieli, paludi marcescenti disseminate delle rovine delle nostre città, ovunque animali grandi e piccoli, in parte riconoscibili, in parte nuovi; e poi deserti radioattivi, bunker sotterranei, mari infestati dai mostri e dai pirati, creature abominevoli e soprannaturali che non avrebbero mai dovuto esistere. Su questo sfondo brulicante di vita si muovono protagonisti, antagonisti e tutti gli altri gruppi grandi e piccoli, spesso ignari gli uni degli altri ma ciascuno con i suoi obiettivi, che di quando in quando arrivano ad incrociarsi per poi separarsi nuovamente: ne conseguono a volte conflitti, a volte alleanze, a volte semplice diffidenza che dura giusto il tempo dell’incontro.
L’anno in cui si svolge la storia è il 7476, all’incirca tra l’inizio di agosto ed i primi di ottobre: sono passati oltre cinquemila anni dalla Morte, il cataclisma atomico che ha messo fine al nostro mondo, distrutto ogni forma di civiltà e reso possibili mutazioni di ogni genere, sia nell’uomo sia nella natura. In questa terra devastata e quasi disabitata hanno iniziato a riformarsi piccole comunità di uomini spaventati, spesso all’insaputa le une delle altre per via delle distanze: l’ambiente infatti è divenuto così pericoloso che l’esplorazione è spesso sconsigliabile.
La natura ha ripreso il sopravvento sulla civiltà, ed è una natura rigogliosa, gigantesca, per lo più innocua ma non sempre: a causa delle radiazioni infatti persino gli animali più docili si sono fatti pericolosi in misura delle loro dimensioni accresciute, come i «bizzonti», discendenti dei bovini che conosciamo ma molto più grossi, con corna lunghe due braccia e corpi grandi in proporzione; o come le grandi «mozzica», tartarughe enormi la cui testa misura un metro e mezzo tanto in lunghezza quanto in larghezza; o ancora come le colossali rane da quindici tonnellate di peso i cui occhi sono distanti tre metri l’uno dall’altro, che già danno un’idea delle dimensioni del resto del corpo.
In questo scenario di una natura primitiva che ha ripreso possesso della terra si muovono le grandi potenze dell’ambientazione, come la Chiesa Universale (che proprio così grande non è), la Confraternita Tenebrosa (la fazione dei cattivi, chiamati anche «Immondi») e la Confraternita dell’Undicesimo Comandamento, detta degli «Undicisti» (la fazione neutrale, sbilanciata solo leggermente più verso il Bene che il Male), attorno alle quali orbitano, consapevolmente o no, i gruppi minori di cui via via il protagonista viene a conoscenza, come le tribù di selvaggi bianchi e biondi che popolano le coste del Mare Interno, le maestose città di pietra abitate dai neri, i porti commerciali del Mare Interno e tutte le altre forme di vita uniche e singolari che sono spuntate qua e là, come la razza delle driadi, o gli abomini noti come l’Abitatore della Nebbia e la Casa, o ancora le neonate civiltà di animali intelligenti e telepatici, come gli orsi e il Popolo delle Dighe.
Telepatia per tutti
Già, perché nonostante le nuove forme mostruose assunte dalla natura una delle mutazioni più comuni in questo mondo postatomico è proprio la telepatia, che si manifesta negli uomini, negli animali e, pare, persino nelle piante, per non dire in alcuni orrori contronatura di cui si parlerà più avanti: la conoscenza e la padronanza delle capacità psichiche però sono ancora primitive, sebbene venga lasciato intendere che le possibilità della mente sono infinite (non si dimentichi infatti che il libro è stato pubblicato nei primi anni Settanta, in piena psichedelia: ma qui, almeno, di droghe non c’è né traccia né menzione).
I poteri mentali mostrati nella storia appartengono per lo più a tre categorie: la preveggenza o «proscopia», la comunicazione rapida e silenziosa – individuale o di gruppo, che però ha il difetto di poter essere intercettata o almeno avvertita da altri psionici presenti in zona – e la battaglia telepatica, che non si limita ai «fulmini mentali» diretti ma include anche l’ipnotismo e altri strumenti come l’immobilizzazione e la presa di controllo dell’avversario, piegato al proprio volere. Basta una disattenzione, una difesa che cade anche solo per un istante, per essere sconfitti rapidamente, perché le brecce una volta aperte non si riescono più a chiudere.
Hiero, l’eroe della storia, è telepatico e alcuni difficili combattimenti mentali che sostiene durante l’avventura – il primo già nelle prime pagine – ne sbloccano il potenziale al punto di trasformarlo in un telepate formidabile, temuto anche dai nemici, i già citati Immondi, che contano nei loro ranghi alcuni tra i migliori psionici del continente e hanno persino sviluppato macchinari per potenziare ulteriormente le capacità mentali degli utilizzatori. Sono o diventano telepati anche tutti gli altri componenti del suo gruppo, inclusi l’«alvallo» Klootz (la sua cavalcatura: un alce di dimensioni enormi, leggermente intelligente) ed il giovane orso Gorm, che mostra un’intelligenza finora sconosciuta nei plantigradi e probabilmente superiore anche a quella umana. Da ciò si deduce che la telepatia in questa storia non ha niente di superumanistico ma è una capacità alla portata di tutti che deve solo essere sbloccata, e probabilmente non è nemmeno una mutazione: le radiazioni avrebbero solo tolto il blocco.
E così si arriva al problema del genere letterario cui appartiene il libro.
A cavallo tra fantasy e fantascienza
Solitamente i poteri mentali sono un’alternativa plausibile alla magia, di cui assolvono le funzioni nelle ambientazioni in cui quest’ultima non sarebbe ammessa, quindi ad esempio il mondo reale quando non scivola nell’urban fantasy («fantasy», appunto) o la fantascienza, che spesso ricorre agli psionici per giustificare capacità fuori dell’ordinario che hanno molto di magico ma vengono presentate come una normale evoluzione o predisposizione della mente umana. Un progresso scientifico o evolutivo quindi, magari anche una mutazione, ma tutto perfettamente «naturale» o almeno giustificabile razionalmente.
Qui invece siamo in una via di mezzo, proprio perché la storia stessa si colloca tra fantasy e fantascienza: la telepatia è una capacità chiaramente naturale che può essere persino migliorata o negata con l’ausilio di speciali apparecchiature (non incantesimi, pietre magiche o amuleti: macchinari assemblati in laboratorio) ma la sua diffusione anche tra gli animali ed alcune modalità del suo utilizzo puzzano di magico. Così ci si trova a cavallo tra due generi, dove gli elementi fantasy (che includono anche temi caratteristici come la natura dominante, la varietà delle creature senzienti e persino innaturali o corrotte, una fazione interamente dedita al Male e la conseguente lotta senza quartiere tra il Bene ed il Male) vengono bilanciati dagli elementi fantascientifici (come il disastro atomico da cui tutto prende inizio, la fede nella scienza e le reliquie tecnologiche della nostra epoca, l’uso del mondo reale anche come geografia) e viceversa: si potrebbe quasi parlare di science fantasy, anche se solitamente con questo termine si intende qualcosa di leggermente diverso, un misto di magia e superscienza che qui invece sono assenti.
Così è proprio la telepatia il cardine della storia, anche per collocarla nello scaffale giusto: non solo tutti i combattimenti più significativi sono mentali – compreso quello finale che vede impegnate ben tre fazioni opposte – ma anche tutte le svolte della trama in positivo o negativo avvengono proprio in virtù di qualche capacità telepatica sconosciuta o di un suo nuovo impiego. Ma sarebbe sbagliato pensare che tutta la storia ruoti solo attorno alla telepatia perché il libro è una montagna russa di sorprese ed offre davvero un po’ di tutto, a cominciare dall’esplorazione, dal mistero e da un’ambientazione così suggestiva che è venuto il momento di esplorare più da vicino.
Le superpotenze dell’ottavo millennio
Nello scorcio di mondo futuro che viene presentato – una fetta di Nord America – operano almeno tre grandi gruppi, il primo dei quali, la Chiesa Universale, non è nemmeno così grande come si è portati a credere all’inizio ma, dal momento che è il primo che si incontra e che è la fazione dell’eroe, viene spontaneo includerlo tra le (super)potenze dell’ambientazione.
La Chiesa Universale dunque è di base cattolica ma, dal momento che i contatti con Roma sono cessati da millenni, è ora del tutto indipendente e, più simile alle chiese libere protestanti, ha sviluppato una dottrina propria: tanto per cominciare, i preti possono (anzi: dovrebbero) sposarsi e da alcune affermazioni si intuisce che ora il sacerdozio è aperto anche alle donne. La Chiesa esiste ai due angoli opposti del Kanda, che è l’antico Canada: ad ovest la Repubblica dei Metz (da Metis, discendenti dei meticci indiano-canadesi) alla quale appartiene il nostro eroe; ad est la Lega Orientale di Otwah, la minore delle due. Sono entità politiche deboli e sparpagliate, un insieme di cittadine organizzate attorno alle Abbazie, i centri politici, culturali, scientifici ed economici della comunità. La Chiesa infatti assolve a tutte le funzioni dello stato: governa le comunità, si occupa della difesa e conduce la ricerca scientifica, che ruota per lo più attorno alla riscoperta delle conoscenze del mondo antico, il nostro. Dalle descrizioni che ne vengono date sono tuttavia assenti le caratterizzazioni negative che solitamente si accompagnano ad una teocrazia, perché il governo delle Abbazie non è esattamente una teocrazia. Sono i preti a guidare le comunità, questo è vero, ma senza fanatismo religioso: le Abbazie sono invece più simili agli antichi monasteri, perché come quelli nacquero in un periodo di crisi per salvare il salvabile così anche la Chiesa Universale, l’unica istituzione sopravvissuta al disastro, cerca di agire nell’interesse delle comunità pur rendendosi conto della difficoltà del compito.
Da mezzo secolo la Chiesa è bersaglio dell’attività della Confraternita Tenebrosa, i cui adepti sono meglio noti come gli Immondi (un nome che è tutto un programma), e sta soccombendo nella lotta che avviene nell’ombra: non è un attacco diretto ma una serie di azioni di disturbo e sabotaggio che hanno il fine di far capitolare le Abbazie, inerti contro la superiore organizzazione dei nemici. Per questa ragione viene organizzata la grande ricerca di cui Hiero, assieme ad altri cinque sacerdoti guerrieri (ma all’insaputa gli uni degli altri per garantirsi reciproca sicurezza in caso di cattura), è incaricato: recuperare un’antica macchina di cui la Chiesa ha sentito parlare, il computer, che potrebbe aiutarla a meglio organizzare le conoscenze che possiede e quindi allestire una difesa contro gli Immondi.
La Confraternita Tenebrosa è quindi la seconda fazione che compare nella storia e probabilmente la vera superpotenza dell’ambientazione: sono i discendenti di «alcuni superstiti di altre scienze antiche, soprattutto della psicologia, della biochimica e della fisica», che «volevano riaffermare il dominio dell’umanità sul mondo». Suddivisi in una dozzina di circoli o zone di competenza, manipolano dietro le quinte ogni attività umana e la orientano nella direzione che desiderano: sono dediti a riesumare tutte le reliquie del mondo antico, in particolare armi e altre macchine di distruzione, ma non disdegnano di condurre ricerche in proprio.
Anche se vestono lunghe tuniche nere che ricordano più l’abito dei maghi che il camice dei tecnici di laboratorio, sono scienziati di altissimo livello, oltre che telepati potentissimi: senz’altro conoscono la manipolazione genetica, che ha portato alla creazione di una straordinaria varietà di ibridi uomo-animale. In origine questi mutanti (o Mutali, da «mutazioni letali») erano il prodotto delle radiazioni ma viene detto che almeno una varietà di queste creature è stata creata in laboratorio dalla Confraternita: oggi quasi tutti i Mutali operano agli ordini degli Immondi, che «li allevarono affinché li servissero e odiassero l’umanità normale: vale a dire gli umani che non erano ancora sottoposti alla loro malvagia dominazione». Altri mutanti o abiezioni, pur fuori del loro controllo diretto, ne condividono tuttavia gli intenti distruttivi e possono essere considerati almeno loro alleati, se non di più. Probabilmente gli Immondi padroneggiano anche la clonazione, se i frequenti riferimenti all’aspetto praticamente identico dei loro agenti hanno uno scopo che non sia solo quello di dire che assumono tutti la medesima espressione malvagia.
In un mondo che non conosce le macchine e naviga ancora a vela la loro tecnologia è prodigiosa ed in parte sorprende anche il lettore: usano navi di metallo che sono probabilmente mosse dall’energia atomica, impiegano almeno un aliante, usano raggi distruttori e producono macchinari anche portatili per aumentare le capacità mentali dell’utilizzatore o mascherare la propria mente.
Il loro principale obiettivo è distruggere ogni gruppo emergente dell’umanità che non riescono a controllare: viene citato ad esempio lo stato di guerra incessante tra i regni neri del sud, causato proprio dagli agenti degli Immondi, che continuano a seminare odio e dissenso per evitare che queste città stato possano collaborare tra loro e così diventare più forti e difficili da manipolare.
La terza fazione che compare nel libro – così misteriosa che la sua vera forza è ignota a tutti tranne che ai loro nemici – è un’altra confraternita, quella degli Undicisti, così chiamata dall’undicesimo comandamento che si sono attribuiti «non per parodiare i Dieci Antichissimi, ma perché li completa», che recita: «Non depredare la terra e la sua vita». Sono una sorta di congregazione hippie che, come gli Immondi con cui sono in lotta perpetua, si è formata all’indomani della Morte: anche gli Undicisti sono eredi degli scienziati ma solo di una branca particolare, gli «specialisti d’una scienza chiamata “ecologia”, lo studio dell’interazione di tutte le cose viventi». Ed infatti agli Undicisti sta a cuore innanzitutto la vita: si interessano all’umanità solo in quanto parte della biosfera, quella che più di ogni altra influenza tutti gli esseri viventi.
I membri di questa confraternita vestono di marrone e si presentano alla gente comune come semplici girovaghi umanitari, che offrono di lavorare per le comunità che li ospitano per qualche tempo in cambio di vitto e alloggio: sono medici, veterinari, maestri che insegnano a leggere e scrivere ai bambini e si impegnano anche nel lavoro dei campi. E sono anche ottimi telepati, in pace con tutta la natura: padre Aldo, l’anziano Undicista che si unisce al gruppo di Hiero, è in grado di controllare animali titanici come un pesce gigantesco (che con un morso spezza in due una nave di metallo degli Immondi) e due «Lowan» contemporaneamente, uccelli acquatici giganteschi che arrivano a superare i venti metri di lunghezza.
Durante la storia, fuori scena, gli Undicisti si alleano con le Abbazie, offrendo loro per la prima volta aiuto nella lotta contro il comune nemico.
I protagonisti
Come tradisce il titolo, il protagonista della storia è Hiero Desteen: anzi, Per (o «padre») Hiero Desteen, un sacerdote guerriero della Repubblica dei Metz, nel nord ovest del Kanda, ossia l’antico Canada. Hiero ha trentasei anni, è ancora scapolo e porta un bel paio di baffoni neri: come la quasi totalità degli abitanti della Repubblica, è un discendente dei meticci indiani ed infatti ha la pelle rossiccia. Come nel caso dei selvaggi bianchi e dei neri civilizzati, Lanier si diverte a stravolgere le convenzioni: Hiero infatti «era abbastanza orgoglioso della sua discendenza purissima, poiché era capace di enumerare trenta generazioni della sua famiglia, senza lacune. Aveva provato un trauma profondo, alla scuola dell’Abbazia, quando il padre abate aveva dolcemente osservato ch’egli e tutti gli altri veri Metz, compreso lo stesso abate, discendevano dai Metis, i mezzosangue indiano-francocanadesi del passato remoto, una minoranza poverissima che l’isolamento dalla vita cittadina aveva salvato dalla Morte in percentuale sproporzionata. Da quando lo avevano saputo, Hiero e i suoi compagni di classe non si erano più vantati della loro origine. Era invece diventata per loro motivo d’orgoglio la regola egalitaria delle Abbazie, basata esclusivamente sul merito».
Il suo grado di Prete Esorcista Secondario, Esploratore Primario e Uccisore Anziano indica che ha poteri telepatici ben sviluppati: Hiero infatti è molto abile a parlare telepaticamente con gli animali e a vedere con i loro occhi ma è a malapena capace di usare i Quaranta Simboli, una forma di precognizione che richiede appunto di pescare dei simboli di legno durante una trance, ai quali sono associati significati che anticipano l’immediato futuro. Nel corso dell’avventura, grazie a battaglie mentali disperate, l’eroe affinerà i suoi poteri telepatici sino a diventare uno psionico temuto anche dai suoi nemici: ma resterà sempre una schiappa con i Quaranta Simboli.
Hiero cavalca un «alvallo» chiamato Klootz, un enorme alce telepatico leggermente intelligente, col quale ha sviluppato uno stretto legame: si sono scelti a vicenda sei anni prima. Insieme stanno scendendo a sud est dove pare si possa trovare un apparecchio chiamato «computer» di cui la Repubblica potrebbe aver bisogno nella lotta contro gli Immondi.
Dopo pochi giorni di viaggio, già nelle prime pagine del libro, Hiero si imbatte in un giovane orso pure telepatico chiamato Gorm: presto diventerà il personaggio più simpatico della storia. Gorm infatti è molto intelligente – secondo Hiero più di quello che sembra, forse anche più dell’uomo – solo che maschera parte della sua mente: per i teologi sarà un bel grattacapo, pensa divertito l’eroe, stabilire quanto è umano e se abbia l’anima. Gli animali con una certa intelligenza non sono una novità – vengono citati come esempi gli alvalli ed il Popolo delle Dighe, che in sostanza devono essere castori intelligenti – ma nessuno è al livello di questo orso: anzi, degli orsi in generale, dal momento che Gorm dice di essere stato mandato dagli Anziani per assistere Hiero nella sua missione.
Più avanti ancora il nostro protagonista libera Luchare, una giovane di pelle nera che sta per essere sacrificata da un popolo di selvaggi ad un gruppo di uccelli giganteschi: è la figlia ribelle e fuggiasca del re di Dalwah, una delle città stato del sud sconosciute a Hiero (le cui conoscenze etniche e geografiche si fermano alle foreste del Kanda), e presto diventa sua moglie. Su preghiera della ragazza, Hiero e Gorm la aiutano a sbloccare le sue capacità mentali che, pur restando piuttosto basilari, le permettono almeno di comunicare con i suoi compagni di viaggio ed in particolare con l’orso, che salva più volte la vita a tutti.
Verso metà libro si unisce al gruppo l’ultimo componente: fra Aldo, un Undicista, ossia un membro della Confraternita dell’Undicesimo Comandamento, un gruppo di ecologisti che non fanno male a nessuno ma esercitano un forte controllo mentale sugli animali di tutte le dimensioni. Aldo, che è pure un potente telepate, è stato incaricato dai suoi confratelli di mettersi in contatto con Hiero e di aiutarlo nella sua impresa, anche se ignorano di cosa si tratti: tuttavia dal momento che è condotta dalla Repubblica dei Metz, con la quale gli Undicisti vogliono allearsi nella lotta contro il comune nemico, si tratta senz’altro di una missione che deve essere sostenuta ad ogni costo. Anche Aldo è di pelle nera – appartiene allo stesso popolo di Luchare – e in almeno un paio di occasioni salva il gruppo da morte certa.
Gli scherzi della natura
Il mondo del futuro soffre ancora le conseguenze della Morte anche se sono passati più di cinquemila anni dalla catastrofe: soprattutto a sud, gli ex Stati Uniti, alcune zone sono ancora deserti radioattivi. E anche laddove la radioattività si è ormai attenuata o spenta le conseguenze sono ancora visibili: la natura non è più quella che conosciamo. Forme di vita mutata si sono sviluppate e in molti casi hanno sostituito quelle originali: in gran parte sono innocue – o almeno non più minacciose dei loro progenitori, fatte le dovute proporzioni – in altri invece sono dei conglomerati di malvagità e odio per le cose viventi, come ad esempio l’Abitatore della Nebbia e la Casa, due abiezioni che hanno preso vita in virtù di qualche capriccio delle enormi forze con cui l’umanità ha messo fine a se stessa.
Il primo, l’Abitatore della Nebbia, è un abominio che infesta la Palood, un enorme acquitrino le cui descrizioni traboccano mistero, pericolo e perversità: alleato o forse creazione degli Immondi, ha l’aspetto di una figura ammantata e incappucciata di bianco, di forma vagamente umana ma in realtà nemmeno lontanamente umana, che giunge come Caronte nei kolossal mitologici, fermo in piedi su una barchetta che si muove da sola nella nebbia. Cosa sia nessuno può dirlo: viene descritto come «una cosa pensante che non avrebbe mai dovuto conoscere il soffio della vita» e che «cercava di stabilire il suo dominio con una forma di parassitismo mentale, come un vampiro succhia il sangue per istinto, non di proposito».
Sconfitto dopo ore di duello telepatico con Hiero, si dissolve nel nulla: la fine dell’Abitatore è annunciata da un «grido miagolante e vibrante» seguito dallo scoppio silenzioso di una bolla. Poi dell’abiezione rimane solo un mucchio di stracci da cui gocciola una sostanza densa e oleosa ed un puzzo al cui confronto sembrano profumi anche i peggiori gas di palude.
Anche la Casa è un nemico disgustoso e pericoloso (molto più dell’Abitatore), di quelli destinati a rimanere impressi a lungo nella mente: è un vasto agglomerato di funghi, fanghi e muffe che copre centinaia di ettari di terreno ed ingloba tutto ciò con cui viene in contatto. Sepolto da qualche parte in questa massa di putridume si trova il suo vero nucleo, che è il risultato di «uno strano, spaventoso accoppiamento, forse trino, tra la spora di un micelio, una fanghiglia ameboide e, in qualche luogo e in qualche modo, un’intelligenza».
Incarnazione del Male totale come l’Abitatore ma «ancora più lontana dalla strada verso la ragione e la logica», la Casa è infatti l’unione di «molte menti di cose brulicanti come vermi, dentro e fuori la struttura gelida e gelatinosa. Le creature, qualunque cosa fossero, erano all’interno e insieme parte della cosa orrenda». Tutto il resto è una massa compatta di viscidume, un’enorme chiazza di colori marcescenti, di funghi che sgocciolano icore, di vesce che scoppiano spargendo nuvole di spore, di muffe semoventi che inglobano tutto ciò che toccano, di nugoli di mosche che sono i suoi occhi.
L’incontro di Hiero e dei suoi compagni con la Casa è al tempo stesso fortuito e necessario: fortuito, perché si trovano a doverla combattere dopo essere stati attratti per questo scopo da un popolo di driadi (che pure sono uno dei tanti scherzi della natura mutata); necessario perché il bunker sotterraneo che è la destinazione di Hiero si trova proprio nel cuore del territorio dell’abominio.
La battaglia dell’eroe con la Casa è duplice: la prima volta Hiero, pur preparato, subisce l’attacco telepatico dell’abiezione, che lo immobilizza, e viene salvato solo da Gorm, forse ignorato dalla Casa ma anche dotato di difese mentali impenetrabili. Tuttavia i due riescono a distrarre la Casa abbastanza a lungo per permettere alle driadi di dar fuoco alla massa di funghi, che nelle ore successive viene distrutta per due terzi prima che il nemico riesca a far crescere una barriera di organismi spugnosi che soffocano le fiamme.
La seconda volta avviene nel bunker: in una profonda sezione creduta sicura, la Casa ha creato il suo harem, una foresta di funghi alti e affusolati, senzienti e leggermente fosforescenti che danzano lentamente e morbosamente attorno ad un laghetto sinistro, uno spettacolo al tempo stesso disgustoso e affascinante. Hiero, che ormai non teme più gli attacchi mentali della Casa perché ha imparato come difendersi, non farà altro che appiccare il fuoco ad alcuni di questi funghi per suscitare l’ira della Casa ed usarla contro i suoi nemici.
Dai pericoli del nord…
Si arriva così alla storia vera e propria.
Padre Hiero Desteen, prete guerriero della Repubblica dei Metz nel Kanda, è stato incaricato dal suo abate di recarsi a sud per recuperare un apparecchio che potrebbe aiutare il suo popolo nella lotta contro gli Immondi, i cattivi dell’ambientazione, che per ammissione dell’abate stesso stanno vincendo la guerra: l’oggetto del desiderio è un computer, che nessuno sa come sia fatto né cosa sia esattamente ma i ben informati sanno che si può trovare al sud.
Il nostro è in viaggio da alcuni giorni quando viene avvicinato da un giovane orso telepatico, che subito si mostra dotato di grande intelligenza: è in una sorta di viaggio di formazione e ha deciso di unire il suo destino a quello di Hiero, del quale sembra già conoscere la missione. Subito dopo aver fatto amicizia l’orso, che si chiama Gorm, aiuta Hiero ad uccidere un adepto degli Immondi che ad insaputa del protagonista gli sta dando la caccia: anzi, senza l’intervento del suo nuovo amico l’eroe non sarebbe riuscito a liberarsi dalla morsa telepatica dell’adepto che, finalmente uscito allo scoperto, lo teneva sotto il proprio controllo mentre un gruppo di uomini ratto stava accorrendo per eliminarlo.
Offesi e preoccupati per la morte del loro confratello, gli Immondi si gettano all’inseguimento, favoriti dal segnale emesso da uno strumento simile ad una bussola che Hiero ha trovato addosso al cadavere e ha preso: così riescono a seguire facilmente il gruppetto anche quando si avventura nella Palood, un immenso acquitrino abitato da creature di ogni genere. Solo troppo tardi Hiero si rende conto della funzione della bussola e la distrugge: ma ormai gli Immondi sono sulle sue tracce e gli scatenano addosso l’Abitatore della Nebbia, un’abiezione che scimmiotta la figura umana ma di umano non ha nulla. Nella battaglia telepatica che segue Hiero non solo sconfigge l’Abitatore ma affina ulteriormente i suoi poteri mentali, già leggermente sollecitati dall’incontro con l’adepto.
Usciti dalla palude e sbucati in riva al Mare Interno che copre pressappoco l’area odierna dei Grandi Laghi, i tre si imbattono in una tribù di uomini bianchi che adorano degli uccelli enormi, ai quali stanno sacrificando una giovane ragazza nera: Hiero, che ha l’animo del paladino, si ribella all’idea del sacrificio umano e si getta in soccorso della giovane, che così si unisce al gruppo. La ragazza si chiama Luchare e ha sui diciotto anni: figlia fuggiasca del re di una delle città stato del sud abitate dai neri, si innamorerà presto di Hiero ed in breve i due formeranno una coppia indissolubile.
Poco dopo il salvataggio però il gruppo viene rintracciato ed attaccato dagli Immondi, che catturano Hiero per studiarlo e perciò lo conducono nella loro fortezza sull’isola di Manoon nel Mare Interno: vista la sua forza mentale vorrebbero che diventasse uno dei loro ma, in caso di rifiuto, sono pronti ad eliminarlo senza ripensamenti. Tuttavia, non appena viene rinchiuso in cella Hiero, cosciente dei suoi nuovi poteri, esplora la fortezza con la mente, individua l’Immondo che sta cercando di far breccia nelle sue barriere telepatiche con l’ausilio di una speciale macchina e prende il controllo di questo adepto, che usa come una marionetta per farsi aprire la porta della cella in cui si trova. Poi fugge su una barchetta.
Contattato telepaticamente Gorm, si ricongiunge ai suoi ed assieme fuggono nuovamente nella Palood, che costeggia il Mare Interno: attaccati da una nuova razza di Mutali – uomini rana controllati da una mente malvagia, indipendente dagli Immondi ma loro alleata – riescono a respingere i ripetuti assalti ma sono destinati a soccombere quando sopraggiunge una nave di metallo degli Immondi, probabilmente la stessa che aveva catturato Hiero. In quella però fa la sua comparsa fra Aldo, un Undicista, che intima agli Immondi di desistere: ma quelli si rifiutano e così un pesce enorme, aizzato dal nuovo arrivato, spunta dall’acqua profonda, spezza in due la nave e ne disperde i pochi superstiti.
…ai misteri del sud
Sotto la guida di Aldo, che non solo conosce molto bene la regione ma ha anche parecchi contatti, il gruppo si imbarca sulla Figlia della Spuma, il piccolo veliero del capitano Gimp, e si dirige a sud tagliando per il Mare Interno: attaccati da una nave pirata che lavora per gli Immondi, la Sposa Rapita, i nostri se la cavano senza troppe difficoltà. Gimp infatti invoca la «Tregua del Mare Interno», un duello tra capitani: chi vince si prende ciò che era dell’altro. Il pirata però impone un’altra condizione, che ai due capitani si aggiunga un secondo combattente per parte: Hiero ed un Glith, razza ancora sconosciuta di Mutali ipnotisti prodotti dagli Immondi.
Vinto il duello, i nostri arrivano a lambire le coste del sud quando tutti devono abbandonare in fretta e furia la nave, attaccata da una nuova di flotta di Immondi, ed avventurarsi in una foresta smisurata, anche per gli standard del nord. Qui gli alberi sono alti come grattacieli e hanno tronchi grossi in proporzione, gli animali sono colossali e sconosciuti: grazie alle conoscenze e ai poteri mentali di Aldo però il gruppo procede con perdite minime finché non si imbatte in un popolo di driadi che vogliono l’aiuto di Hiero per salvarle dalla Casa, un ammasso rivoltante di funghi e muffe che avanza da sud e sta divorando la loro foresta.
Per la missione Hiero richiede l’aiuto dei suoi compagni di viaggio ed è proprio grazie all’orso Gorm che l’eroe riesce a liberarsi dal controllo psichico della Casa e a dare alle driadi – che, prive di barriere mentali, da sole erano alla mercé dell’abiezione – il tempo di appiccare il fuoco alla massa di funghi.
Inizia così l’ultima tappa del viaggio: nel terreno appena liberato dal putridume Hiero localizza l’accesso al bunker in cui deve cercare il computer, probabilmente uno dei centri stessi da cui è partita la Morte più di cinquemila anni prima. Sceso nelle profondità della base con i suoi compagni, Hiero scopre diverse cose tra cui un meccanismo di autodistruzione ancora funzionante, l’harem della Casa e l’imminente arrivo di un esercito degli Immondi, richiamato dalle onde mentali sprigionate nel precedente scontro con l’abiezione: ma del computer nessuna traccia.
Finalmente, quando gli Immondi sono ormai sopraggiunti, Hiero fa scattare la sua trappola: attiva l’autodistruzione, che fissa per alcune ore più tardi; provoca la Casa distruggendone l’harem e si fa inseguire da essa verso il tunnel da cui proprio in quel momento stanno sbucando i nemici. Hiero ormai è capace di difendersi dagli attacchi mentali della Casa ma non gli Immondi, che ne ignoravano persino l’esistenza: così quando Hiero la conduce al punto di raccolta degli adepti, questi ultimi vengono pietrificati all’istante dalla Casa, che adesso è troppo occupata a tenere sotto controllo centinaia di soggetti per occuparsi di Hiero. Così l’eroe ed i suoi amici – schermati dai poteri mentali di Gorm ed Aldo – possono uscire dal bunker passando proprio sotto il naso degli Immondi, furiosi perché non possono fare niente per impedirlo. Dopo alcune ore di marcia forzata, la base sotterranea finalmente esplode, seppellendo così per sempre la Casa ed infliggendo un duro colpo agli Immondi.
E Hiero non rimane a mani vuote: prima di fuggire infatti Luchare aveva rinvenuto in un ufficio i tre volumi di una guida che insegna a costruire e programmare un computer. Missione compiuta.
Un messaggio ecologista
Quando si inizia a leggere «Il viaggio di Hiero» non si riesce più a smettere: l’ambientazione è così ricca e fantasiosa che risveglia la curiosità del lettore, desideroso di scoprire quali altre sorprese nasconda il libro. Tutto è misterioso e minaccioso, ovunque si respira una traccia di pericolo: sembra davvero di trovarsi all’alba della storia umana, quando gli uomini spaventati scoprivano il mondo selvaggio attorno a loro; perché in effetti il mondo post Morte è un mondo sconosciuto che deve essere riscoperto: soprattutto, è un mondo che ribolle di vita e che riesce pure a comunicare l’impressione di essere vivo realmente, perché il passaggio dei protagonisti in una zona provoca solo un disturbo momentaneo che presto verrà dimenticato dalle creature che la abitano, come se nulla fosse accaduto.
Che l’ambientazione abbia un suo fascino suggestivo è indubbio: basti pensare che alla fine degli anni Settanta questo libro ha ispirato «Gamma World», un gioco di ruolo della Tsr passato alla storia proprio per la sua ambientazione, che si può descrivere come un luna park di generi e influenze. E, sempre parlando di influenze, l’influsso del «Viaggio» sul mondo dei giochi di ruolo ed in particolare di Dungeons & Dragons è inconfondibile: Hiero ad esempio è l’archetipo del ranger (o anche del chierico guerriero, non il classico curatore); gli Undicisti sono lo stampino da cui sono usciti i druidi; la stessa idea dei poteri psionici come alternativa alla magia trova qui la sua origine; e l’ispirazione di usare muffe e fanghi come creature (o, meglio, mostri) arriva pari pari proprio dalla Casa. Da questo è evidente la ragione per cui Gygax abbia scelto di includere questo libro nell’Appendice N, quindi tra le storie che hanno ispirato D&D, perché trabocca di elementi tipici dei giochi di ruolo.
Più sopra si diceva della telepatia, che è l’elemento caratterizzante della storia: questo è senz’altro vero ma occorre osservare che, ad un livello più basso, si può notare anche un secondo tema portante sempre presente, che è l’ecologia, mista ad un certo panteismo. Ovunque nelle pagine del libro si può infatti cogliere un messaggio leggermente ambientalista, che solo a tratti diviene più marcato e inconfondibile, come nella descrizione fatta da Aldo degli eventi che portarono alla Morte e alla fine della civiltà: in questi passi il messaggio diventa un grido e si accompagna ad una certa sfiducia nel progresso, in particolare verso certe discipline scientifiche come la psicologia e la fisica, quelle che in altri termini vanificano i miti del ritorno alla natura e del buon selvaggio. Tuttavia questo tema ecologista non disturba assolutamente sia perché si intreccia bene con l’ambientazione sia perché non è l’interesse prioritario dell’autore, che invece vuole soprattutto raccontare una buona storia: il messaggio però c’è e chi lo cerca lo trova; ma anche chi non lo cerca ne rimane comunque leggermente influenzato.
Certo, quando si prende in mano il «Viaggio» bisogna essere preparati ad affrontare idee non convenzionali, alcune delle quali oggi possono sembrare ridicole, come chiamare «Immondi» il gruppo che è l’incarnazione del Male puro: ma come reliquia di un tempo in cui la fantasia era decisamente libera e poteva scorrere a briglia sciolta senza essere costretta a rispettare margini divenuti convenzionali, il libro si difende ancora molto bene. Non solo è unico nel suo genere ma è anche un’ottima lettura in sé, uno di quei rari libri che lasciano soddisfatti e ripagano del tempo speso per la lettura.
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