Prima di diventare luoghi comuni, quegli espedienti ormai scontati che oggi vengono etichettati come stereotipi – e come tali liquidati se non addirittura derisi – sono stati persino originali: solo il frequente abuso successivo in storie tutt’altro che memorabili ha condannato all’ostracismo quelle situazioni, relegandole al repertorio della peggiore narrativa. Un simile preambolo è d’obbligo per introdurre «La Legione dello Spazio» di Jack Williamson (The Legion of Space, 1934), che non solo sguazza nei luoghi comuni come un porcellino nel fango ma è soprattutto una delle storie più importanti della fantascienza, una di quelle che hanno contribuito a formare la space opera quando il genere stava ancora muovendo i suoi primi passi.
Un’epoca di fermento letterario
Seconda opera pubblicata di Jack Williamson, destinato a diventare uno dei grandi nomi della fantascienza, «La Legione dello Spazio» è uscita in sei puntate su Astounding Stories, dall’aprile al settembre 1934. Secondo quello spocchioso di un Asimov saremmo ancora lontani dall’età dell’oro della fantascienza, che comincerebbe solo nel 1939 (l’anno in cui, guardacaso, è iniziata la sua carriera di scrittore), ma basta scorrere l’indice di questi sei numeri – o di una qualsiasi altra rivista dell’epoca – per doversi ricredere: i grandi nomi, le storie rilevanti (quelle che hanno lasciato un’impronta) e pure i soggetti accattivanti abbondano.
I sei spezzoni della Legione infatti hanno diviso le pagine della prestigiosa rivista con altri classici, come «Sidewise In Time» di Murray Leinster (giugno), punto di riferimento per le storie sui mondi alternativi; con le prime due puntate di «Skylark of Valeron» di Doc Smith (agosto e settembre), la terza avventura dell’Allodola dello spazio che nel 1928 aveva dato origine alla space opera; con numerosi racconti di Donald Wandrei e pure uno di Frank Belknap Long, magari noti più per le storie dell’orrore e del mito di Cthulhu ma sempre nomi altisonanti. Siamo quindi in un’epoca di pieno fermento, quando le idee e la creatività, per quanto balzane, ancora contavano più della verosimiglianza e della «rispettabilità» degli autori.
Nel 1947 i sei spezzoni sono stati raccolti in un volume unico che, fatte alcune trascurabili variazioni per attualizzarne il testo (ad esempio, la professione svolta da un lontano antenato del protagonista, citato nel prologo, passa da «cercatore d’oro in Nuova Guinea» a «fisico nucleare»), lascia pressoché inalterata la sostanza del racconto.
Padroni del sistema solare
La storia è ambientata nel trentesimo secolo: l’umanità ha raggiunto tutti i pianeti del sistema solare ed in buona parte li ha pure colonizzati. Recentemente ha pure raggiunto il primo pianeta extrasolare, quello delle Meduse (i veri cattivi), che orbita attorno alla stella fuggiasca di Barnard: il riferimento astronomico è corretto (vagabondaggi a parte), perché la stella di Barnard dista proprio sei anni luce dalla terra ed è pure una nana rossa, com’è appunto il sole del pianeta delle Meduse. Ma le somiglianze tra realtà e finzione finiscono qui, perché Williamson rincara la dose e ad un certo punto butta lì che la tecnologia delle Meduse permette loro di guidare il sole morente e di spostarlo a piacimento nella galassia, col loro pianeta natale a traino.
Non molto tempo prima degli eventi narrati una spedizione terrestre è dunque sbarcata su questo pianeta, dove ha fatto conoscenza – in apparenza cordiale – dei suoi abitanti ma ne è tornata con un morbo terribile: i pochi superstiti, almeno, dato che il grosso della spedizione era già stato quasi sterminato dalla malattia contratta sul mondo alieno (prima si impazzisce, poi il corpo inizia a marcire).
Prima ancora di questi eventi – attorno al ventiseiesimo secolo – la storia dell’umanità ha conosciuto un paio di secoli oscuri: sono quelli dell’impero, iniziato da Eric Ulnar e terminato da Adam Ulnar, che fu costretto ad abdicare per aver tentato di sopprimere la libertà di ricerca scientifica. Altri duecento anni più tardi – ossia all’epoca dei fatti narrati – la terra è guidata dal Consiglio del Palazzo Verde, in sostanza un regime degli scienziati, difeso dalla legione dello spazio, un piccolo corpo di combattenti scelti.
I secoli oscuri dell’impero
I nomi dei due imperatori (Eric ed Adam) sono importanti perché già nei capitoli iniziali forniscono un indizio sulle vere intenzioni dei due antagonisti: un indizio così sottile che, come gli altri sparsi per la storia, viene fornito a martellate. Come si vedrà infatti, Eric, fondatore dell’impero, rappresenta il male incurabile; Adam, ultimo imperatore, è invece il male che, persa la sua identità malvagia, non sa più che pesci pigliare e si muove come una bandierina al vento in cerca di redenzione.
Anche il cognome degli imperatori, Ulnar, è rilevante: sono infatti tutti discendenti di John Delmar, l’uomo di oggi che nel prologo racconta i fatti futuri ai quali ha assistito nei suoi sogni, narrati nei capitoli successivi. In sostanza tutta la storia dell’esplorazione spaziale è merito di questa famiglia: già a partire dalla metà del ventesimo secolo, i Delmar/Ulnar (quest’ultima una corruzione del cognome creata ad un certo punto per rispondere alle esigenze di un nuovo codice d’identificazione universale) sono infatti sempre stati i primi a fare cose nel sistema solare, come raggiungere per primi i pianeti, morire per primi su di essi, o anche solo inventare e brevettare per primi i motori superluminali che vengono usati ancora oggi; l’oggi del libro, si intende.
E così, sempre per la serie dei sottili indizi dati a martellate, si arriva al protagonista: John Star, nato Ulnar.
John, come il capostipite della famiglia; ed Ulnar, come indizio che sarà lui l’eroe dell’avventura. Diventerà ufficialmente John Star solo nelle ultime pagine del romanzo ma per tutto il libro viene già chiamato così, con un’anticipazione di ciò che verrà: anche se non pare che l’abbia chiesto, come riconoscimento per i suoi servigi il Consiglio del Palazzo Verde ha infatti deciso di cambiargli il nome da John Ulnar in John Star. Un provvedimento che sa di «damnatio memoriae» della famiglia imperiale di cui è l’ultimo rappresentante, un argomento tra l’altro molto attuale in questo clima di cultura della cancellazione della storia.
Tutti i protagonisti: i buoni…
Il protagonista dell’avventura è dunque John Star, nato Ulnar: ventunenne, appena diplomatosi all’accademia della legione, viene scelto dallo zio Adam Ulnar, comandante della legione stessa (occhio al nome), per una missione segretissima agli ordini di Eric Ulnar, suo cugino (notato il nome?), l’eroico comandante della spedizione alla stella di Barnard. I tre sono anche gli ultimi superstiti della dinastia degli Ulnar. Sin dall’inizio il ragazzo viene mostrato estremamente competente, un finto modesto che continua a dare ordini – che vengono accettati e quasi sollecitati – agli altri comprimari, tre esperti veterani scelti per l’incarico più importante del sistema solare: proteggere il custode di AKKA, l’arma segretissima di cui dispone l’umanità.
Questi tre comprimari sono Jay Kalam, Hal Samdu e Giles Habibula: tolto quest’ultimo, i primi due sono poco più di un nome sulla carta, nonostante un timido tentativo di caratterizzazione. Kalam viene mostrato come un uomo colto e taciturno, capace di restare calmo in ogni situazione; Samdu (anagramma di Dumas: la storia infatti sarebbe stata ispirata dai «Tre Moschettieri») è invece un gigante bonario dal faccione rosso che già si pavoneggia nell’uniforme di generale della legione (aspetta solo che gli arrivi la promozione). Di contro, Habibula è un po’ più dettagliato: è un grassone che pensa solo al cibo e non fa che lagnarsi e piangersi addosso. Vent’anni prima era un ladro abilissimo su Venere ma è stato catturato e, come condanna, si è trovato nella legione: ancora oggi non esiste lucchetto, anche di fattura aliena, che possa resistergli. Il personaggio dovrebbe fornire il momento comico ma le sue incessanti geremiadi stancano presto.
I tre, tutti veterani ed esperti, sono incaricati di proteggere Aladoree Anthar, la custode di AKKA, l’arma definitiva (poco più di un McGuffin), che per questo è costretta a vivere sotto sequestro in un forte dimenticato in mezzo al deserto più deserto di Marte. Aladoree è una ragazza – la figlia del precedente custode – che ovviamente si innamora a prima vista di John Star ma viene presto rapita dai brutti con la complicità dei cattivi: tutta la storia è infatti il racconto dell’avventurosa corsa per la liberazione della ragazza, che alla fine potrà costruire l’arma ed usarla contro le Meduse.
…i brutti…
Come detto, i due antagonisti sono anche gli unici due parenti superstiti di John Star: lo zio Adam Ulnar, comandante della legione, ed il cugino Eric, che invece aveva guidato la spedizione alla stella di Barnard.
Sebbene appartengano alla categoria dei cattivi – entrambi vogliono riportare in vita l’impero a qualsiasi costo e l’impero, ci viene detto, è male – risultano soprattutto due macchiette, due inetti che non vedono più in là del proprio naso e per riuscire nei loro scopi chiedono l’aiuto delle Meduse.
Adam, che porta lo stesso nome dell’ultimo imperatore, è un continuo tiramolla di idee, sentimenti e ravvedimenti improvvisi: per riuscire a portare John dalla sua, arriva persino a promettergli di creare lui imperatore e non il cugino, solo per farsi rigettare in faccia l’offerta dall’eroe. Dal canto suo Eric, un uomo di bell’aspetto che porta il nome del primo imperatore, è vigliacco e malevolo: in occasione del primo contatto col pianeta delle Meduse, che è protetto da un campo di energia, infatti «era stato furbo e aveva tenuto la sua ammiraglia in retroguardia», mandando invece allo sbaraglio le altre navi della spedizione, che così si erano disintegrate al contatto con questo scudo energetico. Un classico dei cattivi che più classico non si può.
Tra incompetenza e pusillanimità, nell’insieme escono come la caricatura malvagia di Gianni e Pinotto: due avversari che non si possono prendere sul serio.
…e i cattivi
Gli orribili alieni di questo libro sono le Meduse, esseri che ricordano le creature marine da cui prendono il nome: un ombrello fluttuante di sei metri di diametro con una massa di tentacoli che pendono al di sotto del corpo e quattro occhi posti lungo la circonferenza. Queste creature antichissime – avevano già raggiunto l’apice della loro tecnologia ancor prima che la terra si formasse – abitano l’unico pianeta che orbiti attorno alla stella di Barnard: con la loro scienza riescono persino a spostare l’astro nello spazio, che si porta dietro il loro mondo; ma qualcosa dev’essere andato storto ed ora il pianeta nelle sue lunghe orbite (il giorno dura due settimane, la notte una) si avvicina sempre più al suo sole.
Così le Meduse, che pure hanno già colonizzato altri pianeti, hanno messo gli occhi – tutti e quattro – sul sistema solare: hanno accettato una finta alleanza con Adam ed Eric, dei quali sostengono il sogno imperiale in cambio di un’astronave piena di ferro, un metallo di cui il loro pianeta è privo. In questo modo, su suggerimento di Eric, hanno rapito Aladoree, privando così l’umanità dell’unica arma con cui avrebbe potuto opporsi alla conquista: e poi hanno fatto partire l’invasione, piazzando la loro base sulla luna. Non viene detto come Eric pensasse di prendere il potere: probabilmente sfruttando la potenza militare delle Meduse, proprio come un re senza trono che usi mercenari per riconquistarlo. Un piano votato al fallimento.
In breve la legione è spazzata via dalla superiorità degli alieni e l’umanità è piegata: le Meduse immettono infatti nell’atmosfera di tutti i pianeti abitati – e persino della luna priva di atmosfera – un gas rosso che già utilizzano sul loro pianeta per conservarne il calore. Questo gas, innocuo per loro, è invece mortale per gli uomini: è infatti ciò che ha provocato la pazzia e l’imputridimento dei corpi ai membri della spedizione Ulnar. Anche se il gas proprio così mortale non deve essere: John e compagni infatti lo respirano per mesi durante la loro permanenza sul pianeta delle Meduse e non gli succede niente, a parte un po’ di tosse.
Sempre per la coerenza, merita evidenziare che il pianeta delle Meduse è privo di ferro ma la loro unica città – un’enorme metropoli di edifici colossali, alti chilometri – è fatta interamente di metallo nero: è vero che i metalli sono tanti ma quando si pensa al metallo il primo e a volte l’unico che viene in mente è proprio il ferro.
Tradimento su Marte
Dopo un prologo apologetico sulla stirpe dei Delmar/Ulnar, la storia si apre sul rampollo di famiglia, presentato subito col cognome che prenderà solo alla fine dell’avventura che sta per cominciare: il ventunenne John Star, che ha appena terminato i cinque anni di accademia della legione e sta per ricevere la prima destinazione. Grazie all’intercessione dello zio Adam, comandante della legione, è stato scelto per il compito più importante di tutto il sistema solare: sorvegliare il custode dell’arma AKKA (che va scritto proprio così, tutto maiuscolo, ma non verrà mai detto di cosa sia l’acronimo), tenuto protetto in una località segretissima. John svolgerà il suo servizio sotto il cugino Eric, capitano della legione, col quale – e con due dei suoi scagnozzi – parte quella sera stessa alla volta di Marte: un forte fatiscente che sorge isolato in un deserto privo di vita, l’eremo in cui vive il custode. Qui John conosce il capitano Otan ed i tre commilitoni con cui condividerà l’avventura: Jay Kalam, Hal Samdu e Giles Habibula; conosce inoltre Aladoree Anthar, la custode di AKKA, ed è amore a prima vista.
Poche ore dopo l’arrivo su Marte atterra a ridosso del forte un’astronave di forma mai vista – una specie di ragno enorme – ma nessuno si perita di controllare cosa vogliano i nuovi arrivati: dopotutto l’esistenza stessa del forte dovrebbe essere segreta e ogni arrivo imprevisto dovrebbe almeno insospettire i guardiani, che invece scelgono di non badarci. Si tratta di un’astronave delle Meduse, con le quali Eric è in combutta: gli alieni devono aiutarlo a riprendersi il trono che fu della sua famiglia in cambio di un carico di ferro, un metallo di cui il loro pianeta è privo.
Quella notte quindi le Meduse uccidono il capitano Otan (solo lui) e rapiscono Aladoree: l’indomani mattina John, che non è un fulmine, obbediente fa ciò che gli viene ordinato da Eric, ossia imprigiona i tre militi che formavano la guardia di Aladoree, accusati di avere ucciso il capitano. Poi però mangia la foglia, accusa Eric del tradimento e durante la discussione all’ombra dell’astronave viene ferito alla spalla da un’arma delle Meduse (il primo di quattro ferimenti, tutti alla stessa spalla, che subirà durante l’avventura) e perde convenientemente conoscenza. Al risveglio l’astronave non c’è più: così per redimersi libera i tre legionari, che accettano senza rancore le sue scuse, ed assieme a loro si mette all’inseguimento dei rapitori.
Inizia così la vera avventura, che è un continuo insorgere di nuovi problemi e minacce, tutti superati abilmente dai nostri, al massimo con un po’ di affanno.
Presto soccorsi dalla Sogno Purpureo, l’ammiraglia della flotta della legione in uso esclusivo di Adam Ulnar (un ??? che vuole ristabilire l’impero), i nostri vengono portati su Phobos al Palazzo di Porpora, la copia identica del Palazzo Verde, dove vengono imprigionati con l’accusa di tradimento in attesa di essere giustiziati quanto prima ma senza processo: questo permette ai protagonisti di riuscire nell’ovvio progetto di fuga, di prendere il controllo dell’ammiraglia e di mettersi così sulla pista della nave delle Meduse, che ha già un bel vantaggio.
Se non fosse ancora chiaro, il porpora era il colore dell’impero così come il verde è quello della tecnocrazia: come detto, Williamson ama infarcire la storia di sottili indizi, amministrati con la sottigliezza di una martellata.
Sul pianeta delle Meduse
Superate alcune banalità lungo la strada, i nostri riescono a passare quasi indenni attraverso la barriera di energia che avvolge il pianeta delle Meduse, dove però fanno naufragio: la Sogno Purpureo precipita in mare. Raggiunta a nuoto la costa orientale dell’unico continente (la cui superficie è pari a quella della terra mentre il pianeta è grande tre volte il nostro), i quattro superano le asperità del territorio e dopo alcune settimane raggiungono la costa occidentale, dove sorge l’unica città delle Meduse, una metropoli colossale di edifici alti chilometri, senza strade né scale né ascensori perché le Meduse, fortuna loro, volano.
Ma non brillano per intelligenza, dal momento che ai nostri basta scalare l’acquedotto fuori città e lasciarsi trasportare dalla corrente per superare le possenti mura che cingono la metropoli, fatte di metallo nero come ogni altro edificio.
Presto catturati e rinchiusi in cella assieme ad Eric, che è tenuto in vita perché deve interrogare Aladoree, tenuta in un’altra stanza (le Meduse comunicano con le microonde e non hanno modo di farsi capire dalla ragazza: non è chiaro però come Eric riesca a fare da interprete), John e compagni riescono a fuggire già il giorno dopo portandosi dietro la ragazza: la prigione sta a più di un chilometro dal suolo ma, sotto una tempesta di acqua e vento, sfruttano le flange di un pluviale come una scala a pioli per scendere a terra, dove vengono attaccati dalle Meduse, allertate da Eric, sempre più traditore.
La nuova fuga, questa volta attraverso le fognature, li porterà finalmente alla libertà.
La legione contrattacca
Tuttavia si apprende che durante i mesi trascorsi dall’inizio dell’avventura le Meduse hanno sferrato il loro attacco al sistema solare e stanno gasando i pianeti per sterminare l’umanità. E i nostri eroi sono quasi al punto di partenza, perché non hanno un’astronave per tornare a casa: o meglio, non avevano, perché mentre si leccano le ferite a fuga avvenuta notano che la Sogno Purpureo è stata ripescata dal mare e proprio in quel momento viene depositata sul tetto dell’edificio che era stato la loro prigione.
E non hanno nemmeno i pezzi per costruire AKKA: o meglio, Aladoree riesce a costruirla con materiali di recupero ma non può attivarla, perché avrebbe bisogno di un frammento di ferro, indispensabile per l’elemento magnetico, che però è introvabile sul pianeta.
Così John, improvvisando un aliante con le ali di una creatura mostruosa di quel pianeta, riesce a prendere il controllo della Sogno Purpureo, dentro la quale ritrova lo zio Adam (che si erano tirati dietro dall’inizio come ostaggio: in seguito al naufragio aveva preferito restare chiuso nello scafo), desideroso di espiare le sue colpe contro l’umanità: ha già ucciso Eric con le proprie mani e con qualche inganno infantile ha ottenuto che le Meduse riparassero e riequipaggiassero la nave, nella speranza che John e gli altri fossero vivi e potessero sferrare l’attacco decisivo agli alieni.
Ripresi così a bordo i compagni e raggiunta la terra, Adam si redime con un attacco suicida mentre i nostri esplorano le rovine del Palazzo Verde, raso al suolo dalle Meduse: ma qui John trova un frammento di ferro e lo offre ad Aladoree, che così può terminare la sua arma: basta puntarla e…puff! le navi inseguitrici scompaiono dallo spazio. Scompare anche la luna, dove le Meduse avevano installato la loro base operativa, ma nessuno sembra rammaricarsene.
Nell’epilogo, John ha ereditato tutto il patrimonio degli Ulnar, Palazzo Purpureo incluso: qui è appena sbarcato il nuovo comandante della legione, Jay Kalam, a bordo della nuova ammiraglia – la Difensore Verde – per recare due doni all’eroe. Il primo è il cambio del cognome da Ulnar in Star, il secondo è l’innamoratissima Aladoree, ancora la custode di AKKA, che qui dovrà restare, con la scusa che il Palazzo Purpureo è il luogo più sicuro del sistema solare.
Tante idee e tanto entusiasmo
La storia è tutta qui, un concentrato di scene e situazioni tipicamente pulp: la trama stessa è leggerina, a tratti persino traballante e appena accettabile nel migliore dei casi, ma nel complesso scorre bene. Nel complesso, il romanzo è un esempio da manuale di ciò che era la fantascienza di un tempo: tante idee, tanto entusiasmo, tanta (troppa) superscienza ed un ritmo incalzante, che non lascia il tempo di riprendere il fiato ma continua a gettare gli eroi in nuove situazioni. Questo genere di storie non va letto per la coerenza della trama né per la precisione scientifica ma come puro escapismo, un’avventura in cui è consigliabile spegnere il cervello e lasciarsi coinvolgere dall’intreccio: la new wave, con la sua predilezione per l’introspezione e la riflessione psicologica, è infatti lontana ancora anni luce da queste pagine, nelle quali invece abbondano gli stereotipi e brillano personaggi che sono sì piatti e legnosi ma si presentano anche come eroi archetipici.
Ispirata ai Tre Moschettieri di Dumas, la Legione dello Spazio ne rielabora il canovaccio in chiave spaziale: così, ad esempio, John Star è D’Artagnan ed i suoi tre camerati sono Athos, Porthos e Aramis, con Habibula modellato su Porthos (e, pare, anche sullo scespiriano Falstaff) e Samdu che, come visto, non è altro che l’anagramma di Dumas. Allo stesso modo, il furto di alcuni gioielli viene sostituito con la sparizione di un’arma formidabile, che in una space opera vale più di tutto l’«arenak» della galassia.
Nell’insieme «La Legione dello Spazio» non può deludere, a patto che non ci si aspetti molto più di una bella storia d’avventura che non pretende di insegnarci nulla, a parte il modo di sognare un futuro che oggi è molto più lontano di quanto apparisse un tempo.
Aggiunta: qui ho pubblicato la recensione dello scialbo seguito, «Quelli della cometa» (The Cometeers, 1936) e qui quella del pessimo terzo episodio, «L’enigma del Basilisco» (One Against The Legion, 1939). Ma il mio consiglio è di evitarli entrambi come la peste.
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