Libri

Charles R. Tanner – Tumithak dei corridoi

C’era un tempo non troppo lontano in cui l’uomo celebrava l’ingegno umano e reclamava per i suoi simili il giusto dominio su tutto il creato: il tarlo del «tutto è relativo» non aveva ancora consumato le fondamenta della società, che anzi all’epoca era ben salda e fiduciosa nel proprio futuro. Tutta questa sicurezza ottimistica si rispecchia anche nelle storie pubblicate sulle riviste pulp, che sono un tipico prodotto di quei tempi: magari sfornavano trame semplici e lineari, eroi bidimensionali e prevedibili, ambientazioni dualistiche e generalizzanti ma nell’insieme questi racconti erano imbottiti di fantasia, carichi di senso del meraviglioso e capaci di una forza ispiratrice senza eguali.
Un fulgido esempio di questo ottimismo è evidente nelle tre storie di Tumithak dei corridoi, scritte tra il 1932 ed il 1941 da Charles R. Tanner e tradotte pure in italiano con i titoli «Tumithak dei corridoi» (Tumithak of the Corridors, Amazing Stories, 1932), «Tumithak a Shawm» (Tumithak in Shawm, Amazing Stories, 1933) e «Tumithak e le torri di fuoco» (Tumithak and the Towers of Fire, Super Science Stories, 1941); un quarto racconto, «Tumithak and the Ancient Word», inedito in Italia, è stato pubblicato postumo in una raccolta americana nel 2005 ma può essere letto anche qui.

Una panoramica sulle tre storie
Scelte persino da Asimov per una raccolta autocelebrativa che contenesse il meglio degli anni Trenta, queste storie hanno numerosi pregi: prima di tutto sono collegate l’una all’altra e, almeno le prime due, possono essere lette come un’opera unica, dal momento che ciascuna parte pressappoco dal punto in cui era terminata la precedente e nessuna contraddice mai eventi già noti. Presentano inoltre un’ambientazione curiosa, quasi nuova per il panorama dell’epoca: l’umanità, sconfitta (sconfitta!) duemila anni prima dagli invasori venusiani, si è rifugiata nel sottosuolo, dove si è imbarbarita e non solo ha perso gran parte delle sue conoscenze ma ha anche sviluppato un terror panico per gli alieni. I quali, pur malvagi fino nel midollo, almeno hanno una parvenza di motivazione: conquistarsi nuovi spazi abitativi e riserve di cibo.
L’aspetto più considerevole di questo miniciclo va però ricercato nella figura del protagonista che, seguendo la classica progressione «zero to hero», appare molto moderno, e non solo per un eroe degli anni Trenta: non è infatti il tipico superuomo da storia d’azione, sempre all’altezza delle situazioni, ma viene presentato come un ragazzo comune – magari un po’ più scaltro ed abile dei suoi coetanei, questo sì – e, in quanto «prodotto di cento generazioni di uomini abituati a fuggire al minimo rumore sospetto», capace persino di provare paura. Sacrilegio!
Ciò che lo rende davvero unico è pertanto la missione che sente di dover compiere: guidato da un unico pensiero, riportare l’umanità alla sua antica grandezza e riconquistarle la terra che un tempo le apparteneva, Tumithak è in definitiva un nuovo messia, colui che il destino o l’evoluzione hanno scelto per cambiare la storia.

Tumithak dei corridoi (Tumithak of the Corridors, 1932)
Nel lontano futuro dell’anno cinquemila e qualcosa, la terra è sotto il giogo degli invasori alieni, gli shelk, noti anche come le Belve di Venere ed il Terrore dalla Superficie, sorta di ragnoni o granchioni venusiani con testa quasi umana ed appetiti vampireschi; gli umani autentici invece vivono tutti impauriti nelle gallerie, una rete labirintina di tunnel scavati sottoterra nei primi giorni dell’invasione, dai quali l’umanità non è mai più emersa. Da allora sono passati duemila anni ed ormai la vita nelle gallerie è divenuta la normalità per i terrestri che, imbarbaritisi, non pensano nemmeno più a riprendersi il pianeta che era loro: anzi, solo l’idea di trovarsi faccia a faccia con uno shelk è sufficiente a gettare tutti nel panico.
Tutti tranne Tumithak, l’indomito eroe eponimo, che fa dell’uccidere un invasore il fine della sua vita: e sin dalle prime pagine è chiaro che ci è riuscito, dal momento che il racconto si apre con una prefazione apologetica per l’eroe liberatore divenuto leggendario, scritta in un futuro così remoto rispetto agli eventi narrati che le stesse gesta di Tumithak si sono ormai perdute nel lontano passato.

Briciole di ambientazione
Ancora adolescente, Tumithak e due amici stanno esplorando alcune gallerie abbandonate da tempo immemore: questi corridoi sono esattamente quello che ci si aspetta, dei lunghi tunnel grigi illuminati alle cui pareti si aprono ad intervalli regolari delle porte, che conducono nelle abitazioni. Qua e là, spesso all’interno di appartamenti civetta, si trovano passaggi segreti che portano in altre gallerie a livelli superiori od inferiori, ideati nei primi tempi della fuga dalla superficie per proteggersi dalle spedizioni sotterranee degli shelk.
Evidentemente la popolazione umana è calata sensibilmente col passare dei secoli, tanto che oggi non solo chilometri di gallerie sono stati abbandonati e sono caduti in abbandono ma i superstiti sono addirittura divisi in almeno tre comunità sempre in guerra tra loro: si tratta di Loor, il villaggio di Tumithak, che si trova al livello più basso; di Yakra, i nemici di Loor, che si trovano al livello più alto; e di Nonone nel mezzo, che sta ora con gli uni ora con gli altri.
La comunità di Loor ha mantenuto un po’ dell’antica tecnologia: hanno infatti macchine che sintetizzano il cibo dalla roccia e che tessono una tela grossolana con cui sono fatti i loro vestiti ma ignorano le tinte, gli insaporitori e i materiali rigidi come il legno e la plastica, tanto che al posto delle porte usano delle semplici tende. Gli yakrani invece sono più barbarici, sia nell’aspetto sia nelle abitudini: sono tutti barbuti e pelosi e agghindano i loro abiti con le ossa dei nemici uccisi.
Nell’esplorare una galleria abbandonata, Tumithak trova dunque i resti di un antico libro – scritto su fogli di metallo – che narra i primi tempi dell’invasione: l’eroe scopre così che nel passato gli uomini erano i dominatori del mondo, che vivevano in superficie e che prima di ritirarsi nelle gallerie hanno combattuto a lungo con i terribili shelk, che invece provengono da un altro pianeta.
Quando infatti la prima spedizione terrestre giunse su Venere vi trovò una civiltà avanzata tecnologicamente in tutti i campi tranne l’astronomia, resa impensabile dalle fitte nubi che avvolgono il pianeta costantemente. Gregari e spietati di natura, all’arrivo degli umani gli shelk videro un’opportunità: catturarono l’equipaggio e ne studiarono l’astronave, preparandosi così all’invasione della terra. Costruita infine una flotta di duecentomila navi identiche all’originale, partirono alla conquista del nostro pianeta ma solo dopo che gli ultimi superstiti della spedizione, liberatisi, erano riusciti ad avvertire la terra.
La guerra totale che ne seguì, combattuta a colpi di raggi disintegranti, gas venefici, sostanze chimiche che bruciavano l’ossigeno, finì in uno stallo – agli shelk la superficie, agli umani il sottosuolo – che rapidamente però si trasformò in una disfatta per l’umanità: «Da più di cento anni, nessuno ha più osato pensare di ribellarsi agli shelk, così come un ratto non oserebbe pensare di ribellarsi all’uomo», si legge nel frammento ritrovato dall’eroe, che prosegue: «Le Belve di Venere, così simili ai ragni, sono ora i padroni supremi del nostro pianeta».

Il viaggio di Tumithak
Compiuti i vent’anni e divenuto infine maggiorenne, Tumithak è sempre deciso ad uccidere uno shelk e a far ritorno a casa con la sua testa, per dimostrare che i ragnoni possono essere sconfitti: così, presa la spada e congedatosi dal padre Tumlook – dal quale riceve però tre reliquie del passato: una torcia elettrica, una carica di esplosivo molto potente ed una pistola con dieci proiettili – quel giorno stesso lascia Loor ed il viaggio ha inizio.
Superata Nanone senza problemi e Yakra con l’inganno (corre incontro ad una pattuglia di yakrani, facendo credere di essere inseguito dagli shelk: tanto basta per far scoppiare il panico nell’intera cittadina), incontra i primi veri pericoli quando raggiunge i Corridoi Bui, gallerie rimaste senza illuminazione poste ad un livello ancora superiore rispetto ad Yakra dalle quali nessuno ha mai fatto ritorno. Questi tunnel sono infatti abitati da uomini selvaggi dall’aspetto emaciato, dall’incarnato color ardesia e dalla vista sensibilissima ad ogni fonte di luce per l’abitudine a vivere nell’oscurità ma con udito, tatto ed olfatto assai sviluppati. Catturato da questi subumani per essere servito a cena, si salva facendo uso dell’esplosivo, che riduce a poltiglia il branco di venti e più cani messi a guardia della sua cella: con l’aiuto della torcia, che tiene lontani i selvaggi ancora spaventati dal botto, riesce anche ad orientarsi nei Corridoi Bui e raggiungere un livello ancora superiore, il più strano che abbia mai visto, quello degli Esthett.

Il ritorno di Tumithak
Questi Esthett, che si definiscono gli Eletti, sono una comunità di ciccioni imbelli che passano il tempo a creare oggetti d’arte: credono infatti che i Santi Shelk, i Signori della Creazione, come li definiscono, apprezzino le loro opere a tal punto che di quando in quando i più bravi e fortunati di loro vengono persino invitati dagli invasori a vivere alla superficie e creare arte per i loro mecenati. Superfluo dire che in realtà i venusiani ne sfruttano la stupidità bovina per trattarli come bestiame: quando li radunano ne scelgono alcuni da portare a festini privati, dove vengono poi dissanguati dai commensali. I corridoi in cui vivono però sono deliziosi a vedersi: illuminati da una luce morbida, interamente ricoperti di dipinti, bassorilievi, intarsi, con statue ed altri ornamenti che ne impreziosiscono ogni angolo; gli stessi abiti indossati dagli Esthett sono meravigliosi, vesti leggerissime e coloratissime.
Mentre Tumithak si trova in questi corridoi arrivano gli shelk, che convocano la popolazione e portano via alcuni di loro, per condurli al macello: Tumithak, non visto, riesce ad aggrapparsi al veicolo dei venusiani e, dopo aver assistito al festino, fugge. Copre così l’ultimo tratto che ancora lo separa dalla superficie: quando finalmente sbuca all’aperto ed osserva lo spettacolo del cielo e della natura rimane ovviamente senza parole, prima di essere preso dalla paura per la vastità della sala enorme in cui crede di essere sbucato. Quando finalmente riesce a dominarsi e torna a guardarsi attorno, scorge in lontananza delle torri erette ad angoli impossibili (nel seguito si scoprirà che tale cittadina, rimasta innominata in questo racconto, è proprio Shawm), che rimane ad osservare finché non viene sgridato da uno shelk che, sbucatogli alle spalle, gli ordina di tornare nel buco da cui è appena uscito: per disgusto, paura e reazione, lo uccide sul posto (con la pistola del padre) e poi gli mozza la testa incoronata. Nel seguito si appenderà che questo shelk era il Governatore Inferiore della città.
Nelle ultime pagine del racconto Tumithak fa ritorno a casa, accompagnato dai capi di Nonone e Yakra esultanti: indossa gli splendidi abiti degli Esthett, regge la testa dello shelk e ne cinge la corona. Acclamato capo di tutti i corridoi inferiori, già annuncia il suo programma: guidare gli abitanti dei tre villaggi uniti dapprima alla conquista dei Corridoi Bui e degli Esthett e poi, riunite le gallerie, finalmente contro gli shelk.

Tumithak a Shawm (Tumithak in Shawm, 1933)
Sono passati due anni dal ritorno di Tumithak e dall’inizio della sua campagna di unificazione del sottosuolo: tutte le gallerie sono ormai sotto il suo controllo, compresi i Corridoi Bui ed i loro selvaggi abitanti, che adesso prestano servizio nel piccolo esercito dell’eroe. Per completare l’unità del sottosuolo manca solo il villaggio degli Esthett, che all’apertura del racconto sta per essere conquistato: non verrà risparmiato nessuno dei suoi imbelli abitanti, per impedire all’indole infida degli artisti sovrappeso di tradire il corpo di spedizione.
L’obiettivo di Tumithak è però la superficie: quando vi giunge è notte e così, accompagnato solo dal capo degli yakrani Datto, dal nipote di questi Thorpf e dall’amico Nikadur, l’eroe decide di andare in perlustrazione nella città che aveva già intravisto nel racconto precedente (che qui riceve un nome per la prima volta: Shawm appunto), dove però vengono colti dal sorgere del sole e dalla improvvisa ripresa delle attività.
Nella fuga – battaglia inclusa – che seguirà i quattro vengono divisi ma solo dopo aver appreso una serie di informazioni importanti e scoperto che una razza di umani rinnegati, i Mog, servono i venusiani come battitori e segugi fedeli: Thorpf cade e Datto viene catturato ma Tumithak e Nikadur riescono a mettersi in salvo.
Ormai lontani, nella fuga si imbattono in una ragazza che, armata di spada, si sta battendo contro tre Mog mentre altrettanti shelk osservano in distanza la scena, pronti ad intervenire con un disintegratore. Ovviamente i nostri attaccano, uccidono tutti e salvano la combattiva ragazza, che dice di chiamarsi Tholura: dal veicolo dei venusiani recuperano anche un fascio di barre che, si scoprirà più avanti, sono usate come combustibile per alimentare tutte le macchine sia dell’antica scienza umana sia degli shelk, che in definitiva ce le hanno copiate.
La ragazza si offre di accompagnare i due eroi nelle gallerie in cui vive con la sua tribù, i Tain: lungo la strada però Tumithak e Nikadur salvano anche Datto e Thorpf (solo creduto morto), che avevano causato lo schianto della nave volante su cui erano stati caricati per essere portati a Kaymak, la capitale degli shelk, verso la quale ora venivano condotti via terra dai superstiti. Così ricongiunti, i cinque raggiungono le gallerie dei Tain appena in tempo per mettersi in salvo dagli inseguitori, che però fanno crollare l’ingresso e quindi li sigillano all’interno.
I Tain sono più civilizzati delle tribù conosciute sinora da Tumithak: non solo conoscono gli insaporitori del cibo e di quando in quando corrono il rischio di uscire all’aperto ma possiedono anche numerose macchine dell’antichità, tenute in perfetta efficienza dai tecnosacerdoti che guidano la comunità; il carburante necessario per metterle in moto è però esaurito da secoli ma proprio a questo servono le barre recuperate dai nostri. Con una di queste i Tain attivano un’antica scavatrice o disintegratrice e scavano un nuovo tunnel che colleghi le loro gallerie a quelle di Tumithak: le due tribù che un momento prima nemmeno si conoscevano formano adesso un’unica comunità.
Ricongiuntosi coi suoi, Tumithak progetta un piano per assalire Shawm con due attacchi combinati, l’uno che parta dal pozzo di uscita delle sue gallerie, l’altro condotto da un piccolo corpo di spedizione che emerga dalle gallerie dei Tain e attacchi la città su un secondo fronte: Tumithak stesso guiderà questo gruppo, per far parte del quale la combattiva Tholura – adesso promessa sposa dell’eroe – insiste finché non l’ha vinta.
Nella battaglia che seguirà la città viene conquistata, gli shelk ed i Mog sterminati: ma non c’è tempo per festeggiare, perché le sentinelle scorgono in lontananza una flotta di ornitotteri (velivoli con ali che sbattono come quelle degli uccelli), che verranno disintegrati ancor prima di capire cosa stesse accadendo.
E così Tumithak, che ignorava trattarsi di un convoglio di rifornimenti ma lo credeva un carico di rinforzi, si prende l’ultima parola: «Io sconfiggerò altri shelk, e poi altri ed altri ancora, finché verrà il giorno che l’ultimo shelk, circondato dal suo folle e servile gruppo di Mog, non sarà abbattuto, calpestato e bruciato, e avrà la morte che si merita».
Sic semper tyrannis.

Tumithak e le torri di fuoco (Tumithak and the Towers of Fire, 1941)
Racconto brevissimo, quasi un episodio di una storia che potrebbe essere più lunga: decente e fantasioso, rispetta il canone ma manca dell’entusiasmo e della presa dei due racconti precedenti.
Sono passati altri due o tre anni dalla conquista di Shawm: Tumithak, che adesso è accompagnato da un servitore Mog (ma di Tholura non si fa menzione in tutto il racconto), è in cerca di barre di combustibile, che in città iniziano a scarseggiare. Nelle sue peregrinazioni si imbatte in un altro complesso di gallerie, dove risolve agilmente un problema di politica interna e viene pertanto accolto da liberatore: ricevute indicazioni ed un po’ di aiuto dagli indigeni, libera anche gli schiavi umani assegnati alle fabbriche di barre di energia che si trovano a Kaymak, la capitale degli shelk.
Le conoscenze di questi ex schiavi saranno utili per allestire un impianto di produzione di barre in una caverna alla periferia di Shawm, dove l’eroe ha eletto la dimora propria e dei suoi seguaci: un esperimento fallito rade al suolo la fabbrica ma permette almeno di scoprire un principio ignorato sinora, ossia che quando le barre vengono colpite da un raggio liberano tutta l’energia che contengono in un’unica esplosione, atomica.
Tumithak progetta quindi un piano che pare ideato da D’Annunzio: con i due ornitotteri di cui dispone bombarda Kaymak per irradiare di energia tutte le barre contenute nelle sue torri e causando così esplosioni a tappeto che radono al suolo la città, le cui rovine vengono poi occupate facilmente dalle truppe di terra.

Tumithak and the Ancient Word (2005)
Racconto conclusivo della serie, «Tumithak and the Ancient Word» è stato pubblicato postumo e di parecchio, dato che Tanner è morto nel 1974 e questa storia è apparsa solo nel 2005: visti i riferimenti agli eventi narrati nelle «Torri di fuoco», deve essere stato scritto dopo il 1941.
Delle «Torri di fuoco» segue, a spanne, anche il canovaccio: l’eroe eponimo ed il fedele servo Mog Kiletlok, già incontrato nella storia precedente, partono con un terzo compagno, Domnik dei Corridoi Bui (il popolo di selvaggi che, ridottisi a vivere nell’oscurità, hanno perso l’uso della vista ma affinato tutti gli altri sensi) per salvare la moglie (Tholura, già vista) ed il figlio di Tumithak, rapiti entrambi da un certo Yofric. Questi, salvato ed accolto tempo prima dal protagonista come amico, è in realtà un Mog mezzosangue ancora al servizio degli shelk della città di Kuchklak: il suo compito era appunto di ottenere la fiducia di Tumithak e poi di rapirgli la famiglia e riportarla in città perché servisse da esca per l’eroe.
Kuchklak, viene spiegato, sorge un centocinquanta chilometri più ad ovest dei possedimenti di Tumithak che, si scopre finalmente, si trovano pressappoco nel Minnesota ed al momento attuale, a dieci anni dall’inizio della rivolta, contano otto città: centri molto singolari tra l’altro, dal momento che gli umani, abituati a vivere nelle gallerie sotterranee, hanno riadattato le torri degli shelk abbattute perché rassomiglino il più possibile ai corridoi in cui erano soliti vivere, quindi lunghissimi parallelepipedi al cui interno si sviluppa un corridoio sul quale si affacciano gli appartamenti.

A Kuchklak e ritorno
Messisi dunque all’inseguimento di Yofric con un «ornitottero» (gli aerei ad ala mobile degli shelk), i tre stanno per raggiungere l’analogo velivolo del traditore quando sono costretti ad ingaggiare battaglia con un terzo veicolo: entrambi vengono abbattuti ma quello degli shelk ha la peggio. L’unico sopravvissuto è un certo Lornathusia, un Esthett, il popolo di artisti ciccioni usati come bestiame dagli invasori venusiani che si erano già incontrati nel primo racconto: evidentemente gli Esthett sono suddivisi in più colonie, tutte con lo stesso scopo. Anche se con disprezzo, Tumithak, che è andato ad ispezionare il relitto, accoglie Lornathusia nel gruppo. Quella notte si aggiunge anche un cane, riconosciuto da Domnik (i selvaggi dei Corridoi Bui vivevano come punkabbestie a stretto contatto con i loro cani), che dopo averlo preso con sé gli dà il nome di Kuzco: così abbiamo esaurito tutti i nomi rilevanti del racconto.
L’indomani mattina il gruppo viene catturato dagli shelk e, dopo le consuete promesse e vuote minacce ad opera del governatore di Kuchklak, gettato in una profonda buca scavata tempo prima per lo scopo: i prigionieri vengono però nutriti molto bene. Giorni dopo, il cane, scavando nel terreno per sotterrare del cibo avanzato, trova il vuoto appena sotto il pavimento della buca: è una galleria abbandonata, che quella notte i nostri usano per fuggire.
A questo punto, tutti gli accompagnatori di Tumithak hanno giustificato la loro presenza con un contributo alla fuga: Kiletlok ha messo Tumithak sulla giusta traccia, il cane ha trovato il corridoio, l’Esthett ha modellato delle forme che assomigliassero ai protagonisti addormentati per ingannare gli stupidi shelk, Domnik il cieco sta invece per guidare il gruppo nel buio totale delle gallerie appena scoperte. Giorni dopo si imbattono finalmente in Tholura, che pure è riuscita a fuggire da Yofric: costei li conduce all’antica e ricchissima biblioteca dei rifugi abbandonati in cui si trovano, vicina all’ingresso attraverso cui si è avventurata in queste gallerie. Quando, carichi di volumi, i nostri lasciano finalmente i corridoi vengono però catturati nuovamente dagli shelk, per essere liberati subito dopo da un corpo di spedizione dei Krayling, gli abitanti di un villaggio umano sotterraneo di soli neri che, nelle «Torri di fuoco», Tumithak aveva soccorso e che da allora hanno giurato fedeltà al protagonista.
Con sua somma soddisfazione i liberatori, appresa la cattura dell’eroe e datane ormai per scontata la morte, avevano deciso di compiere una spedizione punitiva contro Kuchklak: al sentire ciò Tumithak si rallegra perché la reazione dei Krayling ha appena cancellato il suo unico timore, ossia che il destino dell’umanità pesi solo sulle sue spalle e che la ribellione degli uomini possa finire con la sua morte.
Lo spirito guerriero dell’umanità si è invece appena risvegliato.

Un breve commento
Com’è lecito attendersi, la storia è leggera e non ha altro scopo che intrattenere il lettore: i suoi aspetti più validi riguardano infatti la continuità con i racconti precedenti, non c’è un solo antefatto che venga cambiato o abbandonato perché non è più utile ai fini della trama ma anzi ci sono frequenti riferimenti a fatti, personaggi od oggetti già apparsi nelle storie precedenti. Come prevedibile, invece, gli aspetti più deboli sono gli stessi di tutti i pulp: una trama lineare, personaggi bidimensionali, il pesante intervento dell’autore perché avvengano determinati eventi, un lieto fine già certo all’apertura del racconto. Non sono veri difetti ma caratteristiche di questo tipo di letteratura, volutamente disimpegnata: si possono vedere come una sorta di invito a pensare sempre in positivo, a non disperare mai, a non darsi mai per vinti perché l’uomo con la sua creatività – ed un pizzico di fortuna, magari: ma si sa che aiuta gli audaci – trova sempre una soluzione.

5 thoughts on “Charles R. Tanner – Tumithak dei corridoi

Scrivi qui il tuo commento