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Frederik Pohl – Il pianeta Jem

Sono dell’idea che con gli anni Settanta è iniziato il declino di Frederik Pohl: un declino più nei temi che nella capacità narrativa – che anzi proprio in quegli anni ha raggiunto il suo apice – ma evidenziato da un cambio radicale degli interessi e delle ambientazioni. Lasciatosi ormai alle spalle le grandi opere di critica sociale, proprio con gli anni Settanta Pohl ha iniziato ad esplorare temi nuovi che in un certo senso non gli erano propri: infatti, nonostante alcune eccezioni, è sempre stato un autore legato alla Terra, perché qui il suo spirito critico poteva brillare. Ed invece in quegli anni Pohl ha iniziato ad allontanarsi sempre più spesso dal nostro pianeta per dedicarsi a storie ambientate su altri mondi o anche nello spazio, dove i problemi sono al massimo simili ai nostri ma mai gli stessi: e così ha un po’ perso il suo elemento caratterizzante, e con esso anche buona parte dell’attrattiva rappresentata dai suoi libri, che si sono fatti più ricchi nell’intreccio ma sono anche diventati anche molto più blandi e meno graffianti del consueto. «Il pianeta Jem. La costruzione di un’utopia» (Jem, the Making of an Utopia, 1979) appartiene appunto a questo filone ed è anzi emblematico di un cambio di stile che non rende il dovuto merito ad uno dei maggiori autori di fantascienza: perché la storia è un disastro e non ingrana mai.

Tre blocchi per un pianeta
Lo spunto pare interessante: è stato appena scoperto un pianeta abitabile in un lontano sistema solare e così parte immediatamente la corsa alla colonizzazione da parte di ciascuno dei tre blocchi in cui è divisa la terra sovrappopolata e sottonutrita del prossimo futuro, incapaci di collaborare persino in un progetto così importante e complesso. Presto però la storia si perde tra una quantità di personaggi privi di carattere per nessuno dei quali si prova un grammo di interesse, tre razze aliene una più fastidiosa dell’altra (per le quali neppure si riesce a trovare uno iota di interesse) ed un intreccio che non ha molto senso né, ancora, è in grado di suscitare il benché minimo interesse nel lettore, disinteressato tanto agli sviluppi della trama sul pianeta terra quanto a quelli sul pianeta Jem. Semplicemente, c’è troppo e vuole essere troppo.
Nel prossimo futuro la terra è dunque divisa in tre blocchi, che non hanno niente a vedere con quelli da Guerra Fredda che ci si potrebbe immaginare: sono i paesi produttori di petrolio (gli Unti), i paesi produttori di cibo (i Grassi) ed i paesi che non producono niente tranne troppa popolazione (i Pop). Per dare un’idea degli allineamenti, l’Inghilterra è tra gli Unti con gli arabi ed i sudamericani, l’America e l’Unione Sovietica sono fianco a fianco tra i Grassi, l’Italia è con il Pakistan tra i Pop guidati dalla Cina.
Questi blocchi hanno poco senso, non solo perché non c’è un elemento etnico, storico, culturale, geografico o di qualche altra affinità che ne accomuni gli stati membri ma soprattutto perché non viene fornita alcuna ragione – se non vaghe «crisi» di questo e di quello – per spiegare come mai all’improvviso si sia superata la Guerra Fredda per arrivare a questa nuova ripartizione del mondo: sorprendentemente la vecchia rivalità tra Occidente ed Oriente non ha nemmeno lasciato strascichi di sorta, dal momento che americani e russi si sono trovati improvvisamente fratelli senza covare sospetti reciproci, proprio come strimpellavano gli Scorpions.
L’impressione è che questi blocchi siano un po’ troppo forzati e servano solo come pretesto per mettere americani e russi dalla stessa parte, senza spingere l’ambientazione troppo in là nel tempo.

Un viaggio breve ma costoso
Ad ogni modo, per una questione di prestigio i Pop annunciano la scoperta di questo pianeta, che subito riceve tre nomi diversi: Figlio di Kung per i Pop, Krong per i Grassi e Jem (da Bes Geminorum) per gli Unti. Dato che i politici di questa storia non sono meno incapaci di quelli reali, i tre blocchi non riescono a mettersi d’accordo ed invece organizzano altrettante spedizioni esplorative, ciascuna con l’obiettivo di colonizzare il pianeta tagliando fuori tutti gli altri, anche con la violenza se necessario: la scoperta del motore a tachioni ha infatti reso possibile il viaggio più veloce della luce, anche se costa uno sproposito in carburante e per questo solo gli Unti possono mandare una spedizione equipaggiata adeguatamente.
Il nuovo pianeta non ruota ma mostra sempre la stessa faccia al suo sole, che emette una debole luce rossastra: così la faccia esposta, quella sulla quale tutti e tre i blocchi erigono il loro campo (segretamente, gli Unti ne costruiscono uno anche sulla faccia buia), splende sempre la luce, che però è crepuscolare.
La vicenda è vista soprattutto con gli occhi dei Grassi (per lo più americani), con l’aggiunta del pachistano Dulla per i Pop; degli Unti si sente solo parlare ma non c’è alcun punto di vista dalla loro posizione. In ogni caso non mi dilungherò sui protagonisti, che non solo sono tanti e fastidiosi ma non hanno nemmeno chissà quale personalità: gran parte delle loro scene sono solo riempitivi, con minuziose descrizioni di problemi personali.

Scoppia la guerra. Anzi due
Quasi subito il campo dei Pop cessa di esistere, per una combinazione di incapacità dei capi, sfortuna (all’arrivo quasi tutti si ammalano o muoiono a causa della diversa fisiologia del pianeta, che può essere tossico per gli umani), inettitudine da parte dei governanti terrestri e sabotaggi (i Grassi fanno esplodere l’astronave che avrebbe dovuto portare loro rinforzi ed equipaggiamento).
Rimangono così solo i Grassi e gli Unti, che finiscono per farsi la guerra, anche con una bomba atomica, finché le esplosioni solari cicliche che si verificano ogni venti/trent’anni forzano dapprima un cessate il fuoco fasullo, poi conducono al quasi sterminio dei sopravvissuti.
Ed intanto anche sulla terra, già instabile, esplode la guerra totale, scoppiata a causa di una questione di diritti di pesca nel Pacifico ma in realtà preparata proprio dalla corsa alla colonizzazione del nuovo pianeta e dagli attriti che ha provocato: vengono lanciate bombe atomiche ben più potenti di quella usata su Jem, che portano alla distruzione di ogni forma di vita o quasi.

Anche gli indigeni si fanno guerra
Su Jem la guerra si combatte anche con gli indigeni, tre razze aliene intelligenti ma primitive che cercano costantemente di mangiarsi a vicenda: si tratta dei krinpit, sorta di granchi quasi piatti ma larghi due metri, il cui apparato respiratorio simile ad una fisarmonica emette rumore in continuazione; i cosiddetti striscianti, talpe giganti a sei zampe (pure sui due metri di lunghezza) che hanno una loro società sotterranea; e i tuffoli o aeronauti, palloni di idrogeno che passano la vita a cantare in gruppo e a farsi cullare dalle correnti del vento.
I terrestri – siccome il dogma di Pohl in questo libro è che l’uomo corrompe tutto quello che tocca – li armano quando non li combattono: così gli Unti usano le talpe come truppe d’assalto, i Grassi sfruttano gli aeronauti come osservatori ed il personaggio più fastidioso del libro (che è già un’impresa in sé, dal momento che in tutta la storia non c’è nemmeno un personaggio che riesca almeno sopportabile) – il pachistano Dulla, l’ultimo superstite dei Pop, che ha il complesso dell’ultima ruota del carro ed un’invidia sconfinata per le risorse altrettanto illimitate di Unti e Grassi – si mette con l’ultimo dei krinpit, che a sua volta odia tutti gli uomini perché gli hanno ucciso il suo compagno per la vita, con l’obiettivo eliminare quanti più umani possibile.
Ma la loro carriera di sicari dura poco.

La benevolenza dei superstiti
Il finale, ambientato sei generazioni più tardi, mostra che nonostante tutto su Jem l’umanità non solo non si è estinta ma ha proliferato e anzi ha già provveduto a rovinare quello che innumerevoli esplosioni solari avevano risparmiato: adesso infatti le tre razze aliene sono libere di essere schiave degli umani. Nessuno le obbliga a prestare il loro servizio ma se lo fanno ricevono gettoni spendibili allo spaccio per acquistare chincaglieria o particolari trattamenti sanitari che servono ad esempio ai krinpit per evitare la muta anticipata causata dalle armi biologiche che erano state ideate dai primi Unti, un secolo e mezzo prima.
La società umana che si è sviluppata è invece una specie di comune di fricchettoni generati in provetta che hanno adottato alcuni costumi degli indigeni, come la società matriarcale copiata dagli striscianti, e li hanno mescolati ad antiche tradizioni terrestri di cui si è ormai perso il significato. Come il Natale, chiodo fisso delle geremiadi di Pohl, che è divenuto l’occasione per un’orgia di massa provocata da certi ormoni secreti dagli aeronauti, che hanno un effetto afrodisiaco sugli esseri umani.
Nelle ultime righe si scopre che alcune altre colonie terrestri, come Marte ed Alpha Centauri (delle quali però non si era mai sentito parlare prima), si sono pure salvate dalla guerra atomica: e qualche sacca di umanità si è conservata anche sulla terra, perché dal pianeta continuano ad arrivare richieste di aiuto alle ex colonie come Jem, che però le ignora.
E, a dire il vero, non sarebbe stato male ignorare anche questo libro.

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