Redigere una lista delle dieci astronavi più influenti nella letteratura e nell’immaginario comune è un po’ come avere le chiavi di un negozio di dolciumi e limitarsi ad assaggiare uno o due cioccolatini: difficile, quasi impossibile, per non dire contro natura.
Ciononostante, nello spirito delle precedenti liste sulle migliori dieci astronavi ed astronavicelle (più agili da compilare, anche se pure in quelle non mi è stato facile escludere alcuni modelli cui sono tuttora affezionato), mi sono armato di spirito critico, di taglierino e, aguzzata la memoria, ho dato fondo ai miei ricordi spaceoperistici: dopo una serie di revisioni ed espunzioni anche dolorose sono infine pervenuto alla lista che presento più sotto.
I criteri di valutazione
Per arrivare all’elenco finale mi è stato necessario armarmi prima di uno strumento critico, in altre parole di una serie di criteri che, oltre ad essermi stati utili nella selezione, danno anche una parvenza di scientificità o almeno di serietà al lavoro che segue. Li elenco, a sostegno della tesi che si tratta di un lavoro scientifico:
1) Il primo criterio che ho preso in considerazione è che doveva trattarsi di astronavi, quindi di vascelli in grado di muoversi autonomamente nello spazio e non semplici proietti: ho così scartato, ad esempio, la capsula di «Dalla terra alla luna» di Verne (1865), i cilindri con cui i marziani invadono la terra nella «Guerra dei mondi» di Wells (1898) ed il classico razzo nell’occhio del nostro satellite del «Viaggio nella luna» di Melies (1902), perché in tutti questi casi si tratta di un proiettile scagliato da un supercannone e non, appunto, di un velivolo.
Allo stesso modo ho escluso i vari viaggi lunari immaginari della letteratura, come quelli della «Storia Vera» di Luciano, del Barone di Münchausen e pure di Astolfo (che nell’Orlando Furioso raggiunge la luna con un carro) per citarne alcuni, perché sono metodi per così dire alternativi se non del tutto fantasiosi.
2) A questo punto si trattava di definire in cosa consista l’influenza di un’astronave e cosa renda un vascello più influente più di un altro. Sono così arrivato ad isolare i due principi di fondo, ossia:
a) l’eredità di un’astronave sulla fantascienza a venire, e quindi le idee introdotte in una storia e poi riprese o sviluppate altrove, sino a formare o indirizzare un intero sottogenere letterario;
b) la ricaduta di un’astronave o della storia/serie di cui è protagonista sull’immaginario collettivo, ossia il modo in cui è entrata nella cultura di massa o addirittura l’ha definita, e quindi il suo contribuito alla raffigurazione dell’astronave tipo e della fantascienza in generale.
3) Dato che si trattava soprattutto di valutare l’impatto o l’influenza di un’astronave sulla fantascienza o sull’immaginario collettivo, ho scelto di ignorare le dimensioni del vascello: astronave, astronavicella o vasca da bagno che sia, se soddisfa tutti i criteri qui elencati ha anche le qualità per essere considerata una delle astronavi più influenti di sempre.
4) Dal momento che il primo velivolo che, sulla base delle precedenti regole, può definirsi astronave è la sfera di Cavor (1903), ho deciso di restringere la selezione alle astronavi del ventesimo secolo: mi sarei voluto fermare con la fine degli anni Cinquanta, che in un certo senso segnano il termine dell’età dell’oro della fantascienza, ma mi sono trovato nella necessità di spingermi più avanti di una ventina d’anni, per includere almeno tre astronavi che, pur fortemente influenzate dalle precedenti, non solo hanno tuttora un impatto notevole sul genere, probabilmente più di tutte le precedenti messe assieme, ma hanno anche definito ciò che è la fantascienza, tanto per l’appassionato quanto per l’uomo comune di oggi.
Per questo, mi sono dato come termine gli anni Settanta, dato che a partire dagli anni Ottanta – ed in particolare nell’ultimo decennio – non si è più visto nulla di nuovo ma solo rielaborazioni del vecchio.
5) Un altro criterio, in parte già esposto, riguarda l’impatto che le astronavi hanno avuto sull’immaginario collettivo e sulle successive generazioni: ho ritenuto quindi di valutare sia l’innovazione apportata dalle singole astronavi sia la loro influenza sul genere.
Ho tenuto conto dell’innovazione soprattutto per le navi più vecchie, visto che non solo non erano legate a modelli o condizionamenti precedenti ma anzi è probabile che siano state proprio loro ad ispirare le navi successive, mentre ho considerato l’influenza soprattutto per i modelli più recenti: è innegabile ad esempio che tra l’Enterprise e l’Allodola dello Spazio sia la prima a far venire in mente la space opera sebbene sia stata la seconda a dare il via a questo sottogenere, così come tra l’Ethne ed Millennium Falcon sia quest’ultimo a far venire in mente una certa storia che però è stata senz’altro ispirata dal libro in cui compare la prima.
6) Ho tenuto conto di sue sole due fonti primarie d’ispirazione: libri/racconti e film/telefilm, e tutto ciò che vi è correlato. Ho invece escluso i videogiochi perché sono un prodotto troppo recente e comunque influenzato da idee già sviluppate precedentemente e, sebbene siano l’ideale prosecuzione delle riviste pulp, anche i fumetti, perché non li conosco a fondo. Anzi, non li conosco proprio per niente.
7) Da ultimo, superfluo a dirsi ma necessario per conservare la parvenza di scientificità mantenuta sinora, ho ovviamente evitato ogni pregiudizio e preconcetto, cercando invece di considerare ciascuna nave per quello che effettivamente rappresenta o ha rappresentato: ad esempio, ho incluso le due navi simbolo di Star Trek e Guerre Stellari, sebbene delle due serie la prima mi lasci tiepidino e la seconda mi riesca addirittura fastidiosa, e non ho incluso alcuna delle mie navi preferite perché, al di là del mio gusto personale, non ritengo abbiano influito sulla fantascienza tanto a fondo quanto le dieci che formano questa lista.
Vogliamo le navi!
Anche così accuratamente preparato, ho dovuto operare delle scelte, anche in fase di stesura: per completezza, laddove l’ho ritenuto necessario, ho citato anche le altre contendenti per quel posto e le ragioni per cui ho scelto una nave invece dell’altra.
1 – La «Sfera di Cavor» di H.G. Wells (I primi uomini sulla luna/The First Men in the Moon, 1901)
Più astronavicella che astronave, la sfera usata dai protagonisti del famoso romanzo «I primi uomini sulla luna» (pubblicato a puntate sullo Strand) merita tuttavia di essere considerata la prima astronave in senso moderno o almeno la sua ispirazione: è a prova d’aria ed è in grado si viaggiare nello spazio – anche all’infinito volendo – sfruttando la «cavorite», una sostanza capace di annullare la gravità inventata da uno dei due protagonisti, il dottor Cavor. La cavorite stessa è il prototipo dei vari motori atomici, a ioni, tachioni, antimateria e degli altri sistemi di propulsione a spinta ed energia quasi infinite di cui la fantascienza pullula.
Wells descrive il velivolo come una navicella sferica fatta di vetro e acciaio, azionata da una serie di tende avvolgibili di cavorite poste all’esterno: regolandone la superficie visibile, è quindi possibile sfruttare la forza di attrazione dei corpi celesti per alzare, spostare e muovere il battello, al quale si può imprimere anche una velocità di tutto rispetto. Certo, la sfera del romanzo non è adatta a viaggi nello spazio profondo (dopotutto è composta di un unico locale) ma il principio che la aziona è facilmente esportabile anche ad una nave di dimensioni maggiori: se vogliamo, la fantascienza spaziale come la conosciamo comincia proprio qui.
2 – L’«Allodola dello spazio» di E.E. Doc Smith (L’Allodola dello spazio/Skylark of Space, 1928)
Se si dovesse decidere quale sia l’astronave che da sola ha avuto maggiore influenza sulla fantascienza, la scelta sarebbe quasi obbligata: l’Allodola dello Spazio – ed in particolare l’originale pubblicata a puntate su Amazing Stories (che commento qui) – che è un po’ l’epitome di quel senso del meraviglioso che caratterizza tutta la «scientifiction» degli esordi.
Non è una sparata da nostalgico come potrebbe sembrare: è proprio all’Allodola, la prima nave interstellare, e alla tri/quadrilogia di Doc Smith che si deve infatti la nascita della space opera, che è l’ambiente naturale delle astronavi, un po’ come l’acquario per i pesci. Prima c’era l’avventura spaziale, solitamente entro limiti piuttosto contenuti, come la luna e dintorni: dopo è arrivata l’esplorazione interstellare. E quando un’astronave esplora lo spazio, quello che ne esce è materiale da space opera.
Dell’Allodola esistono diverse versioni, via via sempre più grandi e superscientifiche: l’originale è un’enorme sfera (quasi tutte lo erano in quegli anni) di una ventina di metri di diametro, mossa da un motore che, bruciando rame ed un nuovo elemento chiamato semplicemente «X», può raggiungere velocità superluminali in un batter d’occhio e quindi portare i protagonisti negli angoli più remoti della galassia. Si aggiungano campi di forza, raggi del sesto ordine, tecnologia aliena avanzatissima, extraterrestri buoni ed altre creature – umane e non – malvagissime e si avrà la miscela adatta per qualsiasi avventura futuristica: non è un caso se sembra il copione di Star Trek, che molto probabilmente non avremmo avuto se prima non ci fosse stata l’Allodola.
3 – I «sommergibili volanti» di Buck Rogers (1929)
Cosa sarebbe stato della fantascienza degli anni Trenta senza i razzi? Probabilmente un fallimento: la space opera appena nata non sarebbe…decollata e senz’altro non si sarebbero prese le vie dello spazio per molto altro tempo ancora. Ed invece ancora una volta la fantascienza è stata lesta a rubare alla scienza un’idea d’avanguardia e – dopo averla adattata alle proprie esigenze montandovi i motori atomici – farla propria, salvo poi esagerare nell’impiego: così, per almeno vent’anni, i razzi sono stati il non plus ultra del viaggio interstellare (e pure del pendolarismo, usati persino per andare in ufficio), almeno fino a quando non sono stati progressivamente soppiantati dai dischi volanti, che invece sono un fenomeno soprattutto del dopoguerra.
Tra le primissime applicazioni dei razzi nella fantascienza vanno ricordati i «sommergibili volanti» di Buck Rogers, che ogni giorno raggiungevano le grandi masse mediante le strisce pubblicate sui quotidiani americani: purtroppo però Buck (che ho preferito a Flash Gordon, l’unico altro contendente serio, perché è più vecchio anagraficamente: è apparso nel 1928/1929 contro il 1934; qui commento la storia di Nowlan che lo introduce, ancora senza missili e viaggi spaziali però) non ha fatto uso di un unico modello ma di diversi, perciò non mi è stato possibile isolare un mezzo per così dire caratteristico dell’eroe.
Alla fine la scelta è caduta su questo «Big Rocket Cruiser» perché è la prima rappresentazione grafica di un razzo interstellare apparsa nelle strisce di Buck Rogers e quindi il modello che dovrebbe aver influenzato maggiormente l’immaginario collettivo e la fantascienza a venire, per la semplice ragione che ha avuto più tempo per essere metabolizzato: è dell’agosto 1929, appena due mesi prima del famoso crollo di Wall Street e dell’inizio della grande Depressione, ed un anno esatto dalla pubblicazione dello Skylark su Amazing Stories.
4 – La «Vanguard» di Robert Heinlein (Universo/Universe, 1941)
Nella scienza vera l’idea di una nave generazionale circolava già da una ventina d’anni quando Heinlein pubblicò «Universo» sulla rivista Astounding: dal punto di vista pratico, il senso di queste astronavi è raggiungere altri sistemi solari – tutti troppo lontani – per installarvi colonie umane, ovviando all’assenza di una propulsione superluminale che renderebbe impossibile il viaggio con una nave così grande da poter ospitare e provvedere ad una popolazione considerevole anche per secoli. Ovviamente i coloni che oggi lasciano la terra non sono gli stessi che un lontano domani arriveranno a destinazione ma nel corso dei decenni vengono rimpiazzati dai figli, dai nipoti, dai pronipoti e così via sino alla generazione che finalmente potrà mettere piede sul pianeta di arrivo.
Pertanto, nel suo concetto di base la nave generazionale include spazi abitativi, ricreativi, produttivi e pure zone verdi, in modo tale da poter soddisfare le esigenze dei passeggeri – che ne sono anche l’equipaggio – per un tempo prolungato: la sola cosa cui non può rimediare è l’assenza di libertà di movimento, dato che questi viaggiatori spaziali sono praticamente prigionieri della loro astronave per tutta la vita.
Nel racconto di Heinlein, poi espanso in romanzo (Orphans of the Sky, 1963), le cose ovviamente non sono andate troppo bene, in seguito ad un ammutinamento fallito: così da una parte ci sono i discendenti dell’equipaggio originale che, imbarbaritisi in una sorta di società tribale, abitano ancora i quartieri residenziali e produttivi ma credono che il loro microcosmo sia l’intero creato; dall’altra i mutanti, discendenti degli ammutinati, che invece vivono nelle zone della nave esposte alle radiazioni, dove la gravità è più bassa, e sono più simili a briganti o fuorilegge.
Dopo la Vanguard la letteratura ed il cinema hanno iniziato ad interessarsi sempre più delle navi generazionali: si vedano ad esempio «Viaggio senza fine» di Brian Aldiss (Non-Stop/Starship, 1958), «Incontro con Rama» di Arthur Clarke (Rendezvous with Rama, 1973) e le varie isole spaziali artificiali tanto amate dalla fantascienza soprattutto degli anni Settanta e Ottanta.
A titolo di cronaca va osservato che la Vanguard non è la prima nave generazionale apparsa nella fantascienza ma quella che ha avuto maggiore successo: la prima è infatti la Adastra del racconto «Proxima Centauri» di Murray Leinster, pubblicata sempre su Astounding ma nel 1935. Questa storia tuttavia non si interessava tanto della nave generazionale come concetto da esplorare bensì come artificio narrativo per giustificare una nave enorme con un equipaggio che non fosse interamente dedicato al suo funzionamento: qui infatti il centro dell’interesse è lo scontro tra l’equipaggio umano e le piante carnivore intelligenti che attaccano la nave.
5 – La «Ethne» di Edmond Hamilton (I sovrani delle stelle/The Star Kings, 1947)
La corazzata siderale Ethne, l’ammiraglia della flotta interstellare dell’Impero Centrale della Galassia apparsa su Amazing Stories nel 1947, è un portento di superscienza: nell’universo del lontanissimo futuro (il 202.115) il viaggio interstellare è infatti affare di tutti i giorni, reso possibile da tre grandi scoperte.
La prima sono i «raggi subspettrali» ed in particolare i «raggi di pressione», base dell’energia propulsiva delle navi spaziali, usati per produrre una reazione che spinge l’astronave nello spazio a velocità prima inimmaginabili. La seconda è il «controllo della massa», un metodo che mantiene costante quest’ultima nonostante l’aumento di velocità, eliminando il surplus con una semplice operazione di dispersione. La terza, quella che ha reso definitivamente possibile il volo siderale, è infine la «stasi», un campo di forza che racchiude completamente una massa in movimento nello spazio, come appunto un’astronave: poiché il corpo umano non è in grado di sopportare le tremende accelerazioni prodotte dai raggi di pressione, la stasi – che si manifesta con una nebbiolina azzurra – viene usata per tenere coesi tutti gli atomi al suo interno, impedendo qualsiasi variazione o instabilità.
Tuttavia, nonostante queste meraviglie superscientifiche, la Ethne non è tanto importante in sé quanto per l’influenza che ha avuto sulla fantascienza a seguire: la trama dei «Sovrani delle stelle» di Hamilton, uno dei maestri della space opera, è infatti servita di ispirazione più o meno dichiarata al primo film di Guerre Stellari, che dal 1977 è divenuta a sua volta il riferimento della fantascienza spaziale. In entrambe le opere il protagonista, per sconfiggere i cattivi, ne deve distruggere il supercannone che minaccia ogni pianeta della galassia: qui però il già citato Impero è dalla parte dei buoni mentre i cattivi sono rappresentati dalla Lega dei Mondi Oscuri.
Come nota a margine, in questo stesso racconto Hamilton prediceva che, alla fine del ventesimo secolo, le astronavi atomiche terrestri avrebbero già raggiunto Marte e Venere: scordiamoci pure Venere, saremo già fortunati se arriveremo su Marte entro la metà del ventunesimo.
6 – Il «C-57D» del film «Il pianeta proibito» (Forbidden Planet, 1956)
Unici tra le astronavi selezionate per questo elenco, i dischi volanti non sono tanto un prodotto della fantascienza quanto delle cronache: quasi ogni giorno infatti giornali e televisione del primo dopoguerra riportavano avvistamenti di dischi volanti, che quindi sono entrati nell’immaginario collettivo dalla porta principale delle notizie e non dall’ingresso di servizio solitamente riservato alla fantascienza.
Ma quest’ultima non se ne è risentita ed anzi, sempre pronta a avvantaggiarsi delle idee d’avanguardia o più popolari, ha colto l’opportunità offerta da una facile pubblicità e da un interesse crescente: così i dischi volanti si sono dapprima affiancati ai razzi e poi, a partire dagli anni Cinquanta, progressivamente sostituiti a questi ultimi sino a soppiantarli del tutto finché, con gli anni Sessanta, non sono scomparsi anche loro, sostituiti infine dalle astronavi di linea o concezione più moderna (ma, come vedremo, l’Enterprise stessa ne è ancora in parte influenzata).
Sono quindi i dischi volanti «reali» quelli che hanno influito maggiormente sull’immaginario collettivo; tuttavia la forma più o meno definitiva, quella che tutti abbiamo in mente quando pensiamo ad un disco volante, arriva proprio dalla fantascienza: è l’incrociatore spaziale C-57D del famoso film «Il pianeta proibito» (Forbidden Planet, 1956) che, sebbene non sia tra i primi apparsi al cinema, è tuttavia il più influente, tanto che negli anni Sessanta è stato riutilizzato in diversi episodi del telefilm «Ai confini della realtà».
Proprio queste considerazioni me l’hanno fatto preferire all’altro candidato, il disco volante di «Ultimatum alla terra» (The Day the Earth Stood Still, 1951), che avrebbe il vantaggio di provenire dal primo film di grande successo in cui appare un disco volante ma quest’ultimo non ha avuto una ricaduta così pesante sull’immaginario: di Ultimatum infatti si ricordano Klaatu e Gort, non il velivolo.
7 – L’«Enterprise» del telefilm «Star Trek» (1966)
Con l’Enterprise entriamo nel campo delle astronavi moderne, quelle che più o meno tutti conoscono e ricordano: non mi soffermerò quindi troppo sui dettagli, perché sono troppi, probabilmente già noti e, soprattutto, trascurabili ai fini di questa lista. Mi soffermerò invece sugli elementi che ritengo essere stati decisivi nella scelta di includerla: l’impatto sulla cultura di massa ed il motore a curvatura.
Il successo di Star Trek è stato enorme, se si pensa che ancora oggi, a più di cinquant’anni dall’esordio, vengono prodotti film e telefilm costosissimi che utilizzano la stessa ambientazione, la stessa nave e quasi gli stessi personaggi: e così l’Enterprise, prima astronave ad essere entrata nella cultura di massa, dopo aver sdoganato la fantascienza spaziale ha anche rinvigorito la space opera – che con la fine dell’età dell’oro era entrata in declino, sorpassata da altri sottogeneri – sia pure con un certo aiuto offerto dall’entusiasmo per lo sbarco sulla luna, avvenuto solo tre anni dopo l’esordio del telefilm.
Da un punto di vista esclusivamente estetico, nella linea dell’Enterprise si nota ancora l’influenza dei dischi volanti ma con l’aggiunta di alcuni pezzi, i più significativi dei quali sono i due propulsori: la nave di Kirk e compagni utilizza infatti un «motore a curvatura», che allo spettatore medio non suona diverso da qualsiasi altro tipo di propulsione superscientifica, un espediente per giustificare come l’astronave sia in grado di saltellare qua e là per l’universo in tempi brevissimi.
Tuttavia la curvatura è ben diversa dai supermotori della fantascienza precedente, un concetto affascinante e, probabilmente proprio per questo, copiatissimo negli anni a seguire: secondo la teoria alla base della curvatura sarebbe possibile piegare – o «curvare», appunto – lo spazio in modo tale da far coincidere il punto di partenza e quello di arrivo; in questo modo l’astronave sarebbe in grado di coprire distanze enormi in un batter d’occhio, in un certo senso addirittura senza nemmeno muoversi.
E la parte più sorprendente è che, pare, il principio della curvatura potrebbe essere applicabile persino alle astronavi vere.
8 – La «Discovery One» del film «2001: Odissea nello spazio» (2001: A Space Odyssey, 1968)
Il rinnovato interesse verso la fantascienza suscitato dall’Enterprise è stato subito rinforzato dall’accoppiata libro+film di «2001: Odissea nello spazio», apparsi appena due anni dopo Star Trek: già il fatto che l’idea sia venuta prima a Kubrik, che poi avrebbe coinvolto Clarke nella stesura del romanzo e copione, dimostra quanto la fantascienza fosse ormai entrata a far parte della cultura di massa. Il film poi ha avuto il successo che tutti conoscono e, anche se il cuore della trama non erano tanto le astronavi quanto il contatto con manufatti alieni e l’avvento di una nuova umanità, si è guadagnato uno spazio in questa lista proprio per la rilevanza che la Discovery One (l’astronave del primo contatto) ha avuto sia sulla fantascienza a seguire sia sull’immaginario collettivo: tra l’altro merita osservare che nella sua architettura ritorna ancora la sfera – che, come abbiamo visto, era anche la forma delle prime due astronavi qui elencate – sia pure con una lunga coda per tenere separati i motori dal modulo abitativo, giustificabile col fatto che qui stiamo lasciando la space opera, più ingenua, per entrare nel freddo regno della «hard science fiction».
Quando si pensa a 2001 la mente però corre subito ad Hal 9000, il computer malvagio che fa fuori un astronauta e cerca di fare lo stesso anche al secondo: ed è proprio per questo suo inquilino che la Discovery può vantare la notevole influenza che ha avuto ed ha tuttora sulla fantascienza. Hal infatti è l’archetipo dell’intelligenza artificiale che era stata appena abbozzata in Star Trek: ma mentre in quest’ultima il computer è fondamentalmente stupido, capace solo di eseguire gli ordini così come vengono impartiti, Hal è molto più sofisticato, è in grado di ragionare e di prendere decisioni da sé.
Visto l’impatto del film, l’eredità di Hal e della Discovery sulla fantascienza per quello che riguarda il pericolo rappresentato dai computer e dalle intelligenze artificiali lasciate libere di agire è stata molto più incisiva dei loro concorrenti diretti, i Berserker di Saberhagen, astronavi intelligenti programmate per distruggere ogni traccia di vita: pur concepiti diversi anni prima del film (nel 1963), questi ultimi sono tuttavia rimasti nella semioscurità, circoscritti all’ambito della fantascienza, e non hanno potuto intaccare in alcuna misura l’immaginario collettivo.
9 – Il «Millennium Falcon» del film «Guerre stellari» (Star Wars, 1977)
Ancora oggi non sono persuaso che la serie di Guerre stellari appartenga alla fantascienza; sono invece sempre più convinto che sia fantasy e per una serie di ragioni, prima tra tutte la presenza della Forza, che alla fine è l’equivalente della magia ma sotto falsa identità. Altri elementi che mi fanno propendere per il fantasy sono l’eterno scontro tra Bene e Male qui rappresentato, un tema tipico dell’high fantasy; e poi la presenza di tecnologia avanzatissima anche nei luoghi dimenticati da Dio, macchinari sofisticati che però paiono funzionare quasi da soli, in virtù di meccanismi mai rivelati e nonostante l’evidente assenza di manutenzione (a sostegno della tesi mi appello alla terza legge di Clarke); infine – e soprattutto – i titoli di testa, che si aprono sempre con le medesime parole: «Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana», una formula che sa tanto di fiaba.
Certo, sono presenti anche alcuni elementi tipici della space opera (astronavi, conflitti galattici, principesse spaziali, imperi che si scontrano, alieni di tutte le forme e dimensioni) ma va detto che non sono temi esclusivi della fantascienza spaziale bensì soggetti ricorrenti in tutte le storie avventurose centrate attorno al conflitto tra Bene e Male, che qui sono stati adattati all’ambientazione futuribile spaziale: per questa ragione si può semmai invocare la sottocategoria della «science fantasy», creata appositamente per Guerre stellari, ma è evidente che si tratta di una formula alternativa per dire che Guerre stellari non è fantascienza.
Ciononostante è innegabile l’impatto che questa serie, al pari e forse più di Star Trek, ha avuto e, soprattutto, ha ancora sull’immaginario collettivo: sentendo certuni, che fino a ieri stavano ancora seguendo le altre mode in voga al momento, sembra quasi che senza Guerre stellari non si possa vivere.
Ciò detto, Guerre stellari ha contribuito a modellare l’immagine comune della fantascienza che oggi impera, in particolare in virtù delle sue due astronavi più memorabili: le enormi corazzate cuneiformi dell’Impero, più terribili a parole che nei fatti, ed il Millennium Falcon, il piccolo cargo asimmetrico la cui forma, stando alle descrizioni, sarebbe ispirata ai soliti dischi volanti. Trattandosi della nave dei buoni, quest’ultima è divenuta pure la nave più caratteristica di Guerre stellari e come tale si è impressa nell’immaginario collettivo: chiunque è in grado di riconoscere, di nome o almeno di forma, il Millennium Falcon.
10 – La «Nostromo» del film «Alien» (1979)
Prima che giungano le critiche mi metto al riparo: lo so che quella raffigurata non è la Nostromo o, meglio, che quelle quattro grosse torri sono un complesso industriale (credo un’acciaieria o raffineria) che la Nostromo – un rimorchiatore – sta trainando nello spazio. Ma è questa l’immagine che tutti hanno in mente dell’astronave in cui si svolge il dramma di «Alien» e solo ai cultori del film importa davvero dove finisca l’una ed inizi l’altro.
Con la Nostromo si chiude dunque la grande epica delle astronavi memorabili, almeno di quelle che hanno avuto un peso sulla fantascienza: a partire dagli anni Ottanta infatti non è rimasto più molto di nuovo da inventare ma al massimo solo da «reinventare», ossia riprendere, rivedere e riadattare concetti già visti per renderli più «moderni» e attraenti alla luce delle ultime tendenze, che è un po’ ciò che i grandi filmoni sono soliti propinarci da almeno dieci o anche vent’anni.
Alien e la Nostromo sono dunque rilevanti per le ultime due grandi influenze sulla fantascienza: l’horror spaziale, che hanno rivitalizzato ed elevato ad una dignità che non aveva mai avuto prima, e appunto l’idea che le astronavi non debbano essere sempre linde e pulite, asettiche, ma al contrario possano anche essere sporche, buie e arrugginite, in altre parole «vissute». Certo, quelle scene sono probabilmente ambientate nella succitata raffineria o acciaieria (gli ambienti della Nostromo sono altrimenti di un candore tipico della fantascienza degli anni Settanta) ma allo spettatore medio questo non appare subito chiaro, sembra invece che siano solo aree più vecchie o dimenticate dell’unica enorme astronave.
Con la decrepitezza della Nostromo la fantascienza dichiara di non essere più il genere dell’utopia degli esordi ma accetta in pieno quel pessimismo che andava covando da almeno trent’anni, da quando cioè la Bomba aveva disilluso le aspettative del progresso come autostrada per un mondo migliore: il nuovo futuro non è più quell’utopia perfetta di pace e prosperità che gli autori del passato prevedevano ma è invece divenuto un futuro cupo, incerto, aggravato dagli stessi problemi che già stiamo vivendo, solo ingigantiti. In altre parole, è il terreno fertile su cui entro pochi anni germoglierà il cyberpunk che, aggravata dal pessimismo, riporta la fantascienza con i piedi per terra e mostra all’uomo comune quanto sarà triste il suo domani, quando l’informatica dominerà la quotidianità.
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