La superscienza colpisce ancora. Anzi, a ben vedere colpisce per la prima volta: leggere una storia di Hugo Gernsback infatti significa risalire alle radici autentiche della fantascienza, perché se è vero che cattedraticamente si è soliti collocarne le origini a partire dal Frankenstein della Shelley (che è del 1818) e riconoscere ad H.G. Wells una sorta di primogenitura (ma solo dal 1895) è anche vero che la «science fiction» come genere narrativo indipendente – e c’è una ragione se qui ho usato il termine inglese – nasce nei primi anni del Novecento e proprio per merito dello stesso Gernsback, al quale si devono tra l’altro la prima rivista interamente dedicata alla fantascienza, Amazing Stories (aprile 1926), e la stessa espressione che in inglese ancora oggi indica questo genere, «science fiction» appunto.
E così leggere «Ralph 124C 41+» (1911) significa respirare l’aria dei pionieri e farsi un’idea di ciò che passava per la testa di quei primi veri autori di fantascienza: quegli scrittori cioè di capacità letterarie magari limitate ma dotati di grande espressività che avevano abbandonato consapevolmente la formula del romanzo scientifico, più impegnativo e pretenzioso, per dedicarsi invece ad opere di divulgazione ed intrattenimento a base sì scientifica ma rivolte alle masse, quindi con più azione e meno introspezione.
Siamo così arrivati alle radici autentiche della fantascienza, appunto.
Un passaggio chiave
Pubblicato in dodici puntate – dall’aprile 1911 al marzo 1912 – su Modern Electrics, la prima rivista che Gernsback aveva fondato nel 1908, «Ralph 124C 41+» rappresenta una tappa importante per la fantascienza: segna infatti il passaggio dal più colto romanzo scientifico ottocentesco alla più semplice avventura (super)scientifica della prima metà del secolo successivo, che avrebbe offerto soggetti alla fantascienza per almeno la trentina d’anni successivi. Proprio in virtù di questo racconto Modern Electrics viene ricordata anche come la prima rivista che abbia mai pubblicato una storia fantastica basata su un soggetto scientifico, divenendo così in sostanza la progenitrice delle riviste specializzate che avrebbero proliferato a partire dal decennio successivo, sempre per merito di Gernsback e della sua Amazing Stories.
Tuttavia, più che una storia con un capo e una coda, «Ralph 124C 41+» è un repertorio di invenzioni strabilianti del lontano futuro, un campo in cui Gernsback era attivissimo e profetizzava meraviglie a ciclo continuo: a volte ci azzeccava pure, come nel caso del radar, del televisore, delle videochiamate, dell’energia solare e delle videocassette per dirne alcune, tutte descritte in quest’opera e divenute realtà solo molti decenni più tardi. Questo campionario di meraviglie è tenuto assieme da una tenue trama che ha il solo scopo di fornire il pretesto per illustrare come queste invenzioni funzionino e come possano cambiare – ovviamente per il meglio – la vita dell’uomo futuro, in un certo senso per riversare le idee dell’autore sul lettore, secondo il modello delle utopie classiche; solo nel finale la storia cerca di mettere assieme un canovaccio che assomigli ad un romanzo d’avventura ma sempre senza mai trascurare la divulgazione dei principi scientifici pertinenti, all’occorrenza corredati anche di diagrammi.
Caso raro per le storie di soggetto fantastico scritte prima della diffusione dei tascabili nel secondo dopoguerra, già nel 1925 le dodici puntate di «Ralph 124C 41+» sono state riunite in un volume unico, da allora spesso ripubblicato.
Le meraviglie che ci aspettano
Tra le mille invenzioni presentate da Gernsback in questo romanzo alcune colpiscono per la loro rassomiglianza con analoghi strumenti ormai divenuti comuni, come gli apparecchi già elencati nel paragrafo precedente. Altre hanno tutto il sapore della superscienza, sono cioè meraviglie che difficilmente potranno essere realizzate nell’immediato futuro, o perché ancora non disponiamo di una tecnologia adeguata o perché sono decisamente troppo fantasiose ed inverosimili (superscientifiche appunto), come le meteotorri in grado di controllare il tempo atmosferico, l’energia elettrica diffusa attraverso l’aria, l’«ipnobioscopio» che permette di imparare mentre si dorme, l’antigravitatore che mantiene sospese in aria le città di villeggiatura, il mantello dell’invisibilità o il dittafono a fonoalfabeto, per scrivere dettando. Ed altre ancora invece semplicemente spaventano per il loro impatto sulla società e sulle abitudini consolidate, come il cibo sintetico da consumarsi liquido e tiepido, la scomparsa del denaro in favore di un complicato sistema di debiti e crediti, un governo planetario con fosche tinte totalitarie (che forse però è meno fantascientico di quanto si vorrebbe credere).
Ovviamente, anche quando Gernsback ci azzecca, non ci si deve aspettare l’esatta corrispondenza per forma e funzionamento all’oggetto che già si conosce: quello che conta è il principio, tutto il resto è cosmetico, fortemente condizionato dai criteri estetici dell’epoca in cui Gernsback scriveva e dall’ottimismo positivistico nel progresso e nel futuro che caratterizzava i primi tempi della fantascienza, un riflesso di quel senso del meraviglioso che oggi è scomparso, assieme all’ottimismo. Così ad esempio del radar – o meglio, dell’«actinoscopio» – viene data una descrizione realistica: «Un’onda di etere pulsante e polarizzata, se diretta su un oggetto metallico, può essere riflessa allo stesso modo di un raggio di luce riflesso da una superficie lucida o da uno specchio», anche se poi la sua applicazione pratica viene ancora paragonata alla manipolazione di un faro, che però al lettore dell’epoca dava un’idea chiara del suo funzionamento.
Allo stesso modo, quando predice l’avvento del televisore e del videotelefono (con una tale verosimiglianza che ipotizza pure la caduta improvvisa delle chiamate e l’inserimento di altri apparecchi telefonici per gli errori delle centraline: tutta la trama del libro nasce proprio per un simile disservizio) e lo sfruttamento dell’energia solare (anche se ne sbaglia la potenza: qui è sufficiente a dare energia a tutta New York e dintorni sia di giorno sia di notte, in realtà sappiamo che basta appena per scaldare l’acqua), Gernsback non ha davanti a sé il catalogo dei grandi magazzini e tantomeno la pagina internet di un rivenditore cinese, quindi ne intuisce l’esistenza ed il funzionamento solo sulla base della teoria e ne descrive un surrogato archetipico.
Diverso invece il discorso per gli alimenti sintetici, sui quali l’autore si sbilancia molto di più: durante la visita ad uno dei grandi stabilimenti che producono cibo (anche cinque raccolti di frumento all’anno, fatto crescere in enormi serre sempre illuminate a giorno, sempre riscaldate a temperatura costante e sempre bombardate di radiazioni) vengono illustrati i procedimenti chimici con cui si ottengono anche altri alimenti, come lo zucchero (si mescolano tra loro segatura ed acidi) o il latte ed i latticini, prodotti per sintesi, semplicemente mettendo erba e fieno direttamente in grandi storte che imitano il processo digestivo degli animali (con l’aggiunta di sali ed altre sostanze chimiche) e producono un latte migliore persino di quello naturale; l’unica controindicazione è il colore: verde, per l’assenza dei consueti batteri. Nonostante la maggiore qualità, la scelta di passare dalla produzione naturale a quella artificiale era stata determinata tuttavia dal sovraffollamento del pianeta: «Poiché la popolazione continuava ad aumentare, non era possibile né economico ottenere questi cibi con metodi naturali, ed era stato necessario rivolgersi alla chimica».
Ecco, la parte della produzione artificiale degli alimenti – e della sua consumazione: la nuova moda è bere il cibo liquido da appositi narghilè – è forse l’aspetto più spaventoso del mondo utopico futuro presentato con tanto entusiasmo da Gernsback, superato solo dalla forma di governo, che ha una forte connotazione totalitaria.
Il governo totalitario del futuro
Tutto il libro è percorso da una leggera sfumatura distopica, così lieve che passa quasi inosservata: l’impressione però è di trovarsi in uno di quei mondi futuri pensati da autori molto meno ottimisti di Gernsback nei quali la popolazione dapprima ha sacrificato la libertà in cambio della sicurezza – uno scambio nel quale c’è solo da perderci – e poi all’improvviso si è trovata controllata in ogni sua attività da un governo benevolo magari ma oppressivo, senza possibilità di opporglisi dal momento che i cittadini avevano già rinunciato ad ogni strumento di autotutela.
Questo governo planetario dunque decide delle vite di quindici miliardi di individui ed è presieduto da un governatore pure planetario, una sorta di monarca assoluto che viene descritto come «un saggio, e un uomo gentile» ma che è pur sempre un autocrate la cui persona viene costantemente adulata e riverita dai sudditi: i protagonisti ad esempio assistono ad un carnevale aereo, un enorme spettacolo di oltre seimila velivoli, che si conclude «con la raffigurazione, attraverso i fasci di luce, del ritratto del Governatore del Pianeta. Venne mostrato per più di cinque minuti e fu sottolineato da un lungo applauso», una scena che pare venire direttamente dalla più classica magnificazione da culto della persona dei paesi socialisti. Anche se, questo va detto, quando «Ralph 123C 41+» è stato pubblicato la Russia era ancora sotto il giogo zarista: quello comunista sarebbe arrivato solo sei anni più tardi.
Il governo inoltre ha costruito e gestisce il Campo sportivo nazionale di New York, una sterminata distesa con centinaia di palestre, piscine, campi da tennis, da golf e per ogni altra attività sportiva, in uso gratuito; e da alcuni dettagli su cui Gernsback sorvola volentieri si desume che possieda pure le centrali elettriche e la produzione alimentare, i cui stabilimenti infatti puzzano di kolchoz.
Se questo ancora non fosse sufficiente a dare l’idea di uno stato totalitario, si aggiunga che il governo ha anche il controllo di tutte le banche: il denaro infatti è stato eliminato e sostituito da un complesso sistema di assegni sul quale vigila il governo stesso. Emettere assegni a vuoto o per somme maggiori a quelle di cui si disponga effettivamente comporta «una censura dal governo – spiega il protagonista – e alla seconda ricaduta, si avrebbe una censura ancora più forte, e alla terza, andresti in prigione, perché i primi due reati possono anche essere stati degli errori, ma non il terzo. E con questo il tuo conto sarebbe ritirato da tutte le banche e non potresti più aprirne un altro per dieci anni, perché tutti gli assegni, come sai, sono identificati con le impronte digitali oltre che con la firma. Gli esperti del governo ti impedirebbero di aprire un altro conto corrente in una banca qualsiasi del paese». Che in altri termini corrisponde ad un controllo totale di tutte le attività economiche, inclusa la possibilità di ostracizzare ogni avversario politico o chiunque venga bollato come indesiderato: proprio la direzione verso cui sembra essersi orientato il mondo reale.
Da ultimo, sorgono dubbi anche riguardo alla libertà personale in questo mondo futuro: la popolazione sembra libera di muoversi e decidere per i fatti propri, tuttavia Ralph dichiara di non essere altro che «uno strumento per far avanzare la scienza, a beneficio dell’umanità. Apparteneva, non a se stesso, ma al Governo»; ed inoltre riceve a cadenza regolare criminali da sottoporre ai suoi esperimenti: «Se il criminale rimaneva ucciso durante l’esperimento, non c’era niente da perdere; se non moriva, lo avrebbero tenuto in carcere a vita». E da una noterella si scopre che per qualche ragione sono persino proibiti i matrimoni misti tra terrestri e marziani.
La stessa sostituzione del tradizionale cognome con una targa automobilistica proietta un’ombra sull’effettiva benevolenza di questo governo planetario: solitamente l’assegnazione di una matricola al posto del nome viene associata ad un regime dispotico che considera la popolazione solo come una risorsa di cui disporre liberamente. Qui, tolto il gioco di parole che si vedrà tra poco (e che probabilmente è la sola ragione per cui Gernsback ha scelto di sostituire i cognomi con delle sigle), non sembrano esserci altre motivazioni: ma non viene nemmeno detto né perché né quando il mondo abbia deciso di cambiare, che invece sarebbe la vera curiosità.
Già solo l’idea di un governo planetario è sufficiente a provocare un attacco di orticaria in chiunque creda nella libertà individuale, perché presuppone controllo e omologazione da parte di un’autorità centrale che nel migliore dei casi è condiscendente e paternalistica, nel peggiore oppressiva e dispotica: e le poche applicazioni pratiche mostrate nel volume non sono affatto così incoraggianti da far desiderare di vivere in questo futuro utopico.
Un mondo a misura di hipster
Sul versante più faceto, questo mondo futuro sembra fatto su misura per gli hipster modaioli, che qui si troverebbero a proprio agio, circondati dalla tecnologia onnipresente: quella dell’epoca, ovviamente, ma è facile sostituire gli apparecchi meccanici con i «dispositivi» elettronici touch pieni di lucette e cicalini da cui siamo vessati.
L’ultima moda ad esempio è consumare il cibo liquido, già descritto, in ristoranti di tendenza come lo Scienticafé, che a differenza dei «vecchi posti masticatori» producono «solo cibo nutriente ma non piatti difficili da digerire», perché si aspirano da un bocchino. Non vi è nemmeno personale di servizio perché i menù sono incisi su un pannello davanti al cliente, che sceglie i piatti spostando una freccia: l’immagine che si forma nella mente del lettore è la stessa di quei ristoranti di oggi – impersonali ma di tendenza – in cui si è costretti a scegliere le pietanze da un tablet ed il cameriere si vede solo quando appare per distribuire i piatti con malagrazia.
Per la gioia degli ambientalisti, l’energia elettrica che in questo futuro fa funzionare ogni macchina è pulita perché è prodotta solo con impianti a pannelli solari: trasmessa mediante onde radio, raggiunge ogni angolo della città ed alimenta costantemente qualsiasi apparecchio dotato di antenna ricevente. Non si parla ancora di wireless ma si tratta di una dimenticanza: non è difficile immaginare che, così come la batteria è mantenuta sempre carica senza l’utilizzo dei cavi, anche il telefonino, se ci fosse, sarebbe sempre connesso grazie alla stessa rete di distribuzione. Al riguardo, c’è pure un mondo social che farebbe la gioia di qualsiasi adolescente: le stanze possono infatti essere ricoperte da «telephot» (in sostanza, schermi video) di grandi dimensioni e da altoparlanti che, collegati alla rete telefonica, possono mostrare il volto e far sentire la voce di chi è connesso dall’altra parte, anche migliaia di persone allo stesso tempo; proprio come una teleconferenza o chat che, come quelle cui tutti ormai sono abituati, suddivide ogni schermo in tante piccole finestrelle, quante sono le persone collegate.
Ci sono pure gli ebook, minuscole lastre delle dimensioni di un francobollo stampate a sovraimpressione, ossia pagina su pagina, in modo tale che ogni strato corrisponda ad una pagina, che poi un’apposita macchina permette di proiettare sulla parete in sequenza; in assenza di tale spazio, è possibile leggere queste pellicole con una particolare lente tascabile. Ma questo presuppone una disposizione alla lettura.
Da ultimo, il mezzo di locomozione preferito nella New York del 2660 sono le tavolette tele-motor – in sostanza i pattini a rotelle (tre) elettrici – con le quali è facile sfrecciare sulle lisce strade di «steelonium», senza buche: per controllare la velocità, basta alzare la parte anteriore della tavoletta; sollevando invece la ruota anteriore, automaticamente si frenano le due posteriori. Non può non venire in mente il monopattino elettrico, divenuto in pochi mesi il flagello dei marciapiedi, ma saltano alla mente anche gli altri mezzi di locomozione tanto amati dai modaioli, come il segway e gli altri mono o biruote dotati di giroscopio che quotidianamente ci tagliano la strada nelle zone pedonali.
Come direbbe quella mia compagna di classe che aveva fatto infuriare la prof di greco e latino abbozzando una fantasiosa traduzione dell’«omnia munda mundis» paolino: tutto il mondo è paese. Anche quello futuro, visto dal passato.
Il senso del meraviglioso
Ambientata a New York nel 2660, la storia segue le vicende di Ralph 124C 41+, uno dei più grandi scienziati al mondo ed uno dei soli dieci luminari cui sia consentito di aggiungere il «più» alla fine del cognome: la sigla stessa è un gioco di parole in inglese, «one to foresee for one more», ossia «colui che prevede per un altro» oppure, molto più liberamente, «colui che si prende cura del prossimo». Ralph infatti appartiene al governo perché le sue molte invenzioni hanno già contribuito a migliorare la vita dei terrestri, che in quel lontano futuro partiva da una base già molto buona.
Mentre il protagonista è al videotelefono con un collega, salta la comunicazione e per errore viene connesso con la Svizzera, dove fa la conoscenza di Alice 212B 423, che è sola a casa: mentre chiacchierano – Alice è così felice di aver finalmente incontrato Ralph che gli chiede un «teleautografo» – la casa di lei viene minacciata da una valanga improvvisa, che lo scienziato con la sua conoscenza e tecnologia riesce a far sciogliere in acqua appena in tempo, lanciando una sorta di scarica elettrica dal tetto del laboratorio.
Per riconoscenza, il giorno dopo Alice ed il padre si presentano a casa sua: hanno viaggiato tutta la notte nel tunnel atlantico sotterraneo, di cui il padre è uno dei progettisti. Dal momento che si fermeranno a New York per qualche tempo, Ralph ed Alice iniziano una fitta frequentazione che ha lo scopo di mostrare al lettore le meraviglie del mondo futuro: i campi sportivi, gli impianti fotovoltaici, le fabbriche di cibo e tessuti sintetici, i divertimenti e gli altri aspetti della vita futura, incluso un esperimento di rianimazione di un cane morto da tre anni e conservato sotto vuoto, condotto con successo dal nostro, che ne era stato anche l’ispiratore.
Dopo interi capitoli dedicati a queste sfaccettature, si entra finalmente nel vivo della storia: presto Ralph si innamora di Alice e mal sopporta che due suoi pretendenti, il miserevole Fernand 600 10 ed il marziano Llysanorh’ CK 1618, siano tornati a farsi vivi. Dei due il più insistente è Fernand – che prima fallisce un tentativo di sequestro col mantello dell’invisibilità, poi riesce nel rapimento col più romantico abbordaggio dell’aerotaxi su cui Alice sta viaggiando – ma il più pericoloso è il marziano, che insegue l’astronave del fuggitivo Fernand, la abborda, prende a bordo la ragazza e, dopo aver manomesso i comandi, la dirige su una rotta diretta al sole, con Fernand chiuso dentro, impotente.
Ralph nel frattempo sta armando il suo «aereo spaziale», il velocissimo Cassiopea, con provviste per sei mesi ed altre attrezzature: col radar localizza facilmente il velivolo di Fernand, che viaggia sorprendentemente lento, e in breve lo raggiunge. Aggiornato sugli ultimi eventi, sistema la navicella dell’avversario per permettergli di raggiungere almeno Venere incolume, poi si getta all’inseguimento del marziano, che sta conducendo Alice sul pianeta rosso, dove non esiste alcun divieto ai matrimoni misti.
Ma anche Llysanorh’ viaggia rapido e Ralph non riuscirebbe a raggiungerlo se non ricorresse all’astuzia: con l’ausilio di elementi chimici si dota di una coda luminosa che fa apparire la sua nave come una cometa diretta proprio contro Marte. Il controllo spaziale marziano ordina quindi a Llysanorh’ di intercettare la cometa per evitare che si schianti sul pianeta: così il rapitore riduce le distanze senza accorgersi del mascheramento adottato da Ralph, che ora può facilmente uccidere l’avversario. Solo che, prima di morire, il marziano pianta un pugnale nel braccio di Alice, recidendole un’arteria: Alice muore dissanguata.
Tormentato dal dolore, Ralph recupera il corpo di Alice e lo mette sotto vuoto per replicare con lei l’esperimento di rianimazione già tentato col cane: e quando, mesi dopo, torna sulla terra, si mette subito al lavoro, premiato dallo scontato successo.
Il finale è la classica sbrodolata di bei sentimenti e promesse d’amore eterno.
Un libro che merita di essere letto
A questo punto qualcuno si starà chiedendo: ma vale la pena di leggere «Ralph 124C 41+»?
La risposta non può che essere sì: certo, la trama ha dei limiti, la parte scientifica è superata, lo stile è ruvido ed i personaggi sono piatti. Ma è un libro che trasuda quel senso del meraviglioso e quell’ottimismo tipici dell’epoca ed offre così uno spaccato di ciò che era la vecchia fantascienza: tre quarti narrativa, un quarto scienza, per usare la formula esplosiva brevettata dallo stesso Gernsback. E quel quarto di scienza include una buona parte di superscienza.
Inoltre si tratta un’opera importante per questo genere letterario, perché ha dato un contributo rilevante alla nascita della fantascienza moderna e ne ha modellato temi e toni per almeno trent’anni: in altre parole, è uno dei pilastri su cui la fantascienza si è fondata, anche se oggi cerca di darsi tutt’altro tono, più serio ed impegnato.
Chi è appassionato di predizioni trova qui inoltre un repertorio quasi illimitato di idee e profezie che in parte si sono anche avverate, come si è visto: molte altre rientrano invece nel campo della superscienza e servono solo per stimolare il lettore dell’epoca e ricordargli che il futuro aveva in serbo tante belle sorprese. Scrive infatti Jacques Sadoul nella sua «Storia della fantascienza», leggermente datata (è del 1975) ma sempre attuale per i commenti, che «dal punto di vista letterario, l’opera di Gernsback è oggi illeggibile; ma dal punto di vista delle predizioni di realizzazioni tecniche, è stupefacente».
Certo, bisogna essere appassionati della fantascienza per riuscire a tollerare «Ralph 124C 41+» e probabilmente solo chi apprezza l’entusiasmo di quei pionieri arriverà fino in fondo: ma nell’insieme si tratta di un libro leggero che si legge in fretta, anche pensando ad altro.
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