I «pulp» dai quali questo blog prende il nome non sono il «pulp» che va di moda da alcuni anni: è un equivoco di cui mi sono reso conto solo molto tempo dopo aver aperto Libri Pulp, quando mi è stato chiesto di recensire «La notte delle croci e delle morti» di Marco Mazzucchelli e Danilo Oggionni.
Quel libro infatti si considera pulp (e lo scrive anche sulla copertina) ma, come genere letterario, quel pulp non ha niente a che vedere con le riviste pulp della prima metà del Novecento, alle quali è invece ispirato il titolo di questo blog, un omaggio ad uno stile di scrittura ormai perduto, come dimostra appunto la comparsa del «pulp» moderno, che si è impossessato di quel vecchio nome, rimasto orfano del contesto in cui era nato.
Per fare un po’ di chiarezza sulle differenze tra due generi letterari incompatibili che però condividono la stessa etichetta e risolvere così l’equivoco, copio l’analisi che ne avevo fatto nella recensione citata.
Sono dell’idea che la ragione principale per cui non posso che dare un giudizio negativo del libro derivi da un equivoco: cosa si intende per «pulp».
Nelle mie intenzioni, il «pulp» del titolo di questo blog è un omaggio alle riviste americane degli anni Venti, Trenta e Quaranta, che sono chiamate appunto «pulp (magazines)», dal tipo di carta scadente ma economica su cui erano stampate, ricavata dalla polpa («pulp» in inglese) dell’albero: queste riviste pubblicavano racconti d’azione di ogni genere, dalla fantascienza alla space opera, dalla sword and sorcery al romanzo storico, dall’orrore (Lovecraft ad esempio scriveva su Weird Tales e Weird Tales è divenuta una rivista simbolo dei pulp) al giallo o poliziesco nelle sue molteplici vesti senza trascurare alcun altro sottogenere letterario, in modo tale da attirare i centesimi di tutti gli appassionati di ogni possibile declinazione dell’avventura, dell’azione e del mistero.
Mi rendo conto però che nell’accezione moderna «pulp» ha assunto un significato leggermente diverso e non indica più quel tipo di avventure quasi melodrammatiche bensì un genere diverso, molto più realistico, molto più violento e, soprattutto, molto più spinto e sanguinolento dei racconti in fondo ottimistici delle riviste della prima metà del Novecento: questo nuovo genere, che è senz’altro epigono di quelle storie ma ha preso anche tutta un’altra piega, è esploso negli anni Novanta in seguito al film «Pulp fiction» di Tarantino, che ha rispolverato un termine ormai desueto e lo ha affibbiato al genere splatter per cui quegli gode di un prestigio tanto sconfinato quanto immeritato. Apprendo infatti dalla Wikipedia che il pulp oggi «è un genere letterario che propone vicende dai contenuti forti, con abbondanza di crimini violenti, efferatezze e situazioni macabre e che di norma viene apparentato con l’hard boiled, il poliziesco e l’horror» (questi ultimi, va detto, sono anche generi tipici delle vecchie riviste): non che la Wikipedia sia una fonte autorevole ma se non altro la sua consultazione aiuta a mettere a fuoco un argomento e a farsi un’idea del modo in cui la massa – o, come piace dire oggi, il «mainstream» – lo recepisce.
Arriviamo così al libro di Mazzucchelli e Oggionni, che già in copertina viene presentato come «un romanzo pulp»: proprio da qui, temo, deriva l’equivoco. Perché «La notte delle croci e delle morti» riflette perfettamente la definizione per così dire moderna di «pulp» che ne dà la Wikipedia ma è agli antipodi del significato tradizionale del termine e delle sue radici, che in origine non solo includeva molti altri generi oltre al giallo orrorifico ma puntava più sull’azione ininterrotta che sull’efferatezza psicologica.