Hawk Carse, il Falco dello Spazio, è uno degli eroi minori e quasi dimenticati della space opera delle origini, quando questo genere appena decollato cercava ancora un’identità propria ed intanto regalava avventure mozzafiato e sogni a basso costo a migliaia di lettori in un’America che cercava di risollevarsi dalla miseria della grande depressione. Protagonista di un breve ciclo di racconti pubblicato a quattro mani nel 1931-32 e 1942 da Harry Bates e D.W. Hall sotto lo pseudonimo comune di Anthony Gilmore, Hawk Carse è il personaggio che più di ogni altro incarna tutto ciò che, nel bene e nel male, è stata la fantascienza avventurosa degli albori: in altre parole, le sue storie sono un minestrone degli ingredienti più classici – così classici che oggi sono diventati convenzionali – del genere, dall’eroe freddo e sicuro di sé all’antagonista geniale e azzimato, dalle scene d’azione impossibili alla superscienza più fantasiosa, senza nemmeno una briciola di riguardo per il buon senso. Il risultato è come le montagne russe, ci sono parti che funzionano sino a togliere il fiato ed altre che invece rimangono così piatte che rischiano di uccidere per noia: ma è certo che in queste pagine si trova tutto quello che ci si aspetta da una sana storia d’avventura spaziale degli anni Trenta. E forse anche qualcosina di più.
Cinque storie, un romanzo unico
Pubblicati nell’arco di un anno, dal novembre 1931 al novembre 1932, su Amazing Stories, i quattro racconti che costituiscono il ciclo di Hawk Carse hanno una caratteristica rara nelle storie dell’epoca: sono interconessi gli uni con gli altri e formano un romanzo unico, dove ogni storia inizia dal punto in cui la precedente si era conclusa. A questo nucleo si aggiunge poi un quinto racconto, «The Return of Hawk Carse», pubblicato sempre da Amazing Stories nel luglio 1942, dieci anni dopo la conclusione del ciclo: ma è il più debole della serie e sa di forzato, al punto che gli annunciati episodi successivi non sono mai stati scritti.
Dietro lo pseudonimo di Anthony Gilmore, accreditato di aver scritto tutte e cinque le storie (più alcune altre scollegate da questa ambientazione), si celano in realtà Harry Bates e D.W. Hall, all’epoca direttore e vicedirettore della stessa Amazing: mentre quest’ultimo ha scritto qualcosina in proprio nei primi anni Trenta per poi scomparire, Bates è rimasto ancora parecchio attivo nel decennio successivo e viene ricordato soprattutto per «Farewell to the Master» del 1940, il romanzo da cui nel 1951 è stato ricavato il film «Ultimatum alla terra» (The Day the Earth Stood Still), uno dei classici della fantascienza del primo dopoguerra. Se la frase «Klaatu barada nikto» vi dice qualcosa, il merito è proprio di questo film.
Tornando all’argomento di questo articolo, nel 1952 i racconti sono quindi stati riuniti nel volume «Space Hawk» con alcune impercettibili differenze rispetto alle versioni da rivista ma, a differenza del classico fixup dell’epoca che fondeva tra loro alla bell’e meglio racconti diversissimi, il risultato di questa raccolta è migliore e sa di romanzo autentico, proprio perché, sin dall’inizio, le storie erano state scritte in sequenza, con al massimo brevi cappelli di raccordo tra un episodio e l’altro, necessari quando le puntate venivano pubblicate a distanza di mesi.
Un futuro che oggi è più lontano di ieri
Ambientati nel prossimo futuro in un qualche momento tra il 2117 ed 2148 (ma, da riferimenti interni ai racconti, probabilmente non prima del 2127), i quattro racconti principali trattano il momento culminante dell’aspra contesa tra l’eroe eponimo ed il suo arcinemico, il geniale scienziato eurasiatico Ku Sui: questa rivalità si trascina da almeno dieci anni, da quando cioè l’orientale – che è la mente dietro ogni iniquità e traffico losco del sistema solare – si è messo a vessare il «master scientist» Eliot Leithgow, il cervello più formidabile dello spazio conosciuto, che nonostante l’età avanzata è il miglior amico di Hawk Carse. Quest’ultimo, che è pure animato da principi opposti a quelli di Ku Sui, è quindi intervenuto per difendere e proteggere l’amico, ingiustamente accusato dei crimini più efferati commessi dal cinese e perciò esule dalla terra: ma quando si apre il primo racconto finalmente a Carse si presenta l’occasione per risolvere la rivalità una volta per tutte. E lui la coglie al volo, cacciandosi a testa bassa nei guai e nelle trappole tese dall’avversario.
Gli eventi dei primi quattro racconti di svolgono nell’arco di un paio di settimane, con una coda che si tiene a distanza di quasi un mese e dovrebbe essere conclusiva: la quinta storia invece prende le mosse circa quattro mesi dopo questo primo epilogo e, trascorso un intervallo di un altro mese, si conclude nel giro di pochissimi giorni.
In questa ambientazione, tutti i pianeti ed i satelliti del sistema solare sono stati esplorati ed in buona parte sono anche abitati: solo i tre canonici – la terra, Marte e Venere – hanno una forma di vita intelligente autoctona; marziani e venusiani sono di aspetto simile ai terrestri, con poche differenze, che nel caso dei venusiani sono per lo più sgradevoli, a cominciare dall’odore e dall’indole portata a fare il male.
Di questa manciata di mondi tuttavia se ne vedono solo due: di sfuggita Giapeto, una luna di Saturno, dove Carse ha una fattoria di animali indigeni; ed il Satellite III di Giove, covo dei pirati e dei peggiori criminali del sistema solare, che trovano asilo soprattutto nella cittadina di Port o’ Porno (Porto Hermes in italiano: ma traduzione per traduzione un «Porto Brago» sarebbe stato più azzeccato) e anche in ranch sparsi per la giungla.
Pur abitato e percorso da mercanti, avventurieri e pirati, il sistema solare non è ancora civilizzato ma si presenta come la più classica delle frontiere selvagge, dove appunto i criminali possono proliferare ed operare indisturbati, perché ancora manca un’autorità che faccia rispettare la legge: anzi, in questa frontiera manca pure la legge. Ma come scrivono e ripetono più volte i due autori, sono proprio le azioni di Carse che hanno plasmato il sistema solare com’è oggi e gettato le fondamenta del fitto commercio tra i pianeti, Vulcano incluso (un mondo ipotetico che, fino agli inizi del Novecento, si pensava trovarsi tra Mercurio ed il sole): in altre parole, si deve a Carse più che a chiunque altro se oggi il sistema solare è tutto sommato unito e civilizzato.
Questo raffronto tra l’attualità ed il passato infatti è possibile perché i racconti altro non sono che l’opera di uno storiografo del futuro – tale John Sewell – che un secolo dopo gli eventi narrati si è messo a scrivere una storia del sistema solare nella quale riconosce i meriti dell’eroe eponimo, ricostruiti in parte attraverso i ricordi senz’altro romanzati di Venerdì, l’aiutante di Carse.
Una space opera con un pizzico di «space western»
Come si è già osservato nel commento al ciclo di Northwest Smith della Moore, un eroe di alcuni anni successivo a Carse, un tempo non esisteva una suddivisione rigorosa tra i generi, tanto che fantascienza ed (heroic) fantasy potevano tranquillamente convivere sulle pagine della stessa rivista: ovviamente però gli autori avevano gusti propri e subivano il fascino di ispirazioni differenti, che hanno poi finito per riflettersi nei loro testi. E nell’America degli anni Trenta non c’era influenza più forte della conquista del West, il cui mito ancora vivissimo nell’immaginario comune faceva presa sicura ed immediata su qualsiasi lettore.
Non c’è dubbio quindi che le storie di Carse appartengano di diritto alla space opera, dal momento che ne soddisfano tutti i criteri, dal viaggio spaziale ai pianeti abitati, dall’azione costante e prioritaria ai personaggi rodomonteschi, dalle trame semplici e lineari alla superscienza onnipotente, in un tentativo di tradurre in chiave spaziale il canovaccio delle avventure di esplorazione classiche, con tanto di pirati, giungle selvagge e faide tra i protagonisti che si trascinano da lunghissimo tempo.
Ma anche in queste storie – proprio come in quelle di Smith – si avverte l’influenza che il Far West aveva avuto sugli autori ed ancora aveva sui lettori contemporanei: la frontiera selvaggia che riempie lo sfondo ne è l’indizio più ovvio, al quale però si aggiungono a rinforzo diversi altri elementi, soprattutto nel primo racconto, che è anche di gran lunga il migliore della serie. I ranch (sia quello di Carse sia gli altri sul Satellite III), i duelli stile western per cui l’eroe va matto, la sentina di ogni iniquità che è Port o’ Porno, il senso di squallore diffuso che sembra contaminare tutto al di fuori della terra, l’impressione che ogni cosa sia rabberciata all’insegna dell’economia e della funzionalità sono elementi che gridano Far West. Ma, mescolato alla fantascienza, il Far West diventa «space western», un sottogenere della space opera che recentemente sta incontrando sempre più il favore del pubblico: è facile infatti sovrapporre le due ambientazioni che, fatte le dovute differenze, sembrano quasi combaciare nei temi chiave.
Purtroppo però buona parte di questa impalcatura cade già a partire dal secondo racconto, quando gli autori prendono un’altra strada, che pende più verso la superscienza e la space opera tradizionale: ma il primo racconto, che regge anche senza proseguire col resto del ciclo, è quasi il manuale di istruzioni dello space western.
Un profilo di Hawk Carse
Come detto, Hawk Carse è un avventuriero ma del tipo positivo: uno di quelli cioè che operano ai confini della civiltà non per trarne un ingiusto guadagno con attività losche bensì perché mal si adattano alle convenzioni della civiltà.
Uomo di solidissimi principi e di morale integerrima, Carse non disprezza il profitto ma lo persegue con attività lecite: ad esempio, ha intuito che l’allevamento dei «phanti» – sorta di struzzi con un lungo corno, aggressivi, malevoli e micidiali, la forma di vita dominante su Giapeto – costituisce una fonte di guadagno proficuo. Così ne ha catturato un branco o due e ha costruito un suo ranch, dove ha messo al lavoro sei mandriani, tutta gente sana e onesta, non la solita feccia dello spazio: ad intervalli periodici torna alla fattoria con la sua astronave – la Star Devil o Stella del Diavolo, la nave più veloce dello spazio, costruita apposta per lui da Leithgow – per caricare le casse dei pregiatissimi corni, che hanno un mercato redditizio sulla terra.
Ma siccome è incapace di chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie si è fatto numerosi nemici: il principale e più pericoloso di tutti è il già citato Ku Sui, di cui si parlerà un po’ più avanti, alle dipendenze del quale operano tutti i principali criminali del sistema solare, come Judd il Nibbio, crudele pirata che trae piacere dal torturare i prigionieri, ed il venusiano Lar Tantril, che per conto del suo padrone sovrintende la raccolta della pianta da cui si ricava una potente droga.
Proprio a questa rivalità si deve la caratteristica saliente nell’aspetto dell’eroe, che per il resto è l’archetipo dell’eroe pulp: alto, magro e di fisico atletico, con i freddi occhi grigi ed il viso che non rivela alcuna emozione, Carse tiene i capelli biondi tagliati corti ma acconciati con una frangetta che gli copre la fronte; nei momenti di tensione o riflessione, ha l’abitudine di tirarsene alcune ciocche. Da quanto è disseminato qua e là nelle storie, si comprende che la ragione per cui tiene questa frangetta – che non lo aiuta certo ad avere un’aria sveglia – è per nascondere un qualche sfregio, probabilmente una cicatrice (ma non viene mai rivelato cosa sia esattamente), che gli è stato fatto dieci anni prima da cinque uomini: Ku Sui, Judd, Tantril – i suoi nemici di sempre – più altri due che non vengono nominati. Per quello sfregio e probabilmente anche per l’umiliazione che l’ha accompagnato (viene detto che era a terra, circondato da questi cinque che, dopo averlo atterrato e sfigurato, lo stavano pure schernendo), Carse ha giurato di vendicarsi sui suoi aguzzini, aggiungendo così un’altra motivazione alla sua lotta contro Ku Sui e soci.
È anche un ottimo pistolero, velocissimo e micidiale: ha la passione dei duelli in stile western, nei quali è rapidissimo ad estrarre la pistola dalla fondina e far fuoco, un talento che gli assicura il rispetto e la sopravvivenza. Caso singolare nella vecchia fantascienza, è mancino.
Gli alleati…
Carse può contare su due aiutanti fidati, che nel corso della serie diventano tre: il suo assistente Venerdì detto Eclissi; il superscienziato Eliot Leithgow e, appena citato nel terzo racconto poi presente nei successivi due, il ranchero Ban Wilson.
Leithgow, il più grande scienziato della terra, vive da dieci anni in esilio in un laboratorio segreto sul Satellite III di Giove, che si è costruito da sé con l’aiuto di Carse: è infatti dovuto fuggire in fretta e furia dalla terra dopo essere stato accusato di aver fatto sparire per invidia e rivalità gli altri cinque sommi scienziati terrestri, che in realtà sono stati catturati da Ku Sui (abile a far ricadere la colpa sullo sprovveduto Leithgow) e dal secondo racconto in poi costituiranno il succo della storia. L’anzianotto Leithgow è esattamente come ci si immagina un ometto con le sue capacità: è la controparte superscientifica buona alla superscienza usata per fini malvagi dall’eurasiatico, che dopo dieci anni non ha ancora desistito a cercarlo, per aggiungerlo alla sua collezione di cervelli, nel vero senso della parola. Leithgow è il miglior amico di Carse ma non vengono rivelate la ragioni per cui questa amicizia sia così stretta.
Venerdì è invece il braccio destro del protagonista, che venera ed è pronto a seguire anche all’inferno: Carse lo ha salvato tempo prima dagli schiavisti venusiani e da allora operano assieme. Nero di pelle e imponente di fisico, è un alleato affidabile al quale Carse non esita ad affidare compiti di responsabilità, come pilotare la Star Devil mentre si getta all’inseguimento dei cattivi e scortare Leithgow attraverso i pericoli della giungla sino alla sicurezza. Nel corso del ciclo però perde via via rilevanza, sino a diventare evanescente nel quinto racconto: così, sia pure involontariamente, il nomignolo di «Eclissi» che Carse gli ha affibbiato già nelle prime pagine del primo racconto diventa profetico, perché il personaggio viene progressivamente eclissato dalla storia.
Il terzo alleato di Carse è Ban Wilson, proprietario di un ranch sul solito Satellite III: viene appena nominato nel terzo racconto e poi nei due successivi accompagna Carse ma sempre con compiti di supporto. Viene detto che l’eroe si fida di lui – ed evidentemente lo reputa anche capace di gestire le situazioni di pericolo in cui si getta – ma è giusto un burattino nelle mani dell’eroe, di cui esegue gli ordini ma senza mai dimostrare una volontà propria.
…e i nemici
L’unico vero antagonista di Carse è il dottor Ku Sui, un esperto neurologo e supercriminale, il mandante di ogni iniquità nel sistema solare: si sa che gestisce il traffico di droga prodotta sul Satellite III e che ha rapito cinque eminenti scienziati terrestri per farne poi ricadere la colpa su Eliot Leithgow. Chiaramente ricalcato sul più noto Fu Manchu, che già da una quindicina d’anni era il volto del «pericolo giallo» caratteristico dei primi decenni del Novecento, è lui stesso un superscienziato sopraffino, capace delle invenzioni più mirabolanti: viaggia su un asteroide invisibile a forma di guscio d’arachide, su una metà del quale ha eretto la sua cittadella del male, protetta da una cupola trasparente, dove tiene anche il suo esercito di coolies lobotomizzati, sorta di zombi che eseguono ciecamente ogni suo ordine.
Nella lunga lista delle sue invenzioni superscientifiche ha ideato delle tute spaziali dotate di spinta propulsiva propria (usate intensivamente nel corso delle storie e decisive per alcuni eventi chiave): la sua più grande creazione però è la vasca dei cervelli, dettagliata nel secondo racconto, come tradisce il titolo («The Affair of the Brains»). In sostanza, ha rimosso il cervello dai cinque scienziati che aveva rapito e li ha collegati tra loro all’interno di un acquario: così li può sollecitare ed interrogare in qualsiasi momento per ottenere risposte ed informazioni su qualsiasi ambito scientifico. Nel quarto racconto, sotto condizionamento, sarà poi in grado di reimpiantare questi cervelli nelle scatole craniche di cinque disgraziati, rendendo così un corpo – non proprio attraente ma sempre meglio che niente – agli scienziati.
Alto di statura e di figura perfettamente proporzionata, Ku Sui ha le guance ascetiche ed i capelli neri pettinati all’indietro, che gli lasciano scoperta l’alta fronte: veste sempre una sorta di pigiama di seta verde con ciabatte e fusciacca rosse. Ciò che tuttavia rimane impresso del suo aspetto sono gli occhi, verdi che da lontano sembrano neri: velati dalle lunghe ciglia seriche e profondi come quelli di una tigre in agguato, non tradiscono né pensieri né emozioni.
In altre parole, veste su misura i panni del classico cattivo da pulp.
Gli altri due nemici con cui Carse si trova a fare i conti sono il pirata Judd il Nibbio ed il venusiano Lar Tantril, supervisore della produzione di droghe per conto di Ku Sui: superfluo a dirsi, entrambi fanno una brutta fine. Il primo, un sadico che si diverte a seviziare i prigionieri prima di ucciderli, crea non pochi grattacapi al nostro ma, invece di ucciderlo quando ne ha l’occasione, preferisce prenderlo prigioniero e torturarlo psicologicamente, commettendo così il classico errore di tutti i cattivi: alla prima occasione Carse, che ha trovato il modo di liberarsi, lo uccide in un duello assieme a quattro altri dei suoi.
Il secondo invece è così dabbene da lasciarsi raggirare ben due volte da Carse, che in questo modo riesce la prima volta a sfuggirgli da sotto il naso e la seconda a distruggere la cupola dell’asteroide di Ku Sui, uccidendo così sul colpo il venusiano e tutti i suoi per la conseguente fuga d’aria.
I cinque racconti
Quelli che seguono sono i riassunti dei cinque racconti del ciclo di Hawk Carse così come sono stati pubblicati su Amazing Stories nel 1931, 1932 e 1942: l’edizione in volume del 1952 riporta alcune differenze marginali, come il taglio dei cappelli introduttivi.
– Hawk Carse (novembre 1931)
All’apertura della prima storia, Carse è sulla Star Devil e sta viaggiando verso Giapeto per caricare alcune casse di corna di phanti da vendere sulla terra: ma quando è ormai a poca distanza dal ranch riceve una chiamata di aiuto da parte dei suoi, che sono sotto attacco. Al suo arrivo, meno di un’ora più tardi, vede una nave pirata parcheggiata accanto alla sua fattoria e sei uomini che trascinano delle casse: così scende in picchiata e attacca la nave, che però assorbe i colpi e decolla immediatamente, abbandonando casse ed alcuni uomini a terra.
Atterrato a sua volta, Carse scopre che i pirati hanno ucciso tutti e sei i lavoranti: sepolti i corpi e caricate a bordo le casse inspiegabilmente abbandonate dai predoni nella loro fuga precipitosa, parte all’inseguimento della nave misteriosa. La sua nave è la più veloce che esista e così in un paio di ore raggiunge i fuggitivi, che a questo punto si rivelano: sono Judd il Nibbio e i suoi, un pirata di pessima reputazione, che su incarico di Ku Sui ha deciso di eliminare Carse con un piano complicato. L’attacco alla fattoria e la successiva fuga erano solo l’esca: spiegato tutto quello che c’è da spiegare, Judd lancia un impulso radio che attiva le spore di un fungo nascoste in una delle casse abbandonate dai pirati e prese a bordo da Carse.
In men che non si dica questo fungo cresce colmando tutti i vani della nave ed assimilando ogni forma di vita che incontra, equipaggio incluso: solo Carse e Venerdì si salvano perché fanno in tempo ad indossare la tuta spaziale. Dopo un po’ Judd ed altri pirati salgono a bordo della Star Devil e neutralizzano il fungo con un gas: credono che tutti, eroe incluso, siano morti, anche se non ne trovano i resti.
Ma Carse e Venerdì si sono nascosti e stanno per riprendere il controllo della nave quando un pirata, che era stato solo stordito e legato dai due, sbuca alle spalle dell’eroe che ha appena sfidato a duello Judd ed i suoi e lo stordisce a sua volta: a questo punto Judd decide che a Carse non deve essere fatto del male; vuole invece consegnarlo integro a Ku Sui, col quale ha un incontro fissato per la settimana successiva.
Judd torna così con le due navi – la propria e la Star Devil – su Giapeto per festeggiare la vittoria e saccheggiare la fattoria di Carse: quella notte (non è passato nemmeno un giorno dall’inizio della storia) i pirati, ubriachi e su di giri, decidono di divertirsi con Venerdì. Judd lo pungola con la pistola laser tenuta al minimo, per indurlo col dolore a gettarsi nel recinto dei phanti, che si stanno agitando perché vedono un gruppo di umani e desiderano farli a pezzi; ed i pirati, stretti attorno all fuoco che illumina la scena, fremono perché sanno che tra poco scorrerà il sangue. Ma Venerdì resiste stoicamente perché sa che Carse sta per arrivare a salvarlo: prima di essere tratto al supplizio infatti aveva tranciato a morsi le corde che tenevano legate le mani dell’eroe, che aspetta solo il momento opportuno per agire.
Quando ritiene che sia arrivato, Carse si libera, uccide una guardia che era stata scortese con lui e chiude in uno sgabuzzino l’altra, poi si arrampica sul tetto della fattoria e, invece di sparare ai pirati, abbatte tre o quattro paletti della recinzione elettrica che rinchiude i phanti: quando gli animali si rendono conto di essere liberi, attaccano i pirati e ne fanno scempio; anche Venerdì se la vede brutta ma riesce comunque a mettersi in salvo.
Solo Judd e altri quattro trovano riparo nella fattoria: ma mentre sono affacciati alle finestre del primo piano per sparare agli animali, Carse s’intrufola silenzioso alle loro spalle e richiama la loro attenzione. È il momento del duello tanto atteso: Carse è il più veloce e li uccide tutti prima che abbiano il tempo persino di estrarre la pistola.
Sul libro di bordo della nave di Judd troverà poi il luogo e l’ora dell’incontro con Ku Sui: deciso a farla finita una volta per tutte, Carse spende i giorni successivi in preparativi. Userà la nave di Judd, ovviamente: e la Star Devil, minuziosamente descritta nelle pagine di questo racconto, non verrà più utilizzata per il resto del ciclo.
Questo è di gran lunga il racconto migliore di tutta la serie, diverso dagli altri sia per tema sia per tono: in queste pagine non solo la space opera dà il meglio di sé ma si avverte anche molto forte l’ambientazione da space western di cui si è già parlato. Purtroppo a partire dal racconto successivo la serie prenderà un’altra strada, meno originale ma più superscientifica e tradizionale.
– The Affair of the Brains (marzo 1932)
Seguito diretto ma inferiore del racconto precedente: si apre all’indomani della morte di Judd e dei suoi, con i preparativi di Carse e Venerdì per l’appuntamento con Ku Sui. Fingendo che l’operazione sia andata a buon fine, anche se è costata la vita a quasi tutti i pirati (Judd compreso), i due protagonisti si imbarcano sulla nave che fu del Nibbio e una settimana più tardi raggiungono il luogo dell’incontro: a bordo si trova anche l’ultimo superstite della sua banda, il pirata che l’eroe aveva rinchiuso in uno sgabuzzino quando si era liberato. Il piano è usare questi come esca, per far credere a Ku Sui che tutto è andato bene ed indurlo così a mostrarsi e magari anche salire a bordo: Ku Sui infatti ha la reputazione di giungere sempre all’improvviso, non visto, e di rivelarsi solo quando decide di farlo; si dice che la sua astronave sia invisibile o addirittura viaggi nella quarta dimensione. Presi dunque i contatti via radio, tutto sembra andare bene, anche se la nave del cinese continua a non essere visibile: ma i piani di Carse vanno al vento quando Ku Sui compare in cabina di pilotaggio alle spalle dei tre, con la pistola spianata.
Dopo i soliti preamboli l’eurasiatico, gentile ed untuoso ma pericoloso come una tigre, stordisce Carse e Venerdì con una droga: al risveglio si trovano da qualche parte in una cella spoglia. Poco dopo lo stesso Ku Sui compare sulla porta e li accompagna in un giro turistico della base, che non è un’astronave ma un asteroide a forma di guscio di arachide su una metà del quale il cinese ha eretto una serie di edifici protetti da una cupola di vetro.
La visita si conclude nel laboratorio di Ku Sui, dove il cinese mostra il suo successo più grande: una vasca in cui sono immersi e collegati tra loro i cervelli di cinque grandi scienziati terrestri scomparsi da dieci anni. Alla collezione manca solo quello di Eliot Leithgow, il miglior amico di Carse: ma con una macchina psichedelica, tutta luci e suoni, Ku Sui strappa a Carse l’informazione che voleva, dov’è rintanato il «master scientist» (anche in sigla: M.S.). Su Leithgow è ricaduta la colpa delle cinque sparizioni: così ha dovuto fuggire dalla terra per riparare sul Satellite III di Giove, la sentina della feccia dello spazio.
Partendo da Giapeto per questa missione Carse aveva concordato un appuntamento con l’amico a Port o’ Porno, l’unica cittadina del Satellite III: e la macchina di Ku Sui gli strappa anche questa informazione. Quando Carse si riprende non sa darsi pace per la soffiata, anche se involontaria.
Mentre i due tornano in cella i tirapiedi di Ku Sui – cinesi trasformati in robot mediante un’operazione al cervello – rapiscono Leithgow dalla villa del mercante che lo ospitava (che viene ucciso) e al loro ritorno Ku Sui è già pronto a strappargli il cervello. Ma come tutti i cattivi il cinese è sadico e quindi stupido: invece di uccidere Carse quando lo aveva in pugno preferisce torturarlo psicologicamente, costringendolo ad assistere tramite video dalla cella all’operazione di estrazione del cervello di Leithgow.
Motivato dal fatto che è meglio morire da uomo che vivere col rimorso, Carse architetta un sottile piano d’evasione: cortocircuitare la serratura e aggredire direttamente le guardie all’esterno, che tengono le pistole laser – una per mano – puntate sulla porta. È il punto debole di Ku Sui, che non aveva previsto questa mossa: aveva infatti dato ordine ai suoi uomini robot di limitarsi a minacciare o spaventare Carse e, se costretti ad aprire il fuoco, di sparare solo per ferire e non per uccidere. Così i coolies vengono facilmente travolti dalla furia di Carse e Venerdì, che non hanno niente da perdere ma devono fare in fretta se vogliono fermare Ku Sui prima che apra la testa di Leithgow. Ovviamente riescono nell’intento ed irrompono nel laboratorio: il cinese ha giusto il tempo di mettersi in salvo, abbandonando Leithgow (che è stato solo rapato a zero) e la vasca dei cervelli.
Ma il laboratorio, che ha porte su tutti i lati, è sotto assedio: i nostri non sanno come fuggire e chiedono l’aiutino da casa ai cervelli, che danno loro tutte le informazioni; in cambio chiedono di essere uccisi o distrutti o terminati. Solo che la vasca è resistente al laser e nella fretta della fuga Carse non può fare più di un simbolico tentativo di mantenere la promessa, che perciò nei racconti successivi diverrà un’ossessione, l’unica ragione per cui la storia si strascina per pagine e pagine. Seguendo le informazioni ricevute, in un armadio trovano tre tute spaziali sperimentali, dotate di un sistema di autopropulsione: indossate quelle ed aperto col laser un buco sul soffitto, i tre volano all’esterno, si liberano delle guardie ed alla fine riescono pure a fuggire, quando Carse mette in moto l’astronave che fu di Judd e, priva di guida, la manda a schiantarsi contro la cupola di vetro, che così lascia sfuggire tutta l’aria.
Adesso i tre sono liberi di volare sul Satellite III, distante solo trentamila miglia, ben visibile sullo sfondo rossiccio di Giove: alle loro spalle però l’asteroide di Ku Sui è già scomparso; questo è sufficiente a risolvere il mistero degli arrivi inosservati di Ku Sui, che deve aver trovato il modo di rendere invisibile la sua base.
Storia più lunga, più statica e molto narrativa che vede Carse a lungo passivo: non c’è confronto con la precedente, di gran lunga la migliore, anche se le due storie sono strettamente legate. La parte centrale, quella delle interminabili spiegazioni, sembra non finire mai: l’azione è scarsa ed è limitata al finale; la parte più interessante è invece l’inizio, fino al momento in cui Carse viene catturato: fin lì è abbastanza movimentata e promette fuochi d’artificio, che non verranno.
– The Bluff of the Hawk (maggio 1932)
Storia di raccordo tra le prime due e l’epilogo: non ha nemmeno una vera conclusione, dato che tutto rimane aperto e per il finale si deve attendere il racconto successivo. Solo con la forza di volontà Carse, già esausto, conduce Venerdì e Leithgow sul Satellite III, a trentamila miglia di distanza: impiega una trentina d’ore d’incubo, perché non può né dormire né mangiare ma deve concentrarsi sulla destinazione. Quando tocca terra, in piena giungla, crolla per la stanchezza: Venerdì ed Eliot sono già privi di conoscenza da tempo. Nel sonno Carse viene attaccato da un mostro della giungla che assomiglia al ceppo di un albero ma si difende, dopo di che si svegliano anche gli altri e, sempre indossando la tuta volante, si dividono: Venerdì e Leithgow vanno al ranch di Ban Wilson, un amico; Carse invece a Port o’ Porno per recuperare una carta che, se finisse nelle mani di Ku Sui, gli rivelerebbe la posizione del laboratorio segreto di Leithgow. Il documento potrebbe già essere in suo possesso e per questo non vogliono rischiare.
Il foglio si trova nell’abitazione del mercante da cui Eliot è stato rapito alcuni giorni prima: quando Carse vi si introduce scopre che effettivamente quella carta è scomparsa; e deduce che l’unico che può essersene impadronito è un certo Lar Tantril, un venusiano che da una fattoria non troppo distante dirige le operazioni di traffico di droga sul pianeta per conto di Ku Sui. Così quella notte stessa raggiunge il ranch del venusiano e, sebbene sia superprotetto, riesce a mettere le mani sulla carta ma viene scoperto: ma Ku Sui non ha ancora ricevuto l’indizio rivelatorio, che Carse riesce a cancellare prima di cedere le carte che aveva raccolto.
Per divertimento Tantril spara alle piastre antigravità della tuta di Carse, che così viene quasi schiacciato dall’enorme peso dello scafandro: ma riesce comunque ad ingannare Tantril ed i suoi cinquanta armati, sostenendo che sta per arrivare un attacco dal vicino lago, che sfrutta un punto debole del suo ranch; Carse è disposto a mostrare quel punto, a patto che poi lo risparmino. Ovviamente Tantril accetta, con l’intenzione di consegnarlo comunque a Ku Sui, che deve arrivare nel giro di alcuni giorni (era scritto su uno dei fogli presi da Carse).
Circondato da Tantril e dai suoi, camminando a fatica sotto il peso della tuta, il nostro conduce i venusiani in riva al lago e poi, fingendo di cercare il punto esatto in acqua, lentamente si spinge sempre più al largo, finché ad un certo punto non si inabissa nelle acque proprio sotto i loro occhi. La tuta lo isola dall’acqua e sott’acqua pesa meno, così può camminare sul fondo del lago sino a raggiungere in tranquillità il ranch di Wilson, che sorge sempre in riva allo stesso lago, a quattordici miglia di distanza, dove prepara la contromossa.
– The Passing of Ku Sui (novembre 1931)
Il racconto più lungo della serie e quello meno «spaceoperistico» del lotto, se si eccettua il bel finale: qui è solo una descrizione ininterrotta di minutaglie, che allontanano l’attenzione da Carse e la richiamano invece su elementi di secondaria importanza e scarsissimo interesse, per lo più collegati ai cervelli degli scienziati rubati (o rapiti) da Ku Sui, il tutto condito con l’intero campionario pulp dei luoghi comuni e degli errori più banali, che servono solo ad allungare la trama.
Raggiunti gli amici al ranch di Ban Wilson, Carse spedisce Leithgow al suo laboratorio segreto e con Venerdì e Wilson va a sorvegliare il ranch di Tantril: sa infatti che entro qualche giorno Ku Sui farà visita al venusiano. Quando arriva il cinese – sono in tre, tutti con le stesse tute sperimentali indossate anche dai protagonisti – Carse lascia il gruppo per andare in esplorazione: scova così l’asteroide di Ku Sui, parcheggiato non distante; poi, richiamati Venerdì e Wilson, ne prende facilmente il controllo; ed infine, quando Ku Sui fa ritorno, cattura facilmente anche lui. Non potrebbe andare meglio.
Carse ha un’ossessione: mantenere la promessa fatta ai cervelli, che avevano chiesto di essere distrutti. Adesso che è finalmente attrezzato per il compito però i cervelli si rimangiano quella richiesta: non vogliono più la morte ma tornare in un corpo umano. E Carse si sente moralmente obbligato ad eseguire anche questa loro volontà: solo Ku Sui è in grado di farlo ma, ovviamente, non desidera farlo. Carse però è così ingenuo che si fida di tutto ciò che gli dice il suo nemico e acconsente che Venerdì, su indicazione del cinese, abbassi una certa leva: è l’autodistruzione della vasca dei cervelli, ad effetto ritardato.
Lascia infatti ancora due o tre ore di vita alle menti: in una corsa contro il tempo, Carse porta l’asteroide alla base segreta di Leithgow, recupera cinque corpi accontentandosi di quello che è disponibile (uno dei coolies lobotomizzati di Ku Sui e quattro tossicodipendenti dai corpi marci e dalle menti annullate che pascolavano nella giungla vicino al laboratorio). Poi, dopo abbondanti dosi di V27, un gas che piega la volontà ma non annulla le capacità, un docile Ku Sui reimpianta i cervelli: allo scadere delle due ore la parte più delicata è terminata, rimangono solo le operazioni di contorno, che richiedono una decina di giorni di lavoro ininterrotto, al termine delle quali tutti cadono esausti.
Ma a quel punto l’asteroide è scomparso. Carse intuisce che è stato un fedelissimo di Ku Sui a portarla via, forse lo stesso Tantril, probabilmente nascosto in quella certa nicchia del laboratorio di cui si era scordato. Il laboratorio segreto quindi è tornato a scottare e così lo fa sgomberare in fretta e furia, per far ritorno sulla terra: adesso non solo ha prove più che a sufficienza per discolpare Leithgow dall’accusa di aver eliminato i cinque scienziati per invidia ma porta anche il vero colpevole del rapimento; e con loro ci sono pure i cinque, sia pure in altri corpi.
Il viaggio dura un mese. Quando sono finalmente arrivati in vista della terra, riappare l’asteroide, pilotato da Tantril, che si lascia ingannare ancora una volta da Carse: l’eroe promette di arrendersi senza opporre resistenza a patto che i suoi compagni vengano lasciati liberi; ma quando il venusiano abbassa la guardia, Carse lancia l’astronave a tutta velocità contro la cupola dell’asteroide, frantumandola. L’aria si disperde ancora una volta: a bordo muoiono tutti.
Ma Ku Sui approfitta della confusione per fuggire (aveva un opale al dito con cui avvelena le guardie: durante il viaggio aveva persino attirato l’attenzione di Carse sull’anello, ringraziandolo per averglielo lasciato, «significa molto per me») e, agguantata una tuta sperimentale, si rifugia nell’asteroide, che intanto è stato catturato dalla gravità terrestre.
Consapevole del pericolo ma deciso a non dare scampo al suo nemico, Carse lo insegue: finalmente entra anche lui nella famosa nicchia, che però non conduce da nessuna parte, solo ad una stanza vuota con un pozzo verticale che dà all’esterno. L’asteroide sta precipitando nell’atmosfera terrestre ed è diventato incandescente: Carse ha giusto il tempo di fuggire dal pozzo; di Ku Sui invece, dopo un fuggevole miraggio, non c’è traccia. Una volta fuori, il nostro deduce che il cinese deve essere rimasto intrappolato nell’asteroide, che va a schiantarsi nell’Atlantico: e anche a bordo della nave confermano le sue conclusioni, solo Carse è stato visto uscire dall’asteroide.
Però manca il corpo di Ku Sui: e, vista la messe di luoghi comuni dei pulp di questo racconto, non ci sarebbe da meravigliarsi se il cinese rispuntasse nel prossimo racconto.
– The Return of Hawk Carse (luglio 1942)
E infatti Ku Sui non è morto: torna già in questo racconto.
Non subito però, solo a metà storia, quando ormai la trama è alla deriva. Ma a quel punto il ciclo ha già perso ogni spunto di interesse: ancora una volta la storia ruota attorno ai cervelli rapiti/rubati e ai loro ospiti: Carse è poco più di un comprimario che serve solo a fare cose, visto che alla fine la situazione viene risolta dal classico «deus ex machina», il Q Non Nato (the Unborn Q), un nuovo attore. Carse è pure fuori personaggio, perché agisce, parla e si relaziona con gli altri personaggi in una maniera che stride con il profilo ormai noto.
Sono passati quattro mesi dalla fine del racconto precedente. Leithgow ha trovato il modo di restituire l’aspetto originale ai cinque scienziati, che non solo faticano ad accettare i loro nuovi corpi ma sono stati anche rifiutati dai familiari: dopo diversi tentativi di suicidio (uno anche riuscito), i superstiti sono ora rinchiusi in manicomio. Il metodo Leithgow prevede la clonazione mediante onde sonore, per la quale è necessaria una certa macchina appena trafugata da Carse: in sostanza, ognuno di noi emette uno schema di onde sonore unico e su questa base è quindi possibile ricostruire una copia del nostro corpo, basta solo accedere alle registrazioni della voce. È lo stesso principio utilizzato due anni prima da Bates nel già citato romanzo «Farewell to the Master».
Carse obbliga, con minacce e quasi la violenza, i quattro a seguirlo sul Satellite III per assistere alla clonazione: poi, dopo aver ammirato i nuovi corpi che prenderanno il loro posto, dovranno suicidarsi docilmente. Tutto sembra andare per il meglio, i sostituti sono perfetti: tuttavia, dopo l’umiliante suicidio di massa davanti ad un pubblico composto dai vari protagonisti e dai cloni, questi ultimi muoiono misteriosamente; la macchina infatti contiene un’imperfezione.
E così finalmente salta fuori Ku Sui, che è sfuggito in qualche modo al disastro dell’asteroide (non viene spiegato come) e, aiutato ora da un telepatico, adesso sa sempre tutto quello che sanno anche i protagonisti: così ha potuto anticiparli in ogni mossa, manomissione della macchina clonatrice inclusa. Mentre Carse è impegnato all’esterno in una sua indagine personale, il cinese prende il controllo del laboratorio non più segreto e cattura tutti i compagni dell’eroe: poi al suo ritorno cattura anche lui.
Adesso Ku Sui non vuole più staccare i cervelli dai corpi perché ha escogitato qualcosa di più utile: grazie alla macchina e alle registrazioni vocali, unisce le copie dei cervelli dei cinque scienziati già noti, di Carse, di Leithgow, del telepatico ed il proprio in un unico cervello all’interno di un’unica creatura, il Q Non Nato, che crede di poter dominare. Ma in realtà quest’essere, superiore a Ku Sui come a qualsiasi altro mortale, gli si ribella dopo pochi minuti, disgustato dal male che la mente del cinese ha immesso nella sua identità: decide tuttavia di non uccidere il suo creatore ma di prenderlo come servitore e di ritirarsi con lui su uno scoglio isolato nello spazio, per trovare modi con cui aiutare la razza umana ad evolversi. La punizione di Ku Sui sarà appunto l’essere schiavo e non libero di fare ciò che vuole.
Ma l’epilogo lascia intendere che qualcosa nel piano del Q non deve aver funzionato: si cita infatti una resa dei conti tra Carse e Ku Sui che avverrà in un qualche momento nel futuro. Ma quella storia non è mai stata scritta.
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