Zothique, l’ultimo continente della terra, è una delle ambientazioni più riuscite di Clark Ashton Smith: anzi, mi arrischierei a dire che è il migliore dei suoi tanti cicli e senz’altro il più rappresentativo dello stile e delle atmosfere tipici del californiano.
Scritte per lo più negli anni Trenta ma con una brevissima coda che sfiora anche gli anni Quaranta e Cinquanta, le sedici storie più una poesiola che compongono il volume sono state pubblicate tutte da Weird Tales e, dopo la morte dell’autore, nel 1970 sono state infine raccolte in un volume che pochi anni dopo – il 1977 – è stato tradotto anche in italiano dalla compianta Editrice Nord.
La terra morente inizia a morire qui
Il fascino di Zothique deriva proprio dall’ambientazione, che è la nostra terra ma migliaia di anni nel futuro: è infatti l’ultimo continente di un mondo decadente e moribondo, che occupa all’incirca l’odierna regione compresa tra l’Africa orientale, il Levante e l’estremo Oriente. Non c’è alcuna traccia di tecnologia ma tra le molte città stato da Età del Bronzo che costellano Zothique spuntano un po’ dappertutto le rovine di antichi imperi travolti dal tempo, dei quali ormai si è dimenticato persino il nome: in un qualche momento del passato (ma sempre del nostro futuro) è invece sbocciata la magia, che nell’oggi dei racconti prospera ed appartiene alla quotidianità; non sono infatti infrequenti gli incontri con demoni, morti viventi, creature fatate ed altri mostri intelligenti che possono esistere solo in un mondo fantastico.
La vera caratteristica di Zothique, ciò che la differenzia dalle mille altre ambientazioni fantasy ciclostilate, non è però tanto la presenza della magia quanto il suo degrado, sia ambientale sia soprattutto sociale e morale: non è quindi un caso che pochi anni più tardi sia servita di ispirazione per la Terra Morente di Jack Vance (di cui ho già parlato non molti mesi fa), che ne condivide l’ambientazione da Ultimi Giorni e la grettezza degli abitanti, sia pure con un taglio un po’ più scanzonato.
Infatti laddove le culture di Vance sono barocche, coloratissime, complessissime e spesso assurde, quelle di Smith tendono ad essere molto più crepuscolari, decadenti, degenerate: gli abitanti di Zothique – e spesso i protagonisti stessi – sono attratti morbosamente dal macabro e dalla necrofilia e sembrano non avere altro interesse nella vita che infliggere dolori e tormenti agli altri esseri umani per trarre il massimo piacere dalle sofferenze altrui. Il tono stesso delle storie «zothicane» è più pessimistico e fatalista di quello quasi fiabesco dei racconti vanciani, che invece sono solitamente a lieto fine e, anche qualora tocchino una tematica controversa, tendono a sorvolare sulle scabrosità: forse anche per questo la Terra Morente ha avuto il privilegio di aver dato il proprio nome ad un genere letterario – quello eponimo appunto – di cui non è però l’iniziatrice, un primato che invece spetterebbe a Zothique.
Un certo barocchismo, a modo suo
In un certo senso però anche Smith – e questo suo ciclo in particolare – può essere considerato barocco: non tanto per il folclore quanto piuttosto per il richiamo costante alla morte, che solitamente si manifesta attraverso l’odorato. Dei cinque sensi, tutti sempre sollecitatissimi nelle storie del californiano, è proprio l’olfatto ad essere particolarmente stimolato in Zothique: in questi racconti infatti non solo abbondano i richiami ai mille odori che si sovrappongono – a volte piacevoli ma più spesso sgradevoli o stucchevoli e sempre con una sfumatura di marciume o decadimento – ma solitamente è proprio l’olfatto ad avvertire il lettore che la scena successiva affronterà il tema della morte, del macabro o addirittura della necrofilia.
Proprio in questo incombere della «fatal quiete» sta il barocco di Zothique, accentuato anche dalla frequente aggettivazione, dai periodi complessi e dalle descrizioni intricate di ogni ambiente, con un interesse morboso non tanto per l’abbigliamento dei personaggi e le loro assurde tradizioni come farebbe Vance quanto invece per i dettagli dell’architettura, dell’arredamento e, appunto, degli odori.
Una panoramica delle sedici storie
Presi singolarmente, i racconti ambientati nella terra di Zothique non sono nulla di eccezionale: certo, sono ottime storie fantasy con una forte componente soprannaturale che hanno la caratteristica di non sconfinare né nella sword and sorcery né nell’high fantasy ma, a dirla tutta, non sono né particolarmente avvincenti né particolarmente ingegnose. Tutte condividono però un’ambientazione suggestiva, validi spunti e l’abilità di Smith a descrivere e costruire scene ed ambienti sin quasi a renderli reali: ed è proprio qui che i racconti eccellono, perché pur con poche idee riescono a far vivere al lettore le scene che sta leggendo e a tenerlo concentrato sull’azione.
Sebbene le storie siano state scritte per una rivista e nell’arco di parecchi anni, quindi per essere lette senza avere una conoscenza previa dell’ambientazione, risultano incredibilmente omogenee nell’atmosfera di degrado e, talvolta, persino nei richiami a fatti, luoghi o personaggi già incontrati in altri racconti: le mie preferite sono «I negromanti di Naat», «Il dio dei morti» ed «Il tessitore della cripta», con quest’ultima leggermente superiore a tutte.
– Zothique (Zothique, A Poem, 1951)
Poesia.
– Xeethra (Xeethra, 1934)
La parabola del rammarico e del ricordo carico di dolore.
Xeethra è un ragazzo che, dopo essere stato adottato dallo zio, si guadagna il pane come capraio. Un giorno esplora una misteriosa caverna che lo porta in un regno sotterraneo dove crescono strani alberi carichi di frutti ancora più strani: incuriosito, ne coglie uno e lo mangia ma, scoperto dai giganti neri che sono i custodi del regno, fugge e fa ritorno a casa con le sue capre.
Già durante il cammino a tratti è come preso dalla febbre: in quei momenti dimentica chi è realmente e viene invece sopraffatto dai ricordi, nei quali crede di essere il re di un regno orientale. Tornato a casa, racconta il fatto allo zio, che si preoccupa: è stato sicuramente ingannato da un’illusione del demone dell’inferno perché ha mangiato uno dei frutti del suo giardino, che portano alla follia.
Sempre più rapito dalla sua fantasia, l’indomani Xeethra fugge e, quasi un anno più tardi, raggiunge finalmente il suo regno lontano, che è un ammasso di rovine: tra i ruderi vivono solo i lebbrosi. Disperato, stringe un patto con uno dei custodi dell’inferno che gli dice che il frutto che ha mangiato ha sbloccato i suoi ricordi: in un lontano passato è stato realmente il re di quel paese. In virtù del patto appena stretto il ragazzo potrà vivere la vita da re che ricorda finché non ne chiederà l’annullamento ma già da questo momento la sua anima appartiene al demone.
Passano gli anni, che Xeethra trascorre nel lusso e nell’oblio, ed arrivano anche i problemi, che non sa come risolvere: infine si stufa anche di fare il re e, accompagnato da un flautista che con la sua musica l’aveva finalmente aiutato a dimenticare i pensieri, decide di abbandonare il regno, rendendo così nullo il patto. Appena fuori dalla città quindi il regno scompare, sostituito dalle rovine, ed il flautista si rivela per un altro custode del demone che, come era negli accordi, ha revocato il patto per volontà del ragazzo. D’ora in poi il ragazzo sarà combattuto tra quello che era ed aveva e ciò che è e ha: ricorderà cioè di essere stato re della città e ricorderà anche la bella vita che vi conduceva ma saprà pure di essere solo un capraio e sperimenterà la durezza della vita del capraio, che prima di questa esperienza non gli pesava affatto.
Xeethra prega così il custode di prendergli l’anima, perché la morte sarà meno dolorosa di questa vita; ma il custode rifiuta di accontentarlo: la sua anima già appartiene al demone dell’inferno. (6)
– I negromanti di Naat (Necromancy in Naat, 1936)
Per inseguire la fidanzata rapita, un giovane capotribù giunge al porto marittimo dove la ragazza è stata caricata su una nave per essere portata in dono ad un regnante: perciò anch’egli si imbarca per la stessa destinazione ma una tempesta porta la nave fuori rotta, finché non viene catturata da una corrente invincibile che la manda a schiantarsi sulla lontana isola dei negromanti, Naat. Unico superstite, il protagonista viene salvato da una donna: è la sua amata, un cadavere rianimato.
Ancora incredulo, l’uomo viene ospitato a casa del nuovo padrone della donna, un negromante, e dei suoi due figli, che sono circondati e serviti solo da morti viventi: si intuisce che il destino del protagonista è di fare da pasto per il famiglio del mago, una sorta di demone succhiasangue, in una particolare occasione. Tuttavia i due figli, stufi di essere sottomessi al padre, propongono al protagonista di uccidere il capofamiglia per conto loro: in cambio gli daranno un’imbarcazione e tutti i servitori non morti che desidera per fare ritorno a casa.
Il tentativo di assassinio fallisce, il protagonista viene ucciso ed uno dei due figli fa la stessa fine, prima che il negromante sia definitivamente ucciso dal figlio superstite. Al suo risveglio, il protagonista scopre di essere stato rianimato ed ora, da morto vivente, è felice perché potrà restare con l’amata in eterno. (6,5)
– L’impero dei negromanti (The Empire of the Necromancers, 1932)
Due negromanti della già vista isola di Naat sbarcano sul continente per esercitare la loro professione: scacciati ovunque si fermino, finalmente raggiungono un deserto dove si trovano le rovine di un antico impero. Qui risvegliano i morti, inclusi gli antichi imperatori, dai quali si fanno servire ed intanto si dedicano anche alla loro attività preferita, la necrofilia. Improvvisamente però l’ultimo imperatore della dinastia, pure asservito, prende coscienza di sé e risveglia la mente del primo imperatore: soddisfatta così un’antica profezia, i due non morti trovano assieme la porta segreta che dalle segrete del palazzo porta ai fuochi sotterranei della terra.
Fatto ciò, i due lanciano quindi l’incantesimo della non morte sui negromanti, li fanno a pezzi e guidano tutti i loro ex sudditi alla distruzione nei fuochi sotterranei, mentre le parti smembrate dei due maghi continuano ad infestare il palazzo. (5/6)
– Il signore dei granchi (The Master of the Crabs, 1948)
Per inseguire uno stregone concorrente, un mago raggiunge l’isola dove un pirata aveva nascosto il suo tesoro favoloso: quando arriva però il rivale ha già preso possesso del tesoro, tra cui si trova un anello che non solo comanda le maree ed i venti ma anche i granchi.
Ne segue una lotta in cui il rivale viene fatto a brandelli dai granchi ribelli. (6)
– La morte di Ilalotha (The Death of Ilalotha, 1937)
Ilalotha, compagna della regina ed ex amata dell’attuale amante della regina, è morta.
Si sospetta che fosse una strega e, si sa, le streghe che muoiono con un desiderio insoddisfatto si trasformano in lamie: così riesce ad attirare il suo ex amante nella tomba per succhiargli tutto il sangue.
La regina, che di nascosto aveva seguito l’uomo intuendone il tradimento, fugge alla vista della cosa che Ilalotha è diventata. (5/6)
– Il tessitore della cripta (The Weaver in the Vault, 1934)
I tre soldati più valorosi del regno vengono mandati dal re a recuperare la mummia del fondatore della sua dinastia, sepolta nelle rovine dell’antica capitale, abbandonata secondo alcuni in seguito ad un terremoto, secondo altri a causa di strane ombre che mandavano in putrefazione tutto ciò che toccavano.
I tre scendono nelle cripte e trovano tutti i loculi vuoti: ci sono gli abiti e gli ornamenti ma mancano i corpi e le ossa. Entrati finalmente nella tomba che devono saccheggiare, vengono travolti da un terremoto: le pietre cadute uccidono sul colpo i due guerrieri più anziani mentre il più giovane rimane bloccato da un’enorme pietra che gli schiaccia le gambe e che non riesce a spostare.
Ore più tardi il soldato nota una luce che sale dal crepaccio prodottosi col terremoto: è proiettata da una sorta di sfera volante, che spunta dalla voragine ed assorbe uno dei due cadaveri, poi scompare. Passato del tempo, il globo luminoso torna per assorbire il secondo. Trascorso altro tempo, la sfera riappare e si mette a fluttuare accanto al protagonista, in attesa che si decida a morire. (7)
– La stregoneria di Ulua (The Witchcraft of Ulua, 1934)
Un giovane viene convocato a corte per servire da coppiere al re (è lo stesso re del racconto precedente): lungo la strada si ferma da un noto anacoreta, suo zio, che gli dà un amuleto per proteggerlo da alcuni dei tanti malefici che palpitano nella capitale. Con l’aiuto dell’amuleto, il ragazzo riesce a resistere agli incantesimi di Ulua, figlia del re e della strega sua moglie, finché la giovane non si stufa del gioco e non inizia a mandargli addosso incubi e cadaveri.
Infine il ragazzo, ottenuta una licenza, torna dallo zio, che lo esorcizza e manda un terremoto a distruggere la città ed i suoi abitanti, non prima però di aver rispedito gli incubi alla mittente, che viene pure ingoiata dalla terra quando si apre una voragine sotto il suo letto. (5/6)
– Il dio dei morti (The Charnel God, 1934)
Un giovane vuole recuperare il corpo dell’amata, caduta in uno stato di catalessi mentre la coppia stava pernottando in una città che consacra i morti al suo dio: per legge i cadaveri devono essere portati al tempio, dove si dice vengano divorati dal dio dei morti.
Nessuno ascolta le rimostranze del giovane, che conosce la malattia della donna: il suo corpo viene preso dai sacerdoti (che in realtà sono ghoul mascherati) e condotto al tempio. Quella stessa notte il protagonista si introduce di soppiatto nell’edificio, dove rinviene la moglie, ancora priva di coscienza, su una tavola di pietra, accanto agli altri morti preparati per il pasto divino.
Ma quella notte anche un negromante, accompagnato dai suoi due aiutanti, è intento a profanare il tempio per sottrarre dal macabro banchetto il corpo di una bella nobile: lui stesso ha provocato la morte della ragazza per impadronirsi del corpo e rianimarlo per i suoi scopi. Durante l’incursione però uno degli aiutanti nota il corpo della moglie del protagonista e, credendola uno dei tanti cadaveri serviti in tavola, lo sottrae a sua volta per rianimarlo una volta tornato a casa.
Il giovane marito li segue, osserva i loro rituali e, quando la ragazza si sta riprendendo dalla catalessi, decide di intervenire: solo contro tre, sta per avere la peggio, sennonché in quella irrompono nella stanza il dio dei morti e i suoi sacerdoti ghoul, che uccidono il negromante ed i suoi aiutanti e divorano la nobile rianimata.
E siccome il dio dei morti è un dio giusto, il giovane e la sua amata vengono risparmiati. (6,5)
– L’idolo tenebroso (The Dark Eidolon, 1935)
Racconto carico di atmosfera ma povero di storia e attrattiva: per vendicarsi della violenza subita da bambino, quando il futuro imperatore di una città lo calpestò col suo cavallo per divertimento lasciandolo zoppo, un ex mendico, diventato un potentissimo mago, torna nella città nativa col suo palazzo, che si materializza dal nulla proprio di fronte alla residenza del monarca.
Tutta la storia è in preparazione del banchetto finale, dove il mago provoca la morte di tutti i servitori del monarca, la distruzione della città e quasi la morte della sua favorita: dopo aver scacciato l’anima dal corpo dell’imperatore per imprigionarla in un’enorme statua dell’arcidemone dell’inferno al quale il mago è devoto (e che non avrebbe così in spregio né l’imperatore né il suo popolo, in virtù della nequizie di cui tutti erano protagonisti nella città), lo stregone si impossessa anche del suo corpo.
L’arcidemone permette quindi all’anima dell’imperatore di prendere il controllo della sua statua: questa con un solo colpo distrugge il corpo dell’imperatore, nel quale si trova l’anima del mago, che così è costretta a ritornare nel suo corpo. Ma a questo punto la situazione precipita e gli esseri innominabili di cui il mago si è servito sinora gli si rivoltano contro, distruggendo lui ed il suo palazzo. (4)
– Morthylla (Morthylla, 1953)
Ormai stufo dei costumi sibaritici della sua città, un poeta si dedica alla necrofilia: in un cimitero fuori città crede di aver trovato la lamia delle leggende, di cui si innamora e con cui trascorre ogni notte. Tempo dopo però scopre che la lamia è in realtà una nobile di un’altra vicina città, pure lei stufa della quotidianità. Deluso, si suicida. (5)
– L’abate nero di Puthuum (The Black Abbot of Puthuum, 1936)
Due veterani ed un eunuco sono incaricati dal re di trovare, comprare e portagli una ragazza che si dice essere bellissima: così fanno ma al ritorno vengono come rapiti dai demoni e costretti a passare la notte in un monastero equivoco, ospiti di un abate poco rassicurante.
Si tratta infatti di un demone, che vuole divorare gli uomini e tenere per sé la ragazza: l’eunuco muore ma con l’aiuto di un amuleto dato ad uno dei due guerrieri dallo spirito dell’antico abate, padre suo malgrado del demone e perciò caduto in disgrazia presso la dea un millennio prima, uccidono il demone.
Ma siccome sono entrambi innamorati della ragazza, decidono di non tornare dal re ma di tenerla per sé, tirandola a sorte: vince l’arciere (quello che aveva parlato con lo spirito dell’abate) ma la ragazza reclama il proprio diritto a scegliere, e preferisce l’altro, il picchiere. (6)
– Nato nella tomba (The Tomb-Spawn, 1934)
Due fratelli mercanti odono la storia di un mago che aveva preso con sé una creatura di un altro mondo, che teneva nelle cripte sotto il suo palazzo; quando morì, il mago si fece seppellire assieme ad essa, dopo aver lanciato un incantesimo sulla cripta, una sorta di schermo che avrebbe dissolto qualsiasi corpo avesse oltrepassato la porta.
Durante il viaggio i due fratelli vengono attaccati assieme al resto della carovana da umanoidi cannibali: nel fuggire si imbattono nelle rovine di una città, entrano in un palazzo (che poi è quello della storia) e, assetati come sono, dal rumore che sale da una frattura nel pavimento della sala del trono credono di aver trovato l’acqua che stanno cercando.
Scendono dal soffitto, vedono la creatura mostruosa che è confinata nella cripta e fuggono: ma nella fuga sfiorano lo schermo e si disintegrano; nell’inseguirli, anche la creatura tocca il velo magico e subisce la stessa sorte. (6)
– L’ultimo geroglifico (The Last Hieroglyph, 1935)
Altro racconto solo di atmosfera con poca sostanza: un indovino viene obbligato da un dio a seguire i suoi emissari. Giunto infine al cospetto del dio, questi tramuta lui ed i suoi accompagnatori (il cane ed il servitore) in geroglifici che colloca nella pagina del libro del destino che è dedicata a loro. (4)
– L’isola dei torturatori (The Isle of the Torturers, 1933)
Il re di una città si salva da una morte improvvisa che colpisce tutto il suo popolo grazie ad un anello datogli dal suo mago: non lo avrebbe più dovuto togliere però, perché sfilandolo dal dito avrebbe risvegliato la malattia, che sarebbe tornata ad uccidere.
Con i tre schiavi sopravvissuti all’epidemia, il re prende il mare ma una tempesta lo fa naufragare sull’isola dei torturatori, dove viene seviziato per tre giorni: alla fine, distrutto anche nel morale per il sottile supplizio psicologico inflittogli da una ragazza che credeva amica, decide di farla finita e, fingendo eccessivo attaccamento per l’anello, riesce a provocare la morte propria e di tutti i torturatori quando l’anello gli viene strappato dal dito. (6)
– Il giardino di Adompha (The Garden of Adompha, 1938)
Le piante di questo giardino, accessibile solo al re eponimo ed al suo negromante, sono incroci vegetali ed umani: qui, stufo dello strapotere del mago, il re uccide il suo avversario e lo seppellisce. Quando, tempo dopo, il re ritorna nel giardino, i resti del mago hanno ormai preso il controllo delle piante, che fanno a pezzi il monarca. (5)
– Il viaggio di re Euvoran (The Voyage of King Euvoran, 1933)
Il re eponimo viene derubato della corona, splendida, impreziosita da quello che si crede essere il corpo dell’ultimo esemplare del gazolba, un uccello: un negromante, per dispetto, ha infatti rianimato l’animale, che ha così preso il volo assieme al resto della corona.
Afflitto dalla perdita, il re parte con quindici navi per recuperare la corona e dopo aver passato avventure di ogni tipo – dai vampiri agli uccelli che trattano gli umani come noi gli uccelli – fa naufragio su un’isola all’estremo confine del mondo sulla quale vivono i gazolba, a migliaia. Qui trova un altro naufrago, che vive in eremitaggio sull’isola da quando anche la sua nave è affondata, nove anni prima: costretto a passare qui il resto della sua vita, col tempo il re recupera non solo un copricapo ma anche un intero vestito di piume di gazolba. (5)
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