Quasi due anni fa ho parlato degli Hoka, gli orsetti spaziali ai quali Anderson e Dickson hanno dedicato un buon numero di racconti a partire dai primi anni Cinquanta: la loro ingenuità mescolata ad una fervida immaginazione li rende senza dubbio gli extraterrestri più simpatici e divertenti di tutta la fantascienza. Ma c’è almeno un’altra razza aliena altrettanto graziosa che fa loro concorrenza per il primato per l’amabilità: i Fuzzies o Tuttopelo di Henry Beam Piper, protagonisti del bel romanzo «Il piccolo popolo» (Little Fuzzy, 1962) e dei suoi numerosi seguiti, per lo più spuri, scritti dopo il suicidio dell’autore avvenuto due anni più tardi. Anche qui si tratta di palle di pelo umanoidi assai intelligenti e affettuose anche se molto meno eccitabili degli Hoka.
Creo, quindi sono
Pubblicato nel 1962, «Il piccolo popolo» conta due seguiti ufficiali, entrambi trascurabili (l’uno uscito l’anno stesso della morte dell’autore, l’altro a grande distanza nel 1984 e spacciato come il classico «capolavoro ritrovato»), e diversi «tie in» scritti da autori differenti anche affermati, come John Scalzi: in Italia è uscito lo stesso anno dell’edizione americana e, tolta una ristampa negli anni Settanta, da allora non è più stato ripubblicato.
Il nucleo della storia ruota attorno al riconoscimento legale dei Tuttopelo – razza indigena di un pianeta da poco colonizzato dalla terra – come esseri dotati di raziocinio, i primi mai incontrati dall’uomo nei seicento e più anni dell’Era Atomica e della conseguente espansione nello spazio: l’autore dedica quindi ampie parentesi all’esame e alla definizione di ciò che rende intelligente e razionale una creatura per determinare se i Tuttopelo, che sembrano possedere tutti i requisiti, lo siano davvero, con la conclusione che tutti si possono aspettare.
Per chi se lo stesse domandando, alla fine la discriminante impiegata nella storia è la capacità di creare. Un essere senziente infatti è la combinazione di tre fattori: sa collegare un fatto all’altro mettendoli in un determinato ordine per giungere ad una conclusione; sa tradurre le impressioni in idee e poi fare idee di idee; e non si limita all’esperienza sensibile ma utilizza simboli per astrarre. Messi insieme, questi tre elementi lo rendono anche capace di immaginare e quindi di concepire qualcosa che non esiste nella realtà ma che può diventarlo per suo tramite: in pratica quindi, ciò che rende raziocinanti è la capacità di creare.
Zaratustra e la Compagnia
Ambientata nell’anno 654 dell’Era Atomica (che dai pochi indizi forniti dovrebbe essere cominciata a cavallo del nostro Duemila), la storia si svolge nell’arco di alcuni mesi sul pianeta Zaratustra, scoperto e colonizzato dalla Federazione Terrestre un quarto di secolo prima. Pur popolato da numerose specie animali, il pianeta è considerato disabitato, privo cioè di creature indigene intelligenti, e per questo ha ricevuto una classifica di terza categoria: questo prevede che l’amministrazione del pianeta sia affidata ad una compagnia privata – nel nostro caso la Compagnia Privilegiata Zaratustra – mediante una concessione di terza classe, che permette lo sfruttamento di tutte le risorse planetarie. La licenza tuttavia decade qualora venisse scoperta una specie indigena intelligente, che porterebbe a riclassificare Zaratustra elevandolo alla quarta classe, che invece prevede un governo coloniale sotto il diretto controllo della Federazione: per questa ragione la Compagnia farà di tutto per evitare che i Tuttopelo vengano riconosciuti intelligenti.
La popolazione terrestre conta un milione di abitanti sparsi sui quattro continenti, chiamati con le prime lettere dell’alfabeto greco, ancora in gran parte inesplorati: la capitale, Mallorysport, si aggira sui settantamila abitanti. Qui sono concentrati anche i centri di potere, come la sede della Compagnia, il tribunale e gli altri edifici governativi: su Serse, una delle due lune (l’altra è Dario, sempre per restare in tema antica Persia), si trova invece una base della Marina spaziale, che diventerà importante per gli eventi narrati.
Anche se la storia mette in evidenza l’immoralità intrinseca della Compagnia e dei suoi dirigenti, privi di scrupoli quando sono minacciati gli interessi dell’azienda e quindi il loro tornaconto personale, il giudizio che dà delle grandi imprese dal potere pressoché illimitato non è ancora così negativo o pessimistico come quello che si può trovare ad esempio nei «Mercanti dello spazio» di Pohl e Kornbluth di cui ho già scritto, che invece le dipingono malvagie, perverse e corrotte fino al midollo.
Certo, la Compagnia specula sulla concessione ed è disposta a tutto pur di non perderla ma, a parte negare l’intelligenza dei Tuttopelo anche di fronte all’evidenza, ricorrere a pratiche spregevoli come fornire false notizie di false aggressioni per promuovere la caccia ai Tuttopelo, ed usare la propria influenza sui magistrati per ottenere il sequestro e la custodia dei Tuttopelo, non si spinge ancora alle azioni più turpi come il linciaggio o l’assassinio dei rivali: anzi, l’unico caso di omicidio (perché tale diventa dopo il riconoscimento legale) di un Tuttopelo è dovuto ad una reazione estemporanea di un dirigente, che uccide l’affettuosa Ricciolidoro prendendola a calci per la rabbia.
E proprio per dimostrare che le grandi aziende possono essere spregiudicate ed i loro dirigenti disonesti, certo, ma non sono dei mostri ed anzi possono essere persino redenti, nel seguito («Fuzzy Sapiens», 1964) Victor Grego, il direttore della Compagnia, potrà addirittura riabilitarsi proprio grazie all’affetto di un Tuttopelo, che agisce su di lui come una pet therapy. Ciononostante ho deciso di includere comunque l’etichetta «cyberpunk» in questa recensione perché sottotraccia affiora una certa ostilità di fondo alle grandi aziende e alla cattiva influenza che esercitano.
Il giudizio negativo ma non del tutto sfavorevole della Compagnia – che qui non solo rappresenta il governo ma si sostituisce persino ad esso – è inoltre indicativo delle idee libertariane di Piper ed in particolare di quel «minarchismo» caro a buona parte degli autori di fantascienza degli anni Cinquanta e Sessanta, che vedevano la conquista dello spazio proprio come un mezzo per sfuggire finalmente l’oppressione dei governi centrali e affermare una volta per tutte la libertà dell’individuo: tutta la storia del «Piccolo popolo» è infatti ispirata ai principi basilari del libertarianesimo, come la libertà sacrosanta, il diritto all’autodeterminazione, la presenza e interferenza minima dello stato (di cui lo strapotere dell’impresa privata è purtroppo il contrappeso) ed il principio di non aggressione.
La violenza infatti non viene mai presa in considerazione dai protagonisti del libro, nemmeno quando la situazione sembra ormai essere degenerata e la Compagnia pare essersi spinta troppo in là: quando vi ricorrono invece è solo per autodifesa o per proteggere i diritti inalienabili come la vita, ed è sempre qualcosa di molto personale.
I protagonisti, ma solo i principali
La storia ha un unico difetto: introduce troppi personaggi per un libro di sole centocinquanta pagine, col risultato che è difficile tenerli tutti a mente, in particolare quelli minori. Pur riducendo il cast ai personaggi principali, il loro numero rimane impressionante.
Il primo e più importante è il già citato Jack Holloway, cercatore settantenne delle preziosissime pietre del sole, che vive isolato in un prefabbricato nel continente Beta. Holloway è il primo a entrare in contatto con i Tuttopelo e diventa così non solo il massimo esperto in materia ma anche il loro protettore: un’intera famiglia di umanoidi, ben otto, si installa infatti a casa sua, che rimane così il centro degli eventi fino a quando la storia non si sposta a Mallorysport per il processo.
Non meno importanti sono anche Bennett Rainsford, naturalista di un certo prestigio in campo accademico persino sulla terra, che è il primo al quale Holloway mostra la sua scoperta: pian piano però diventa sempre meno rilevante nella trama anche se nell’epilogo si dice che è stato scelto come governatore planetario; Ruth Ortheris, psicologa della Compagnia (e, si scoprirà solo alla fine, tenente della riserva del servizio segreto della Marina), e Gerd Van Riebeek, xenonaturalista della Compagnia, che non esiterà ad abbandonare il suo datore di lavoro per mettersi con Holloway a difesa dei Tuttopelo. La Ortheris in particolare svolge un ruolo chiave quando, all’insaputa di tutti, lettore incluso, mette al sicuro i Tuttopelo di Holloway appena fuggiti dalle gabbie in cui erano stati rinchiusi e li porta in gran segreto alla base della Marina su Serse, dove vengono studiati per un mese intero da scienziati qualificati.
Sempre per il «Team Fuzzies» va menzionato anche l’avvocato Gus Brannhard, che entra in scena verso metà libro ma da quel momento in poi ricopre un ruolo di primissimo piano, al punto che rischia di mettere in ombra lo stesso Holloway.
Gli antagonisti sono i dirigenti della Compagnia e gli uomini che controllano, a cominciare da Victor Grego, direttore della Compagnia da quindici anni e artefice di una crescita sia nei ricavi dell’azienda sia nella qualità di vita generale della popolazione: il vero cattivo però è Leonard Kellog, direttore della Divisione studi e ricerche scientifiche, non tanto perché non vuole credere all’intelligenza dei Tuttopelo persino quando ha le prove davanti agli occhi bensì perché in un momento di rabbia uccide a calci una di loro, colpevole di averlo tirato per una gamba dei calzoni per mostrargli tutta orgogliosa il ciondolo che la Ortheris le aveva appena regalato. Poco convinto lui stesso delle sue conclusioni, si suicida in cella quando il tribunale riconosce intelligenti i Tuttopelo. Un terzo dipendente della Compagnia, Juan Jimenez, esperto in mammiferi, pare avere un ruolo rilevante nella storia ma ad un certo punto preferirà la fedeltà alla Compagnia e la sicurezza del posto fisso alla difesa degli ideali di cui pareva essersi fatto portatore.
Tra i loro alleati ci sono poi gli uomini che la Compagnia controlla, come Nick Emmert, rappresentante del governo terrestre su Zaratustra, e Ham O’Brien, procuratore generale per le colonie e pubblico ministero, che abusa della sua posizione e crea le basi per il disastro di immagine che porterà la quasi totalità della popolazione a simpatizzare per i Tuttopelo: ne dispone infatti il sequestro, che però si risolve con un’inspiegabile evasione da parte dei nostri piccoli eroi.
Da ultimo, vanno citati alcuni personaggi che dovrebbero essere neutrali ma simpatizzano apertamente per i Tuttopelo, come il presidente del tribunale Frederic Pendarvis, che assumerà il ruolo di giudice nel processo, ed il tenente Pancho Ybarra, psicologo della Marina, che fornirà il verdetto della giuria di esperti chiamati a decidere se i Tuttopelo siano intelligenti.
I Tuttopelo
Arriviamo così ai veri protagonisti della storia, i graziosissimi Tuttopelo, umanoidi alti sul mezzo metro e del peso di una decina di chili: hanno una testa rotonda con un’espressione vagamente umana e sono interamente ricoperti di una pelliccia soffice e serica, di colore dorato. Non assomigliano tuttavia né ai primati né ad altri mammiferi conosciuti.
Razza indigena del pianeta Zaratustra, mostrano segni di intelligenza pari a quella di un bambino molto curioso di dieci anni: vivono in piccoli gruppi familiari e in maniera semplice, senza aver sviluppato tecnologie particolari oltre agli strumenti necessari per realizzare una specie di alabarda multifunzione che usano per tutto, soprattutto per cacciare e sgusciare gli innocui ma fastidiosissimi crostacei di terra che infestano Beta, il continente su cui vivono. Parlano anche un loro linguaggio ma la frequenza è troppo alta per l’orecchio umano e così i suoni non sono udibili, a parte alcuni «yeek»: solo alla fine verrà rivelata l’esistenza del loro linguaggio ad ultrasuoni, che fino a quel momento nessuno aveva sospettato.
Nel libro ne compaiono una ventina, di cui otto principali: quelli della famiglia che viene adottata da Jack Holloway, il protagonista. Sono Tuttopelo Primo (Little Fuzzy in inglese, da qui il titolo originale), Mamma Tuttopelo, Baby, Mitzi, Mike, Ko-Ko (chiamato così per il modo cerimonioso con cui uccide i crostacei), Ricciolidoro e Cenerentola, invitate successivamente ad unirsi alla famiglia: non conosciamo i loro nomi reali ma vengono riferiti solo quelli assegnati loro da Holloway, che li ospita in casa sua.
Affettuosissimi e affezionatissimi al loro «Pa-pee Jaak», i Tuttopelo amano arrampicarsi sugli umani, giocare con loro e copiare le cose che vedono fare, ma senza l’esuberanza dei già citati Hoka (che invece li porta ad immedesimarsi nei personaggi che hanno deciso di impersonare in quel momento): amano anche il sapore della terribile «Extee Three», la razione d’emergenza di tipo tre, e rimangono assorti davanti alla televisione.
Un ospite inatteso
Siamo all’inizio dell’estate sul pianeta Zaratustra, colonizzato da appena un quarto di secolo: è la più calda e secca registrata sinora, probabilmente una conseguenza della bonifica di una vastissima zona paludosa sul continente Beta (mezzo milione di miglia quadrate, che dovrebbero corrispondere a centotrenta milioni di ettari: quattro volte e spiccioli l’Italia) decisa dalla Compagnia, che ha il monopolio dello sfruttamento del pianeta. Nemmeno a dirlo, questa bonifica ha cambiato il clima e le precipitazioni dell’intero continente, con la conseguenza che non solo fa più caldo ma si sono anche moltiplicati gli innocui ma fastidiosissimi crostacei di terra, bestiole lunghe una trentina di centimetri che con le loro chele pizzicano gli sbadati e tagliano fili, cavi, tubi.
Jack Holloway, cercatore di pietre preziose, vive isolato in un prefabbricato nei boschi di Beta: è appena rientrato da una fruttuosa giornata di lavoro quando trova la porta di casa aperta, che infatti ricorda di non aver chiuso quella mattina. Sospettando l’intrusione di un crostaceo, esplora l’interno ma, nascosto nella doccia, trova invece un piccolo umanoide di un tipo mai visto prima: una palla di pelo spaventata e inoffensiva. Sboccia subito la reciproca simpatia.
La creatura, che Holloway chiama Tuttopelo, dimostra di apprezzare la compagnia di Holloway ed il cibo che gli viene offerto e dimostra anche una certa intelligenza: ad esempio, svita e avvita il tappo di una bottiglia dopo aver visto come si fa e poi applica lo stesso principio ad un bullone con dado senza aver ricevuto istruzioni al riguardo. L’indomani mattina Holloway trascura il lavoro per stare con il suo nuovo amico: in officina taglia anche un’arma di acciaio simile a quella di legno che Tuttopelo porta con sé e che usa per tutto, soprattutto cacciare, decapitare e sgusciare i crostacei di terra. Da una serie di elementi il protagonista deduce che probabilmente il piccolo indigeno proviene dal nord inesplorato del continente e si è spostato a sud per seguire gli spostamenti delle sue prede preferite.
Dopo alcuni giorni trascorsi assieme però Tuttopelo scompare all’improvviso: Holloway precipita nella costernazione perché si era affezionato al suo nuovo amico. Ma Tuttopelo non l’ha abbandonato: in breve torna infatti con tutta la famiglia, altre cinque creature come lui, tra cui un piccolo, che si stabiliscono a casa di Holloway. Felicissimo, il minatore contatta quindi Bennett Rainsford, un naturalista di una certa fama che conosce da precedenti contatti, al quale mostra le creature ed i filmati che ha girato sinora: lo scienziato rimane colpito dall’intelligenza mostrata dalle creature ed inizia a studiarle, coinvolgendo anche altri colleghi.
Una morte che salva tutti
Comincia così una catena di eventi che in pochissimo tempo richiama l’attenzione di tutti sui Tuttopelo: dei naturalisti, interessati ovviamente ad una nuova razza che dà speranza di essere intelligente; della Compagnia, che vuole smontare tutta la faccenda per non perdere la concessione; e di Holloway, deciso a lottare per veder riconosciuti i diritti dei suoi nuovi amici. La famigliola di Tuttopelo intanto si espande con l’aggiunta di due femmine, una delle quali (Ricciolidoro) sarà di importanza capitale per gli eventi successivi: i boschi della zona infatti pullulano di Tuttopelo ma è impossibile catturarne perché hanno un udito finissimo e sentono arrivare le navicelle dei terrestri molto prima che appaiano in cielo, così hanno tempo di fuggire e nascondersi.
Per studiare gli indigeni sono giunti in zona anche gli esperti della Compagnia, che montano il campo vicino al prefabbricato di Holloway: li guida Leonard Kellog, direttore della Divisione scientifica, che non vuole credere all’intelligenza degli indigeni nonostante le prove schiaccianti raccolte. Un giorno durante un’esplorazione trova persino una tomba dei Tuttopelo: giusto un buco nel terreno coperto da una pila di pietre per proteggere il corpo avvolto nell’erba, ma più che sufficiente a dimostrare una certa intelligenza da parte degli autori. Al ritorno è ancora scosso per il ritrovamento ed in conflitto tra ciò che sa essere la verità e ciò che invece vuole credere: così, quando Ricciolidoro, tutta contenta, gli si avvicina per mostrargli un ciondolo appena datole da Ruth Ortheris, una psicologa della Compagnia, e gli tira la gamba dei calzoni per attirare la sua attenzione, Kellog esplode e la prende a calci per la rabbia, uccidendola proprio davanti alla Ortheris. Holloway, che aveva fiutato guai, arriva un attimo troppo tardi: non può fermare Kellog ma lo prende a pugni per fermarlo e poi, allertato dalla stessa Ortheris, estrae la pistola e fredda la guardia del corpo di Kellog, che stava per sparargli.
Così ha inizio la catena di eventi che porterà al riconoscimento dei Tuttopelo come razza raziocinante: Holloway infatti viene accusato di omicidio anche se ha sparato per legittima difesa. E, su denuncia dello stesso Holloway, Kellog viene invece accusato di omicidio volontario: così infatti il tribunale dovrà prima pronunciarsi sull’intelligenza dei Tuttopelo.
E quasi per dare a tutti la dimostrazione della loro intelligenza, la famiglia di Holloway esegue il funerale di Ricciolidoro: raccolgono il suo corpo, lo adagiano sulle loro alabarde, lo avvolgono nell’erba, lo depongono in una tomba con la sua arma e poi lo coprono di pietre, davanti agli occhi di tutti. Qualcuno, come il tenente Lunt della polizia, non può fare a meno di togliersi il cappello in segno di rispetto.
Il riconoscimento ufficiale
A questo punto la Compagnia entra nel panico: per mettere le mani sui Tuttopelo e farli sparire (e salvare così la concessione), tira tutti i fili che può controllare e ottiene dal procuratore il sequestro della famigliola di Holloway, che poi viene affidata alla Compagnia stessa per la custodia. Ma il procuratore non si era consultato prima col presidente del tribunale che, venuto a conoscenza dell’abuso, dispone la liberazione dei Tuttopelo: solo che non si trovano più.
Dopo la cattura ed il trasporto alla capitale Mallorysport, che si trova su un altro continente, Tuttopelo Primo aveva atteso infatti il momento opportuno – essere lasciato solo – per evadere dalla sua gabbietta e poi liberare uno per uno i compagni di prigionia: poi tutti e sei (Baby era stato salvato dal sequestro con un abile inganno di Brennhard, l’avvocato di Holloway) scompaiono per un mese, fino al processo. Così, dal momento che le sue continue ricerche sono infruttuose, Holloway si convince che i suoi amici siano rimasti vittime di qualche incidente in città: in realtà però si trovano su Serse, una delle due lune del pianeta. Imbattutasi infatti nei fuggitivi, la Ortheris, che è anche un tenente del servizio segreto, li ha presi con sé e portati alla base della Marina, col doppio scopo di metterli al sicuro e di poterli studiare.
Si arriva così al processo, durante il quale la Marina restituisce i sei scomparsi ad Holloway: ma soprattutto nel processo viene riconosciuta l’intelligenza dei Tuttopelo, grazie non solo alle prove fornite dallo stesso Holloway e dai suoi sostenitori ma anche delle osservazioni dirette che il personale specializzato della Marina ha potuto svolgere nel mese di custodia, come la scoperta del linguaggio ad ultrasuoni parlato dai piccoli indigeni (la compilazione di un dizionario è già in corso d’opera), udibile dagli umani con speciali cuffie. Con queste e altre prove, la commissione di esperti non può fare altro che affermare ciò che Holloway e i suoi sostenevano sin dall’inizio, giustificandolo nel modo già presentato all’inizio di questa recensione. Holloway viene scagionato, Kellog si suicida in cella.
Nell’epilogo, Zaratustra si prepara a diventare un pianeta di quarta classe, ossia abitato da una specie intelligente (la prima mai incontrata dall’uomo) e governato direttamente dalla Federazione a vantaggio degli indigeni: Rainsford viene scelto come governatore. E intanto i Tuttopelo, che stanno tornando al Posto Incantato (il prefabbricato) con Holloway, sono decisi a ricambiare tutto l’amore dei Grandi.
Un libro breve con una fitta trama
La storia è tipica della fantascienza di un tempo, che puntava prima di tutto a raccontare una bella storia e riempirla di idee, senza preoccuparsi di offendere qualcuno o di non essere abbastanza inclusiva: oggigiorno la sola idea degli indigeni che si affrancano solo grazie alla combattività e agli sforzi dei colonizzatori umani (per lo più uomini, e tutti bianchi!) solo per essere poi governati dagli umani condiscendenti (che li prendono con sé come…animali di compagnia?) porterebbe ad accuse di razzismo (ormai cosa non lo è più?), colonialismo, imperialismo e chissà quali altri isterismi tipici della nostra società che attende solo uno spunto qualsiasi per offendersi e gridare.
La storia però è scorrevole, i Tuttopelo deliziosi, i protagonisti credibili, anche se ce ne sono decisamente troppi: ma questo è semmai un indizio della buona qualità della narrazione, perché i diversi punti di vista e le diverse storie che si intrecciano permettono di costruire una trama complessa, sicuramente più di quanto le centosessanta pagine del libro (centoquaranta nell’edizione italiana) lascerebbero immaginare.
Al di là delle considerazioni legate alla mutata sensibilità del lettore contemporaneo, la stessa storia scritta oggi occuperebbe almeno il triplo delle pagine, per tuffarsi in un’inutile serie di elucubrazioni mentali e soprattutto emotive di cui non c’è traccia nell’originale di Piper: i personaggi pensano un po’ ma soprattutto agiscono, non perdono tempo a torturarsi con le incertezze e le paure.
Come detto in apertura, i Tuttopelo sono tra gli alieni più gradevoli di tutta la fantascienza: intelligenti ed affettuosi, per amabilità sono sullo stesso piano degli Hoka di Poul Anderson e Gordon Dickson con solo un’enorme differenza. Gli Hoka infatti, che pure sono intelligentissimi, sono stati creati per essere comici e fare da punto focale di storie a sfondo umoristico: perciò il loro comportamento è sempre assurdo ed estremo, per fare la caricatura degli umani ai quali in quel momento si ispirano. Hanno infatti un’immaginazione fervida e facilmente eccitabile, così basta il contatto con un’idea nuova ma elettrizzante perché la loro la loro fantasia si accenda e si immedesimino completamente nella nuova ambientazione, assumendo quegli atteggiamenti che giudicano adeguati: per l’invidia degli attori teatrali, entrano nel personaggio e non ne escono più, almeno finché non trovano una nuova idea che li spinga a cambiare ancora.
I Tuttopelo invece sono molto meno eccitabili: ingenui, questo sì, ma anche consapevoli del mondo che li circonda (per una questione di sopravvivenza) e quindi incapaci di lasciarsi andare a fantasie improvvise. D’altronde il loro compito nel libro non è tanto di animare scene comiche quanto piuttosto di fare da pretesto ad una storia che si sviluppa sulla direttrice dell’autodeterminazione e di ciò che rende intelligente una creatura: ciò non toglie che occasionalmente ci siano momenti che fanno sorridere il lettore, come quando si cimentano con le meraviglie del mondo moderno o quando il più piccolo di loro si vede proiettato su un maxischermo e tutto contento saluta il pubblico, un gesto tra l’altro che si vede fare spesso anche negli stadi da gente che si ritiene adulta.
A differenza degli Hoka quindi i Tuttopelo sono più realistici o per lo meno credibili: amano sinceramente gli umani che vogliono loro bene ma sono anche perfettamente indipendenti e capaci di provvedere a se stessi e alle loro famiglie, come dimostrano le loro versatili alabarde e secoli o forse millenni di sopravvivenza sul pianeta. Sono due razze simili ma con grandi differenze l’una dall’altra: eppure entrambe riescono gradevoli, tanto che scegliere quale si preferisca tra le due è praticamente impossibile.
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