Nonostante il tema scherzoso ed il tono leggerissimo, «Le donne del quinto pianeta» di Richard Wilson (The Girls from Planet Five, 1955) è un ottimo libello: e per certi versi è pure più attuale oggi di quanto lo fosse stato sessant’anni fa, visto che all’epoca il tessuto sociale non era ancora stato sconvolto dall’ascesa del femminismo di terza generazione, dal crollo degli archetipi maschili tradizionali e dal caos che sempre accompagna l’assenza di riferimenti solidi. Sullo sfondo della classica guerra dei sessi l’autore colloca infatti un’altrettanto classica guerra dei mondi che solo il Texas, l’unico stato americano rimasto ancorato ai modelli tradizionali, è in grado di fermare: e, già che c’è, nel risolvere la situazione ristabilisce anche il giusto ordine sociale, semplicemente dando il buon esempio.
Sebbene l’argomento sia un campo minato – soprattutto dal punto di vista delle irritabilissime sensibilità moderne – Wilson riesce ad affrontarlo con una delicatezza ed un’abilità straordinarie, complici anche la leggerezza della trama e l’abbondante ironia, equamente distribuita tra i due campi.
Arrivano le amazzoni
Ad un livello superficiale la storia si presenta come una tipica invasione aliena da fantascienza anni Cinquanta: un bel giorno di fine estate (del 1999) un’astronave piomba su un sobborgo di Washington, distruggendolo: l’astronave, «una ciambella con sopra una palla da golf», si limita a restare sospesa sulle macerie per giorni, senza far niente; non risponde neanche ai ripetuti attacchi delle forze armate americane, che comunque risultano inefficaci.
Diversi giorni dopo gli invasori finalmente si mostrano: sono donne statuarie vestite di gonna e corpetto metallici, rappresentanti di un popolo chiamato Lyru, che dicono di provenire da quel quinto pianeta (del settimo sistema, al di fuori della Via Lattea) che dà il titolo al libro. Le Lyru spiegano che il loro popolo è originario della terra, abbandonata dai loro avanzati progenitori in epoca lontanissima in seguito ad una catastrofe: subito accolte come «ambasciatrici di amicizia» dalla presidentessa degli Stati Uniti e dal suo governo tutto rosa, le Lyru sono in realtà donne guerriere che brandiscono spadoni ma non conoscono fulminatori o altre armi da fuoco. Non si vedono mai uomini però, che non partecipano nemmeno alla spedizione: nella loro cultura infatti i maschi sono considerati inferiori ed incapaci, creature da proteggere, proprio come da una dozzina d’anni sono diventati gli uomini della terra.
La stessa astronave che ha distrutto un pezzo di Washington (per un errore di calcolo, si scoprirà) causando un paio di migliaia di morti è in realtà l’avanguardia di una piccola flotta di invasione: ma ad onor del vero le Lyru ignorano le vere ragioni della loro visita, perché sono dominate a loro volta da un’altra razza di umanoidi, le Arpie, che hanno l’aspetto di vecchie rinsecchite e sciatte e non si fanno mai vedere. Le Arpie controllano le amazzoni mentalmente attraverso i loro luogotenenti, delle spirali violette che accompagnano sempre le donne del quinto pianeta, per controllarle.
Ma, sebbene si respiri aria di invasione sin dall’inizio, i piani di conquista verranno svelati solo più avanti.
Il merito della scoperta è del protagonista, il giornalista Dave Hull, un ometto del Maryland da poco trapiantato nel Texas (dov’è rinato rapidamente), e dei texani stessi, che riescono a scoprire le intenzioni delle Arpie, le loro armi più potenti (mostri invulnerabili che in realtà sono «materializzazioni di energia») e a mettere in piedi un piano di resistenza alla «cowboy contro alieni» che ovviamente riesce, con un pizzico di fortuna e molto aiuto esterno: nel finale arriva infatti un altro disco volante, questa volta pilotato interamente da uomini appartenenti alla resistenza dei Lyru, che hanno trovato il modo di neutralizzare le Arpie.
Sventata l’invasione, messe al sicuro le vecchiacce e soprattutto discolpate le Lyru (che agivano per controllo mentale e non per volontà propria), la storia si conclude felicemente col ritorno a casa di molte amazzoni ma non di tutte: alcune infatti si stabiliscono sulla terra.
Così si conclude la parte relativa all’invasione, che è anche la meno interessante del libro: serve solo per dare una cornice all’altro conflitto, ben più rilevante, tra le donne terrestri ora dominanti e gli uomini ormai subordinati.
Il Paese delle Megere
Il mondo alla vigilia del ventunesimo secolo è dunque un mondo alla rovescia: a partire dal 1988, quando «grazie all’incompetenza dei partiti maggiori» è stata eletta la prima presidentessa degli Stati Uniti, giunta al suo terzo mandato (incostituzionale), tutti i ruoli di comando e governo tanto in America (Texas escluso) quanto nel resto del mondo sono stati occupati via via dalle donne, perché «gli uomini si erano stancati delle responsabilità».
Così oggi (l’oggi della storia) le donne non solo hanno il controllo quasi totale dei posti che contano – solo il Texas resiste e chiama ironicamente gli altri quarantanove stati «il Paese delle Megere» («Biddyland» nell’originale) – ma si sono anche dimostrate ottime amministratrici: da una decina di anni infatti regna la pace praticamente ovunque ed il mondo prospera grazie al «potere dell’amore».
Tuttavia quando appare il primo disco volante, avanguardia di una flotta di invasione, il governo rosa degli Stati Uniti entra nel panico: una voce concitata (di donna) ne ha appena annunciata l’apparizione quando la sottosegretaria alla difesa, nel suo ufficio al Pentagono, scoppia in lacrime per l’agitazione e si rifugia in bagno; e la stessa presidentessa, dopo giorni di tentennamenti, accoglie le visitatrici con tutti gli onori, rassicurata dalle loro rassicurazioni di pace e buona volontà.
Così ha inizio l’invasione – del tutto incruenta, favorita dall’inazione del Paese delle Megere – degli Stati Uniti e, per esteso, del pianeta.
Il Texas, «un paese di uomini»
Solo il Texas, «dove finisce il mondo civilizzato», si mantiene saldo nei suoi costumi da Far West: per distinguersi dai «bellimbusti» (o «pantywaist», sempre nell’originale), i texani continuano a vestirsi da cowboy, usano i cavalli invece delle automobili e devono superare esami sull’uso delle armi da fuoco e del lazo prima di essere riconosciuti come cittadini. In altre parole il Texas, che nella loro condiscendenza le Megere considerano la stanza dei bambini, «sempre in disordine», è diventato il rifugio per gli uomini che rifiutano di rammollirsi.
Così, quando la direzione del «Citizen Tribune» offre la promozione a caporedattore non a Dave – che se l’aspettava – ma alla sua fidanzata, Emily Watson, il protagonista sbotta e molla tutto, anche Emily. A questo punto l’autore non perde l’occasione per fare un po’ di ironia e subito cita Davy Crockett, dividendo la sua famosa frase tra la risposta piccata di Emily ed una nota impersonale del narratore: «“Te ne puoi andare all’inferno, Dave Hull”. Dave andò nel Texas».
Ma mentre Crockett trovò la morte ad Alamo, Hull troverà un posto di lavoro al «Texan».
Il Texas è così virile che può permettersi persino di avere un corpo paramilitare composto di poche centinaia di abilissimi cowboy agli ordini di un certo Sam Buckskin: «Sam» perché si dice sia un discendente di Sam Houston, «Buckskin» perché veste sempre abiti di pelle di daino con le frange come un trapper. Questi cowboy sono alloggiati al Ranch Nascosto (una cosa che mi piace della vecchia fantascienza è il coraggio degli autori di usare nomi che oggi eviteremmo come la peste perché rischiano di suonare ridicoli) e, capaci di spegnere una sigaretta col laccio a dieci metri di distanza o di infilzare una freccia sull’altra, formano l’élite non solo del Texas ma anche degli interi Stati Uniti quando si tratta di azione.
Il resto della trama, in buona sintesi
Esaurite le presentazioni, la storia deve proseguire sulle proprie gambe. Avviene così l’evento decisivo: una delle navicelle due posti usate dalle Lyru si schianta in Texas, a due passi dal punto in cui Hull sta facendo una passeggiata a cavallo. Il nostro si precipita sul luogo e trova una Lyru ferita, l’altra morta e la spirale che le accompagnava distrutta: contatta Buckskin tramite la radio da sella (uno dei tanti gingilli tecnologici da cavallo sviluppati dai texani) e riceve l’ordine di portare la ferita al Ranch Nascosto, dove viene nominato capitano.
Neanche a dirsi, la Lyru, che si chiama Lori, sarà decisiva per sconfiggere le Arpie: aiuterà infatti a capire cosa siano e come funzionino le spirali e guiderà Hull prima dentro e poi fuori da uno dei loro dischi volanti, quello atterrato di nascosto in Texas, al quale era diretta con la sua navicella prima di schiantarsi. A metà libro c’è spazio persino per numerosi capitoli nei quali la ragazza apprende i costumi terrestri (quelli texani, per lo meno) e si azzuffa con Emily, che è sì arrivata nello stato della Stella Solitaria come inviata del suo giornale ma vuole anche riprendersi il suo Dave.
Ad un certo punto però gli eventi precipitano: in diversi luoghi degli Stati Uniti iniziano infatti a comparire dei mostri invulnerabili, ammassi di zampe e tentacoli che si muovono lentamente e contro i quali le armi terrestri sono ancora una volta inefficaci. Solo le Lyru sono in grado di sconfiggerli con un sistema assai particolare: danzano attorno ai mostri e così continuano a distrarli, colpendoli poi con le spade nei punti scoperti. Ma non permettono a nessuno di avvicinarsi ai corpi, che di notte vengono come consumati da strane fiamme azzurrognole che sembrano prodotte dalla loro meditazione. Solo molto più avanti si scoprirà quello che il lettore già sospettava: non solo questi mostri sono arrivati con gli invasori ma non sono nemmeno reali bensì «materializzazioni di energia» che vengono manipolate dalle Arpie e servono per spaventare i terrestri.
Ma nonostante l’invasione attentamente pianificata, le Arpie commettono troppi errori: ed uno si rivelerà fatale. Infatti, moltiplicando le apparizioni dei mostri e quindi aumentando gli interventi delle Lyru, le Arpie rendono anche sempre più frequenti i contatti tra le amazzoni ed i soldati terrestri, che trovano rapidamente il modo per annullare l’influenza dei controllori sulle guerriere: scoprono infatti che fissando due morsetti alle estremità delle spirali, tendendo le corde cui i morsetti sono legati e poi legando – sempre in trazione – queste ultime agli alberi di fatto disattivano le spirali.
Questa scoperta si rivelerà utilissima anche per Buckskin ed i suoi che, basandosi su questo principio, sviluppano una pistola «stordiscispirali» innocua per gli uomini (e le donne, nel caso delle Lyru), con la quale riescono ad entrare in un’astronave e a prenderne il controllo per qualche minuto: poi però commettono il solito errore (non lasciano sentinelle lungo il percorso, così le spirali superstiti riprendono il possesso delle Lyru e le mandano all’assalto dei nostri), che rischia di mandare all’aria i piani.
Per fortuna però a quel punto arriva un nuovo disco volante Lyru, questa volta con un equipaggio interamente maschile, che risolve la situazione a vantaggio dei terrestri: lo comandano il fidanzato ed il padre di Lori, che lei stessa credeva morto ma che in realtà viveva nell’ombra e guidava il movimento di resistenza maschile contro le Arpie. È infatti il momento delle spiegazioni, nel quale si apprende ancora che le Arpie sono in tutto una ventina ed in lento declino.
Così, vinto definitivamente il controllo mentale sulle Lyru, la quindicina di Arpie che comandavano le cinque astronavi giunte sulla terra vengono facilmente catturate, impacchettate e rispedite a casa per essere processate assieme alle ultime vecchie rimaste sul quinto pianeta.
Nella conclusione, ambientata la notte di capodanno del 2000, si scopre che il mondo sta tornando alla normalità, i vecchi ruoli ristabiliti: Dave ed Emily si sono riconciliati, Buckskin ha trovato una compagna Lyru e, come lei, anche altre amazzoni hanno fraternizzato così bene con i terrestri che hanno deciso di fermarsi sulla terra.
Ed alle presidenziali del prossimo autunno è data per certa la vittoria del candidato texano.
Commenti finali
A prima vista dunque «Le donne del quinto pianeta» sembra un libro poco impegnato: descrive infatti una storia leggerissima di invasione aliena, presenta una trama abbastanza lineare e si conclude con un intervento dall’esterno che non solo risolve la situazione contingente ma addirittura rimette tutto a posto e riporta il mondo alla normalità.
Tuttavia ad un livello più profondo la storia parla del rapporto tra uomo e donna e ribadisce che non sono né superiori l’uno all’altra né possono fare a meno l’uno dell’altra ma sono complementari: in altre parole, ciascuno ha il proprio ruolo, dovuto alla diversa natura e ai diversi compiti, e solo lavorando insieme uomo e donna si completano, promuovendo così l’umanità piena.
Nel libro infatti le donne infatti vengono lodate per essere abili amministratrici, capaci di promuovere una società pacifica, proprio perché è l’uomo ad essere più combattivo e quindi necessario quando la situazione richiede azione. Lo spiega molto chiaramente Emily quando, mesi dopo la rottura con Dave, ritrova l’ex fidanzato ed assieme a lui analizza la situazione: il mondo in cui vivono è diventato «una società alla rovescia dove tutte le donne si comportano come uomini e troppi uomini credono di dovere comportarsi come donne. Il sistema funzionava, in un certo senso, ma si continuavano a creare sempre nuove tensioni e la prima crisi l’ha paralizzato. (…) Le donne non volevano agire veramente. Una cosa è portare avanti una casa, ed è quello che era il paese prima dell’arrivo delle Lyru: un’enorme casa ben organizzata. Tranne che per la stanza dei bambini, il Texas, che era sempre in disordine. Ma non era nulla di serio; niente che una donna non potesse gestire».
Poi però sono arrivate le Lyru, che «hanno fatto irruzione come dei ladri. Non importa quanto una donna sia brava a gestire una casa, ha comunque paura dei ladri. È allora che ha bisogno di avere in casa un marito, per inseguire il ladro con una mazza da baseball. Ma lui non c’è e allora il suo istinto è di rimanere nascosta sotto le coperte a tremare, aspettando che i ladri se ne vadano». Solo che in occasione dell’invasione delle Lyru «il ladro ha deciso di salire al piano di sopra ed ora è a metà strada e il Paese delle Megere ancora non ha fatto niente».
Letto col giusto distacco, quindi senza farsi prendere da crisi isteriche perché non si è d’accordo con qualche frammento di trama, «Le donne del quinto pianeta» non è solo un libro divertente da leggersi in un pomeriggio di pioggia ma anche uno spunto per liberarsi da un certo femminismo revanscista ormai fuori controllo in favore di un rapporto sereno tra uomo e donna, nel reciproco riconoscimento delle diverse nature.