Se mai un giorno si farà una classifica degli alieni più divertenti della fantascienza, gli Hoka del pianeta Toka avranno buone probabilità di piazzarsi al primo posto: simili ad orsetti alti un metro, intelligentissimi e di indole buona, hanno infatti la caratteristica di non saper distinguere la realtà dalla finzione e così non solo prendono alla lettera tutte le opere di fantasia in cui si imbattono ma si identificano pure totalmente con quei personaggi e in quelle situazioni. Alcune delle loro storie sono state pubblicate anche in Italia in varie antologie, in particolare «Hoka Sapiens» («Earthman’s Burden», 1957), l’unica raccolta italiana dedicata interamente agli orsetti ideati da Poul Anderson e Gordon Dickson.
Gli Hoka hanno settant’anni
Ideati dunque da due giganti della fantascienza quando erano ancora agli albori delle loro ammirevoli carriere, i piccoli Hoka debuttano nel maggio 1951 sulla rivista Other Worlds Science Stories con la loro prima storia, «The Sheriff of Canyon Gulch», una delle sei che si trovano anche in Hoka Sapiens: seguono, ben distanziati negli anni, altri racconti, che nel 1955 approdano pure su The Magazine of Fantasy and Science Fiction, una delle due riviste più importanti del Dopoguerra assieme alla defunta Galaxy. Nel 1957 finalmente le cinque storie già pubblicate più un’inedita vengono riunite nella prima antologia dedicata agli Hoka, «Earthman’s Burden» appunto (chiaro riferimento alla poesia «White Man’s Burden» di Kipling), che poi è la stessa raccolta tradotta anche in italiano.
Dopo questo volume gli Hoka finiscono in naftalina, per essere rispolverati quasi trent’anni più tardi con le antologie Hoka! (1983: un inedito e tre storie degli anni Cinquanta rimaste escluse da Earthman’s Burden) e Hoka! Hoka! Hoka! (1998: tre inediti e la ristampa di The Earthman’s Burden); a voler ben vedere, negli anni Settanta un Hoka era apparso in un altro romanzo del duo, «Star Prince Charlie» (1975), ma il protagonista umano non era il solito Alex Jones e la trama non era centrata sui disastri creati dagli impetuosi orsetti alieni. Le ultime apparizioni degli Hoka risalgono a vent’anni fa, con le antologie «Hokas Pokas!» (2000) e «The Sound and the Furry» (2001) ma sono ristampe di vecchio materiale.
Ritratto degli Hoka
Simili ad orsetti alti un metro, gli Hoka sono una delle due forme di vita intelligenti del pianeta Toka: l’altra, i rettiloidi slissii, appare quel tanto che basta per creare un antagonista nel primo racconto, «Lo sceriffo di Canyon Gulch», e poi scomparire.
Razza eccitabile, socievole, allegra, rapida nell’apprendere e di inefficienza insanabile, gli Hoka sono intelligentissimi: dopo l’arrivo dei terrestri – trent’anni prima del primo racconto – hanno adottato l’inglese come lingua ufficiale e da allora considerano gli umani quasi dei semidei, «ma come la maggior parte dei primitivi – scrivono Anderson e Dickson – anche gli Hoka avevano dimostrato una particolare tendenza a prendersi delle confidenze con le loro divinità».
Ciò che rende così divertenti gli Hoka (ed un vero flagello per chi, come il protagonista umano Alex Jones, deve gestirli) è proprio la loro fantasia elastica: non conoscono la differenza tra realtà e metafora e così non appena si imbattono in qualcosa di nuovo che accende la loro fervida immaginazione si identificano totalmente con eroi e situazioni fantastiche, che scambiano per una cronaca della realtà quotidiana. «Sono bambini umani, con in più le capacità fisiche e intellettuali degli umani adulti», spiega lo stesso Jones ad un agente di polizia in «Hoka Holmes». E siccome sono eccitabilissimi, basta davvero un niente perché si infervorino per un nuovo concetto e lo facciano proprio, completamente: «Quando uno Hoka si mette a imitare qualcosa, non conosce vie di mezzo», rincara il protagonista nella stessa storia. E così si lanciano sempre in nuove mascherate: un cervello Hoka non ha posto per due pensieri alla volta.
Proprio la loro natura ingenua, fanciullesca, rende così divertenti loro e le loro storie: agli Hoka basta leggere le avventure di Sherlock Holmes, vedere un film western o sentir parlare dei pirati per voler subito ricreare quelle ambientazioni e diventare quei personaggi, visti attraverso il filtro dell’innocenza Hoka e riletti secondo la mentalità ancora più ingenua di ciascuno. Questo offre anche il pretesto agli autori per fare ironia su alcuni stereotipi della nostra cultura, come ad esempio lo sceriffo («sono stati proprio gli umani a insegnarci che lo sceriffo è il più scemo della città»), il biscazziere (che è «quello che fa il bello e il cattivo tempo in una città»), lo scienziato folle («ogni unità della Pattuglia ha il suo scienziato matto, signore, come ben sapete») o ancora l’inettitudine dell’ispettore Lestrade nelle avventure di Sherlock Holmes (che sfoggia il titolo di «primo incapace»). L’umorismo infatti in questi racconti non manca mai ed anzi è sempre pronto a graffiare con una battuta pungente che non ti aspetti.
Che poi Anderson e Dickson abbiano sempre avuto un debole per gli Hoka (e come non averlo?) è evidente perché hanno dato loro il tratto comune di tutti i loro eroi: sono individualisti, quasi protolibertariani nella loro diffidenza innata verso il potere e la violenza. Scrivono infatti che «uno Hoka combatteva coraggiosamente quando veniva attaccato, ma se appena il pericolo non era immediato e visibile, scacciava dalla sua spensierata mente ogni preoccupazione riguardante il nemico. Agli Hoka non era mai venuto in mente di organizzarsi in bande per scatenare un’offensiva in massa contro il nemico comune, gli slissii; una simile razza di individualisti, del resto, non avrebbe mai potuto costituire un esercito». In sostanza lo stesso concetto che ispira un’altra opera di Dickson, «Spacial Delivery» (1961), dove i protagonisti sono sempre ursinoidi ma questa volta così ottusamente fissati sull’applicazione letterale delle leggi che scovano ogni modo per applicarne solo lo spirito.
Cenni di storia e geografia tokana
Toka, il pianeta natale degli Hoka, si trova a cinquecento anni luce dalla terra, di cui è il gemello: a parte le tre lune che lo accompagnano, ha infatti una rotazione di circa ventiquattro ore, inclinazione e gravità simili, un ambiente naturale identico a quello terrestre. All’arrivo della prima spedizione terrestre, avvenuta trent’anni prima del racconto d’apertura, gli Hoka erano sostanzialmente pastori, e ricavavano il loro sostentamento dalle praterie che nessuno aveva mai pensato di arare; andavano sempre a piedi ed i loro utensili erano di bronzo o pietra: solo le città costiere, leggermente più progredite, potevano vantare una tecnologia paragonabile a quella dell’età del bronzo.
Poi sono arrivati i primi terrestri, accolti come semidei tra l’entusiasmo e l’ammirazione di tutti: questo primo contatto ha aperto la via del progresso agli Hoka che, imparato l’inglese in pochissimi giorni, sono andati in visibilio dopo aver visto il loro primo film, un western. Considerati i benefici che sarebbero venuti dal nuovo contesto sociale, la spedizione ha subito fornito agli orsetti alieni le prime armi da cowboy (revolver, fucili e derringer) ed insegnato loro i rudimenti della metallurgia e della tecnica perché fossero in grado di farsi da soli torni, mulini e polvere da sparo, oltre a cenni sull’addomesticamento degli animali selvaggi. Il risultato sono stati trent’anni di idillio western, quello in cui capita Jones quando precipita sul pianeta.
Col tempo le tribù Hoka, sempre incapaci di ideare una società propria ma pronte a copiare nuovi stimoli, vengono unificate inconsapevolmente – alla fine gli orsetti non si interessano tanto di politica quanto di vivere le loro fantasie – e amministrate dalla Lega Interesseri, rappresentata dal plenipotenziario Alex Jones, che prende sede a Mixumaxu, una città costiera appartenente a quella che fu la Confederazione delle Cinque Città e Mezza.
Una nota di avvertimento
Nel leggere questi racconti, in particolare quelli d’esordio, si fa davvero fatica a credere che gli Hoka siano nati negli anni Cinquanta, un’epoca in cui la fantascienza aveva tutto un altro tono, molto più tecnico e serioso: lo stile delle loro storie infatti è piuttosto moderno, in anticipo sui tempi di almeno un decennio, per la leggerezza dei temi e del modo in cui li affrontano, per la presenza di alieni non solo buoni ma in sostanza innocui e per l’ironia sparsa qua e là. Sono racconti spensierati, laddove la fantascienza di quegli anni tendeva invece ad essere cupa.
Ma, per quanto divertenti, un’avvertenza è comunque necessaria: gli Hoka vanno presi a piccole dosi, un racconto ogni tanto, perché tendono ad essere ripetitivi e le loro trame, volutamente semplici e lineari, a seguire sempre lo stesso canovaccio, con leggere variazioni. Presi così, un racconto ogni tanto, offrono un piacevole diversivo; ma letti in serie…rischiano di perdere attrattiva sin troppo presto.
– Lo sceriffo di Canyon Gulch (The Sheriff of Canyon Gulch, 1951)
Primo racconto della serie, che segna anche il primo incontro del protagonista umano, Alexander Braithwaite Jones, con gli Hoka.
Jones è appena precipitato sul pianeta, già scoperto e poi dimenticato trent’anni prima da un’altra spedizione terrestre, e si prepara a raggiungere a piedi l’astronave madre, che si trova dall’altra parte del continente, distante alcune migliaia di chilometri. Presto però si imbatte in un gruppetto di Hoka, che si vestono e atteggiano a cowboy: ne impersonano tutti gli stereotipi, come li hanno capiti loro, quindi travisando il genere in maniera comica. Così lo sceriffo è lo scemo del villaggio, il biscazziere il capo, e ci sono almeno una ventina di Cavalieri Solitari che agiscono in gruppo; inoltre cavalcano delle specie di dinosauri di aspetto spaventoso che chiamano cavalli ed allevano grandi mandrie di altri animali mostruosi, che chiamano bisonti.
Tutto grida Far West, a parte il fatto che nulla assomiglia al Far West che conosciamo.
La ragione di questo scempio sta nella mentalità degli Hoka, che non conoscono la finzione ma prendono tutto come se fosse la realtà: siccome adorano gli umani e vogliono essere come loro, credono che l’autentico stile di vita terrestre sia quello dei western, che hanno ereditato dalla prima spedizione (il comandante era appassionato del genere e alla partenza aveva lasciato loro tutto il materiale che aveva portato con sé: film, libri e riviste).
Il pianeta stesso – o almeno quella parte del pianeta in cui è ambientata la storia – ricorda le praterie del Nord America e così per gli Hoka non è stato difficile identificarsi con i cowboy: presto la fervida immaginazione degli orsetti ha anche trasformato in indiani i loro nemici di sempre, i rettiloidi slissii. E all’arrivo di Jones gli indiani/slissii stanno proprio minacciando di annientare la civiltà western degli Hoka, qui rappresentata dalla cittadina di Canyon Gulch (con tanto di cartello: «Popolazione: abitanti 212; giorni festivi: abitanti mille»). Gli slissii, più organizzati, forti e bellicosi degli Hoka, stanno marciando sul villaggio e rischiano di prendere il sopravvento sull’intero pianeta: tra l’altro, è nell’interesse della Lega Interesseri – la terra, in sostanza – che siano gli Hoka a diventare la razza dominante su Toka perché sono più amichevoli e trattabili dei feroci rettiloidi, più grandi e grossi anche degli stessi umani.
Condotto a Canyon Gulch nell’ammirazione di tutti, Jones presto delude ogni aspettativa: è infatti incapace di reggere la potente bevanda alcolica locale che gli orsetti mandano giù tutta d’un fiato, non riesce ad usare il lazo né a sparare con le pistole a proiettile (è abituato al laser) e non ne combina una giusta, tanto che in poche ore si guadagna la stella dello sceriffo, riservata allo scemo del villaggio.
Ciononostante, suo malgrado salva la giornata: pur ubriaco ed incapace di condurre i «cavalli» indigeni, vuole aiutare a portare al sicuro una grossa mandria di «bisonti» ma riesce solo a farla imbizzarrire e fuggire. Per sua fortuna, la mandria corre verso il luogo in cui gli slissii si stanno organizzando per sferrare l’attacco decisivo, travolgendoli; i pochi sopravvissuti sono facile preda per gli Hoka, ormai eccitatissimi. Con un repentino cambio di giudizio che è un tratto caratteristico degli Hoka, Jones diventa l’eroe della comunità: e visto il successo pieno gli Hoka pensano che farsi credere lo sceriffo fosse parte del suo piano sin dall’inizio.
La storia è una delle più scoppiettanti di tutta la raccolta, un autentico piacere da leggere.
A partire dal racconto successivo gli slissii scompaiono: solo molto più avanti comparirà una nota in cui Jones spiega cosa ne è stato. Come gli indiani della terra, gli ultimi sopravvissuti si sono arricchiti sfruttando i territori ricchi di petrolio che erano stati concessi loro ed ora col ricavato si sono dati alla dolce vita in tutto l’universo. (7)
– Don Jones (Don Jones, 1957)
Racconto scritto appositamente per la raccolta, come nesso logico tra l’Alex Jones guardiamarina e l’Alex Jones plenipotenziario della Lega Interesseri su Toka: modellata sul Don Giovanni di Mozart, ha una struttura molto teatrale.
Una delegazione di sei Hoka è stata invitata sulla terra e Jones, per la conoscenza degli alieni che, unico tra i terrestri, ha maturato grazie alla precedente (dis)avventura, ha l’incarico di fare da anfitrione: solo che nelle fantasie degli Hoka si tramuta all’improvviso in don Giovanni il libertino. La sera prima infatti Doralene, la sua assistente, li ha portati a vedere l’opera mozartiana omonima, provocando così il disastro che ci si può immaginare: nelle loro fantasie uno di essi assume il ruolo di Leporello, il devoto servitore del protagonista, gli altri cinque invece si convincono di essere mariti traditi che vogliono esigere vendetta da don Giovanni.
A complicare la situazione c’è un triangolo – anzi, quadrato – amoroso tra i quattro umani protagonisti: Alex ha una fidanzata gelosissima, Tanni, che sospetta ci sia una tresca tra lui e Doralene; quest’ultima però, nonostante il suo atteggiamento spregiudicato, è interessata ad un certo Terwilliger, il superiore di Jones, il quale (Terwilliger) è pure innamorato di Doralene ma, a sua volta gelosissimo, crede che Jones voglia prendersi Doralene per sé. Nasce così una commedia degli equivoci che fa onore al genere e rende più intrigante l’intreccio: infatti tutte le volte in cui Tanni o Terwilliger entrano in scena colgono Jones e Doralene in atteggiamenti equivoci, per lo più forzati dalle azioni dei sei Hoka; allo stesso tempo Jones deve guardarsi dagli alieni, perché c’è il rischio che, non rendendosi conto di quello che fanno, possano ferirlo o ucciderlo con le loro richieste di soddisfazione sempre più insistenti.
Solo alla fine, grazie ad una fortunata coincidenza che dà a Jones l’opportunità di chiudere la farsa con un finale degno dell’opera originale, la situazione si sistema nel migliore dei modi: le coppie sono formate e Jones, per il successo della delegazione, viene promosso plenipotenziario della Lega Interesseri presso gli Hoka. (6)
– In Hoka Signo Vinces (In Hoka Signo Vinces, 1953)
Alex Jones, insediatosi ormai da qualche anno come plenipotenziario della Lega Interesseri su Toka, viene svegliato di notte da due Hoka, che lo chiamano dalla finestra: sono vestiti come gli attori della Pattuglia Spaziale, un telefilm di avventure spaziali che hanno visto alla televisione quella stessa sera. Per farla breve, gli Hoka – un centinaio – si sono messi in mente di far parte anche loro della Pattuglia Spaziale: hanno pure un’astronave, la piccola nave diplomatica di Jones, che hanno riconvertito in incrociatore spaziale aprendo feritoie qua e là da cui spuntano cannoni primitivi. Ed ora sono schierati sul piazzale di volo, pronti a partire in missione contro i malevoniani, una razza fittizia di alieni.
Per i soliti equivoci e per la solita irruenza degli Hoka, in men che non si dica Jones – ancora in pigiama e vestaglia – si trova a bordo della nave che in qualche modo gli Hoka credono di saper pilotare. In quanto umano e «coordinatore», il protagonista è la massima autorità a bordo, oltre ad essere l’unico ad avere un’idea della navigazione spaziale.
Ora, Jones ha un problema: di recente gli abitanti di un pianeta vicino – i porniani – hanno varato una supercorazzata, che rappresenta uno strappo allo stato di non belligeranza vigente nello spazio futuro, dove la guerra è stata bandita da più di un secolo. Per ragioni narrative, nella storia malevoniani e porniani si sovrappongono, per cui quando gli Hoka si imbattono in una nave ospedale porniana scambiano la croce rossa per il simbolo dei pirati («Beh, il teschio non lo vedo nemmeno io, ma guarda quelle ossa color sangue, incrociate») e la attaccano senza pensarci due volte, provocando il pronto intervento della supercorazzata.
In uno scenario da farsa, la supercorazzata porniana si dimostra inadatta al compito: la nave degli Hoka (l’«Impavida») è troppo piccola per i sofisticati sistemi di puntamento dei missili porniani – ciascuno dei quali è grande quanto la nave diplomatica – e così non solo viene ignorata dalle armi ma riesce anche ad infilarsi nel portellone ancora aperto in cui ha appena cercato rifugio la nave ospedale.
A questo punto succede il caos: i marinai porniani non sono preparati per un arrembaggio – ai progettisti non era nemmeno venuto in mente che una nave nemica potesse uscire incolume da uno scontro a fuoco con la supercorazzata – mentre gli Hoka, eccitatissimi, fremono di entusiasmo. Guidati da Jones, che non ne può più della situazione e a causa dell’incidente teme per la sua carriera diplomatica, al termine di una catena di eventi paradossali gli Hoka conquistano la nave, semplicemente perché armeggiando con un quadro comandi azionano tutti i sistemi di sicurezza interni: «Se aprire i getti degli estintori, il sistema di fumigazione, il sistema fumogeno per l’identificazione delle perdite, il sistema di riscaldamento radionico d’emergenza, l’impianto di refrigerazione d’emergenza, e inserire tutti i condotti nell’impianto per la lavatura del ponte non è un modo basso e deplorevole di combattere, vorrei sapere cos’è!», piagnucola l’ammiraglio porniano nel consegnare la nave a Jones.
Come condizione di resa, il protagonista chiede che la nave venga smantellata: in seguito evita guai con la Lega Interesseri attribuendo l’episodio ad una qualche razza sconosciuta. In fin dei conti infatti gli Hoka sono classificati come razza primitiva: non sarebbero mai in grado di costruire un’astronave e prendere lo spazio.
Racconto brioso e creativo, sullo stesso livello dello Sceriffo. (7)
– Hoka Holmes (The Adventure of the Misplaced Hound, 1957)
Per sfuggire alla cattura, il capo di una banda di trafficanti ppussjani – una razza di tipo cino-centauroide: quattro gambe e due braccia, faccia a muso di cane – si rifugia su Toka, dove continua a dare ordini e rifornire i suoi di droga. Per catturarlo giunge quindi sul pianeta un agente di polizia, che chiede assistenza a Jones: la zona in cui si nasconde Numero Dieci – così si chiama il trafficante ppussjano – è il «Devonshire», una zona del pianeta che gli Hoka hanno trasformato nell’Inghilterra di fine Ottocento; e dove, naturalmente, opera anche Sherlock Holmes. Inizia così una storia che è la parodia del «Mastino dei Baskerville», una delle avventure più note di Holmes: solo che qui sarà Jones a dover indossare i panni di Watson.
Dopo una serie di false piste, quando i protagonisti umani ancora non sanno che pesci pigliare, Hoka Holmes risolve l’indagine: per tutta la storia non si capisce mai davvero se le sue deduzioni siano frutto dell’intuito o del caso, perché quando tutto sembra suggerire l’uno si verifica una circostanza che ribalta quest’impressione e viceversa; sta di fatto però che tra prendere misure superflue di qualsiasi cosa, calarsi nei camini e giungere a deduzioni sconnesse partendo da indizi irrilevanti, Hoka Holmes ottiene un risultato che agli umani era sfuggito.
In buona sostanza, Numero Dieci si nascondeva in una palude artificiale che gli Hoka avevano creato tempo prima perché la brughiera inglese presenta sempre qualche palude: qui coltivava la droga e, in una caverna – sempre artificiale – aveva costruito il suo rifugio con radio, nel quale teneva legato anche l’Hoka Sir Henry Baskerville, scomparso da mesi a causa, così pensavano tutti, della maledizione che pendeva sulla famiglia. E che Numero Dieci teneva viva con occasionali apparizioni, sfruttando la sua somiglianza con i cani.
Storia carina ma non eccezionale. (5/6)
– All’arrembaggio, Hoka! (Yo Ho Hoka!, 1955)
Per bloccare l’ultima fantasia Hoka, quella di fare i pirati, e parlare con l’ammiraglio Nelson senza farsi riconoscere, Jones si mette una barba finta, di colore verde, ma in men che non si dica si trova imbarcato forzatamente su un veliero inglese di inizio Ottocento: la barba non si può togliere che con l’ammoniaca, che ovviamente a bordo scarseggia, e così a causa della barba nessuno lo riconosce per il plenipotenziario umano ma per un marinaio turbolento di nome Barbaverde. Provocato suo malgrado un ammutinamento, prende possesso della nave entra a far parte della flotta pirata, che conta una ventina di navi e si prepara ad attaccare le Bermude (che qui sono a un tiro di schioppo da Costantinopoli): in questo modo spera di sabotare il piano di attacco ma ottiene solo di diventare l’ammiraglio della flotta corsara e rendere gli Hoka sempre più determinati.
Per evitare lo spargimento di sangue che, teme, giocare ai pirati finirà per causare, nel giardino della residenza del governatore delle Bermude inscena davanti ai suoi pirati un duello tra il vero sé (ha trovato l’ammoniaca) e Barbaverde nel quale uccide quest’ultimo. Spenti in questo modo gli animi degli Hoka corsari, ottiene la loro attenzione e, in quanto l’ammirato plenipotenziario, può formulare una serie di nuove regole: concede ai pirati una sola incursione alle Bermude all’anno, purché nessuno si faccia del male ed il bottino venga poi restituito. Al che gli Hoka, molto più sensati di quello che sembra, rispondono che era naturale.
È il racconto meno riuscito della raccolta: ma va anche detto che non sono un appassionato del genere piratesco. (5)
– Un manipolo di eroi (The Tiddlywink Warriors, 1955)
La navicella su cui Tanni, la moglie di Jones, stava viaggiando sola fa naufragio su un vicino pianeta, abitato da selvaggi sanguinari che la scambiano per una dea e tenendola prigioniera continuano a darle da mangiare: finalmente riesce ad avvisare il marito e a pregarlo di salvarla. In quel momento Jones è sotto controllo e l’ottuso ispettore gli rifiuta qualsiasi aiuto per non interferire con le questioni private degli alieni: così il nostro si rivolge alla Legione Straniera dove, per uno dei soliti equivoci così frequenti con gli Hoka, viene arruolato. Ma diserta e, appellandosi ad una quantità di immagini romanticamente associate alla Legione (come la pattuglia perduta, il forte della morte ecc.), riesce a tirarsi dietro alcuni Hoka, che qui servono soprattutto per dare colore alla storia: giunto sul pianeta, salva la moglie semplicemente aiutando un’altra tribù di alieni che sta attaccando il villaggio in cui è tenuta Tanni. Alla fine, rientrato su Toka, riceve persino la Legione d’onore. (6)
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