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Mark S. Geston – I signori della nave delle stelle

Trovo molto attraenti i racconti che si sviluppano su più generazioni o addirittura secoli: in questi libri infatti è la storia, l’idea base, la vera protagonista, non tanto i personaggi, che per forza di cose ad un certo punto escono di scena e vengono rimpiazzati da figure sempre nuove. Il lettore quindi non può affezionarsi a nessuno perché già sa che prima o poi i suoi beniamini scompariranno e che le loro vicende finiranno per avere un’influenza limitata sulla trama: la storia infatti non ruota attorno alle loro azioni ma al contrario le loro azioni sono parte di una storia più grande. Perciò tutto l’intreccio ha un sapore naturale, quasi realistico, perché si vede chiaro come anche i nostri eroi siano in realtà solo esseri umani, piccoli meccanismi in una macchina molto più grande e complessa di quanto possiamo immaginare.
Date queste premesse, non è difficile intuire perché abbia provato un’immediata affinità con «I signori della nave delle stelle» (Lords of the Starship, 1967) di Mark S. Geston, che al di là del titolo scadentissimo dell’edizione italiana – che è sì il calco letterale dell’inglese ma quella «nave delle stelle» fa anche libro fantasy per adolescenti – è un’ottima storia di intrighi, inganni e manipolazioni, condita con un pizzico di paranoia ed un finale amaro, che si sviluppa nell’arco di un centocinquanta-duecento anni.

Il mondo venuto dopo il Primo Mondo
Opera prima di Geston, che ha pubblicato il libro appena ventenne nel 1967, la storia è ambientata in quella che potrebbe essere la terra del remoto futuro, distante da noi almeno tremila anni: è una terra che si sta riprendendo dal collasso del Primo Mondo, una sorta di apocalisse atomica seguita da altre guerricciole locali combattute con armi ancora più spaventose, come gas, virus e chissà cos’altro. Il risultato è una terra sospesa nel tempo: nell’insieme ha un sapore rinascimentale ma con forti influenze delle epoche successive che le conferiscono un tono generale da prima metà dell’Ottocento, con alcune reliquie tecnologiche del Primo Mondo. Qua e là affiorano pure tracce di magia, che però potrebbe anche non essere magia: secondo la citatissima terza legge di Clarke infatti la tecnologia troppo avanzata è indistinguibile dalla magia, ed ovviamente popoli arretrati come quelli della terra futura tendono a considerare magia tutto ciò che non riescono a comprendere.
Questo nuovo mondo deve ancora riprendersi dai cataclismi che posero fine al Primo Mondo: le nazioni, in vari stadi di sviluppo, sono frammentate ed in continua lotta tra loro; le zone deserte, inabitabili o inesplorate sono ancora più estese di quelle abitate (per non dire civilizzate) e sono popolate spesso di creature spaventose che sono il risultato delle mutazioni genetiche provocate dalle antiche guerre, creature che un tempo erano uomini ma che ormai di umano non hanno più nulla.
Soprattutto, questo mondo nuovo vive sempre sotto la minaccia e col timore dei «Poteri Oscuri» che stanno ad Occidente, al di là delle montagne, una potenza mai pienamente rivelata che però continua ad influenzare, direttamente o indirettamente, le nazioni dell’Oriente: dalle informazioni frammentarie che si raccolgono qua è là, si apprende che questi Poteri Oscuri sono ciò che resta di Salasar, «una nazione che, a quanto si dice, rivaleggiava col Primo Mondo quanto a forza e a prodigi tecnici», che trasformò «le proprie macchine in dei e i governanti in sacerdoti» e che «finì per restare troppo affascinata dai suoi strumenti e dall’energia allo stato puro, e questo finì per condurla alla corruzione e infine alla rovina».
Millenni prima dell’attualità del libro, l’Oriente ha combattuto una feroce battaglia contro l’Occidente – chiamata significativamente «Armageddon» – dalla quale dovrebbe essere uscito vincitore: ma in realtà Salasar e i Poteri Oscuri non sono mai stati realmente sconfitti e continuano a tramare, è il caso di dirlo, nell’ombra.

L’uomo un tempo noto come Toriman
Mentre il protagonista della storia è la «Nave delle stelle» (chiamata «Vittoria») e la creazione del Mito che la circonda, la figura chiave di tutti gli eventi è un vecchio militare dal volto pieno di cicatrici e dagli occhi infossati, noto all’inizio col nome di Toriman: quest’uomo dal passato sconosciuto, che sembra ogni volta uscire dal nulla e nel nulla ripiombare poco dopo, nel corso del secolo e mezzo della storia assume via via nomi differenti e nuove identità senza però mai cambiare sostanzialmente l’aspetto, che muta lievemente solo sulla base delle descrizioni date dai nuovi personaggi che lo incontrano.
Quest’uomo immortale è infatti l’agente delle Potenze Oscure, colui che all’inizio semina l’idea della Nave e del Mito e poi, manovrando nell’ombra, ne guida ogni passo secondo un suo piano, per portare al collasso dell’Oriente e quindi preparare il terreno all’invasione finale delle terre libere.
La sua identità e le sue macchinazioni sono solitamente rivelate dal suo stemma onnipresente, un guanto metallico ed un cavallo alato, già simbolo della nazione di Mourne, che in passato aveva combattuto fieramente i Poteri Oscuri ma è ormai scomparsa dalle cronache.

La costruzione del Mito della Nave
Quest’ampia introduzione aiuta a delineare la cornice in cui si sviluppano gli eventi del libro, che altrimenti potrebbe apparire disorientante: è infatti la stessa situazione in cui agli inizi si trova il lettore, perché viene imbottito di informazioni senza avere nemmeno un’idea del contesto e dell’ambientazione. Solo dopo essere avanzati con difficoltà ed aver superato l’ostacolo dei primi capitoli la lettura prosegue abbastanza spedita, una cronaca degli eventi più significativi.
In apertura dunque il generale Toriman – la prima manifestazione del vecchio militare – convoca Henry Limpkin, un funzionario di un ministero di secondaria importanza della Repubblica della Carolina, per renderlo partecipe del suo piano grandioso: costruire un’astronave grandiosa, lunga più di sette chilometri e larga quasi due, per abbandonare con tutta l’umanità il pianeta ormai condannato ed emigrare su «Home», un altro florido pianeta da qualche parte nell’universo che aspetta solo di essere colonizzato.
Ovviamente questo mondo non ha né le conoscenze né la tecnologia per costruire un simile mostro: ma gli antichi le avevano e nei suoi viaggi nelle terre leggendarie al confine con le montagne dell’Occidente, distanti migliaia di chilometri dalla Carolina, Toriman ha trovato non solo i piani di costruzione della nave ma anche i cantieri già pronti ad essere messi in funzione e pure un’enigmatica distesa di cemento armato, i Campi, grande a sufficienza per ospitare le sezioni del vascello prima e dopo l’assemblaggio, una sorta di pista di lancio.
Tuttavia l’obiettivo non è la fuga: la costruzione della Nave è solo un palliativo, un inganno, per risvegliare un’umanità in lento declino che, ormai incapace di fare progetti a lunga durata, di ideare cose nuove, di progredire, vive nel ricordo della grandezza del Primo Mondo. Ed intanto muore della lenta morte dell’accidia.
Nel piano di Toriman lo scopo della Nave (e del Ministero della Ricostruzione, di cui Limpkin sta per diventare il capo) è quindi dare uno stimolo alle masse, spingerle a lavorare per un futuro migliore – non il proprio magari ma sicuramente quello dei figli e discendenti – ed intanto operare inconsapevolmente per cambiare la terra in cui vivono: la maggior parte dei benefici delle grandi opere da realizzarsi, come dighe, strade, centrali elettriche e via dicendo, che sulla carta dovrebbero servire a nutrire i cantieri della nave, verrà invece dirottata sulle zone abitate e così, mentre tutti si danno da fare alacremente credendo di lavorare per la Nave, provvedono invece a migliorare pian piano il presente delle loro vite, cosa che altrimenti non avrebbero fatto.
Nasce così il «Mito della Nave», che è in sostanza un enorme inganno a spese del popolino: ed il compito del Ministero della Ricostruzione (e delle altre agenzie ombra messe in piedi, spesso all’insaputa l’una delle altre, nel corso della storia) è proprio costruire questa grande mistica sovranazionale, che include la creazione ad arte di incidenti che servono solo a rimuovere ogni possibile ostacolo e a tenere unita la popolazione.
Viene così messo in moto il grande piano delle Potenze Oscure: non senza una certa ironia, perché non solo tutti sono ignari del vero scopo del Mito (anche quei pochi che, come Limpkin, credono di conoscerne l’autentica finalità) ma anche perché sono le stesse vittime a lavorare attivamente alla propria rovina.

La politica al lavoro
Iniziano così gli eventi del libro, che sono troppo articolati per essere narrati se non limitandosi ad un breve accenno ai principali: seguendo le dettagliate istruzioni di Toriman, dopo aver dato l’annuncio dei piani di costruzione della Nave il Ministero della Ricostruzione crea un piccolo incidente di frontiera con una nazione vicina, Yuma, che controlla il fiume necessario per raggiungere i Campi, e lo usa come pretesto per attaccarla, sconfiggerla ed annetterla. Questo fiume, il Tyne, però passa anche per le terre selvagge, dove si sono ritrovate a vivere molte delle creature spaventose e feroci che un tempo erano uomini: occorre quindi bonificare la zona. E non solo per il diritto di passaggio: il Mito della Nave ha anche bisogno di un’epica e di eroi.
A fornire tutto questo provvederà inconsapevolmente la prima, grossa spedizione navale inviata dalla Carolina per mettere in funzione i cantieri dei Campi: nei mesi che precedono la partenza infatti emissari del Ministero provvedono di nascosto ad informare, preparare, organizzare e motivare i mutanti, di modo che quando la spedizione si trova transitare per la terribile Valle Imperiale in cui essi vivono – già teatro, duecento anni prima, dello scempio di un imponente esercito che avrebbe dovuto ripulirla – ci sia un bagno di sangue.
Il Ministero ottiene così tutti i risultati che voleva: i resti della spedizione raggiungono i Campi e si mettono subito al lavoro; i mutanti sono praticamente sterminati e resi innocui; il popolino ha il luogo di un’importante battaglia combattuta per il progresso ed i suoi eroi da celebrare, inclusa l’apparizione del fantasma di Miolnor IV di Mourne, leggendario monarca che aveva organizzato la grande spedizione nella Valle distrutta due secoli prima. In realtà questo Miolnor è un’altra personificazione dell’uomo che conosciamo come Toriman ma poco importa: al popolino si lascia credere che quello fosse proprio il fantasma del sovrano.
Passano gli anni, i progressi attorno alla Nave si fanno sempre più visibili: attorno ai Campi sono intanto sorte due città, quella dei semplici lavoranti e quella dei «technos», i sacerdoti del Mito, i soli a parte del segreto e della vera funzione della Vittoria, che si atteggiano ad aristocrazia e vivono separati dal resto della popolazione. Il divario e le incomprensioni tra i due gruppi crescono finché, quasi un secolo dopo l’inizio del progetto, non si arriva ad una vera e propria rivolta armata, capeggiata da un certo Coral, nuova identità di Toriman, che rivela al Popolo (adesso con l’iniziale maiuscola) l’inganno di cui è stato vittima sinora: i technos e le truppe fedeli alla Repubblica vengono travolti dalle masse dei lavoratori e dalle loro mostruose macchine da guerra, in sostanza carri armati (che sono scomparsi da secoli dai campi di battaglia) enormi e orribili a vedersi.
Su tutti campeggia lo stemma della mano guantata e del cavallo alato.

Cupio dissolvi
Negli anni successivi alla Grande Rivoluzione, il Popolo torna a lavorare alacremente alla costruzione della Vittoria, che però passa in secondo piano: l’azione si sposta infatti dai Campi alle isole Dresau ad Oriente, «l’ultimo arcaico baluardo del Primo Mondo», la cui Flotta un tempo dominava i mari. Oggi di quella Flotta rimangono solo tre navi (enormi, a vapore, potentemente corazzate ed armate), sufficienti a garantire la supremazia navale alle Isole ma pallido ricordo della magnificenza del passato.
Quando arriva voce dei progressi compiuti attorno alla Nave una specie di frenesia si impadronisce dei nuovi protagonisti, che adesso sono l’ammiraglio Raslov ed il capitano Pendred, comandanti l’uno della flotta, l’altro della Havengore, l’incrociatore che è anche la nave più potente delle tre superstiti: i due comprendono che sono all’opera i Poteri Oscuri e assieme alle nazioni ancora libere dell’Oriente si preparano alla battaglia finale.
Una battaglia che si combatterà sessant’anni più tardi e che terminerà con l’annientamento totale di entrambi gli schieramenti, resi folli, bestiali, da un istintivo «cupio dissolvi» che si impossessa di tutti i combattenti. In questa ripetizione dell’Armageddon di duemila anni prima succede di tutto: la Fortezza ed il Colle del Cannone, misteriose reliquie del passato poste a difesa dei Campi sull’altra sponda del Tyne, artifici narrativi mai pienamente sviluppati, riprendono vita; i milioni di morti dell’antica battaglia ritornano in vita e vengono in soccorso dell’Oriente; la Vittoria, quasi dotata di volontà propria, tenta di prendere il volo nel pieno della lotta ma sprofonda nel mare trascinando con sé le migliaia di coloni ibernati; intanto i suoi reattori spazzano i Campi e le loro fiammate inceneriscono tutto ciò che vi si trova sopra, vivi, morti e oggetti inanimati.
Mesi dopo una figura solitaria in armatura, «l’uomo che un tempo era stato chiamato Toriman», giunge da Occidente su una zattera trainata da uomini trasformati in tritoni, legati indissolubilmente al natante: mette piede su ciò che resta dei Campi, osserva ciò che resta degli edifici e dei punti di riferimento che erano stati introdotti nelle pagine precedenti ed infine spara un razzo di segnalazione nel cielo, al quale rispondono, al di là delle montagne occidentali, altri razzi: è l’inizio, si comprende dell’invasione dell’Oriente da parte dei Poteri Oscuri, che non dovrebbero incontrare grande resistenza, dal momento che tutta l’umanità migliore e le sue armi più potenti sono andate perdute nella grande battaglia appena combattuta.
Abbagliato dal Mito della Nave, l’Oriente quindi è stato indotto a lavorare attivamente per la propria distruzione ed ora i burattinai si preparano a raccogliere il frutto delle loro macchinazioni.
Tutto come previsto.

Un finale aperto
La forza del libro sta nella sua struttura: è una storia corale, senza veri protagonisti ma con un numero considerevole di personaggi, a volte decisivi per lo sviluppo della trama, a volte senza alcuna ricaduta sugli eventi ma comunque utili per vedere come si siano accomodati certi eventi avvenuti anni prima o anche solo come vivano gli umili del Mito. Per usare una felice espressione inglese, «I signori della nave delle stelle» è un libro «story-driven», non «character-driven», ossia interessato più alla storia che ai personaggi.
La narrazione è cronachistica: vengono completamente ignorati tutti i dettagli tranne quando hanno una qualche rilevanza sulla storia – magari non immediata – e quindi l’autore non si perde mai in svolazzi superflui. Qua e là si notano anche dei passaggi poco chiari o troppo sbrigativi che nell’insieme fanno zoppicare un momento la trama ma non sono così gravi: la storia si regge in piedi benissimo e nell’insieme ha senso comunque. Va inoltre considerato che alcuni di questi passaggi incerti sono anche la conseguenza del particolare punto di vista scelto per una certa scena: noi sappiamo sempre e solo ciò che sanno anche i personaggi attraverso i cui occhi vediamo gli eventi, quindi alcuni buchi narrativi potrebbero benissimo essere spiegati con eventi o passaggi che anche il narratore ignora.
D’altro canto sappiamo poco dell’ambientazione originalissima di Geston: quel poco che veniamo a scoprire lo apprendiamo strada facendo, aggiungendo mattoncini ai mattoncini che già abbiamo ma mai in maniera omogenea e senza mai avere più di semplici leggende, dicerie, vaghi ricordi sul passato catastrofico di questa terra del futuro. Rimaniamo saldamente fissati nel presente, con appena un’infarinatura del passato e favole sugli antagonisti dell’ambientazione, che sono circondati da un’aura di mistero sino alla fine, quando finalmente Toriman getta la maschera: potrebbero essere davvero gli emissari infernali del Male ma, più facilmente, sono solo ciò che resta di Salasar, che si diletta ancora a storpiare la tecnologia e trama per tornare a dominare il mondo ancora una volta. Tuttavia il finale è lasciato volutamente aperto e, sebbene non ci siano dubbi sui probabili sviluppi, non viene rivelato se i Poteri Oscuri conquistino davvero le terre libere.
Del libro esistono due seguiti, «Fuori dalla bocca del drago («Out of the Mouth of the Dragon, 1969) e «The Siege of Wonder» (1976; non mi risultano traduzioni in italiano), che però non sono collegati direttamente agli eventi qui narrati ma sono ambientati nel futuro di questo lontano futuro.

Per gli appassionati del genere cronachistico, rimando anche al commento che avevo scritto quasi tre anni fa su un altro libro congenere, «I superstiti di Ragnarok» di Tom Goodwin, che però ha un taglio decisamente più d’azione: anche qui si tratta di una storia multigenerazionale che, con un ritmo più sostenuto, culmina persino in un lieto fine.

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