Già per la sua stessa natura speculativa, la fantascienza non può essere separata dall’analisi – e spesso dalla critica – della società e dei costumi: non sempre però queste riflessioni costituiscono il cardine attorno al quale è costruita una storia ma più semplicemente sono solo uno dei pilastri che la tengono in piedi. Così nella galassia di sottogeneri in cui la fantascienza è suddivisa si è sviluppata una corrente particolarmente interessata a questo tipo di riflessioni che, senza troppa fantasia, viene appunto chiamata «fantascienza sociologica».
Vecchio quanto la fantascienza stessa ma particolarmente vivace tra gli anni Cinquanta e Settanta grazie anche all’interesse per le discipline umane riscoperto dalla new wave, negli anni Ottanta questo sottogenere è andato lentamente eclissandosi sino a scomparire quasi del tutto già da molti anni: eppure sono numerose le opere sociologiche validissime che in passato sono state scritte e pubblicate, tutte accomunate da un certo pessimismo sul futuro, sull’impatto della tecnologia sulla nostra civiltà e, ovviamente, sulla natura e sulle relazioni umane, soprattutto quando gli uomini sono costretti a vivere gomito a gomito in città al tempo stesso sovrappopolate e disumanizzanti.
Una di queste è l’ottimo «Condominium» di James Ballard (High Rise, 1975), che tratta la rapida discesa nella barbarie dei facoltosi abitanti di un supercondominio di lusso a Londra.
Un’autentica sorpresa
Mai avrei pensato che sarebbe venuto il giorno in cui avrei scritto qualcosa di positivo riguardo ad un libro di Ballard, del quale ho pure letto diverse opere ma senza riuscire mai ad apprezzarle: tuttavia, sepolto in un lontano passato, mi era rimasto un buon ricordo di questo «Condominium», che una recente rilettura ha confermato. E così, prima ancora di rendermene conto, mi sono trovato davanti al computer a scriverne una recensione: pur inconcludente e spesso ripetitivo, il libro descrive infatti uno scenario surreale nel quale però tutti possiamo riconoscerci, quello dei rapporti all’interno di un condominio. Che non sono mai spontanei e raramente sono pacifici ma tendono piuttosto ad essere sempre più conflittuali.
Come per tutti i libri di Ballard, la trama in sé è secondaria rispetto al messaggio che vuole lanciare e alle riflessioni sulla natura umana che se ne dovrebbero ricavare: nel nostro caso, la trasformazione del condominio in un’entità viva. E, ancor più, l’aspetto ironico della stratificazione sociale dei suoi abitanti, che sono tutti professionisti, imprenditori, uomini abbienti e influenti: eppure, già dopo pochi mesi, si radica in essi una sorta di nuovo classismo e rivalità tra i plebei dei primi piani, i condomini dei piani intermedi e l’aristocrazia degli ultimi piani. Si instaura così un nuovo «ordine sociale naturale», che dipende dall’altezza dei piani: nel tentativo di risalire alle ragioni della disgregazione sociale del condominio, uno dei protagonisti nota infatti che nel recente passato «i suoi coinquilini si mostravano molto più tolleranti nei riguardi dei rumori e del chiasso provenienti dai piani superiori che non da quelli inferiori».
Queste differenze sociali – che, trattandosi di inglesi e pure un po’ snob, non vengono mai espresse chiaramente né mostrate apertamente ma sono avvertibili solo dalla mancanza di considerazione e riguardo per gli inferiori – causano i primi contrasti e poi, dopo appena sei mesi, portano all’aperta ostilità: ed infine, entro i sei mesi successivi, fanno regredire tutti i condomini (almeno i superstiti) ad uno stato selvaggio.
Cenni di sociologia condominiale
Per farsi un’idea del romanzo e del mostro architettonico in cui la storia è ambientata sono necessarie quelle poche informazioni che vengono fornite anche ai lettori: primo terminato di cinque arcologie identiche che stanno sorgendo in un ex quartiere degradato di Londra, questo supercondominio di lusso ospita mille appartamenti disposti su quaranta piani ed include servizi come una piscina, un supermercato, una banca, un parrucchiere (tutti al decimo piano, che presto diverrà quasi un confine naturale), un’altra piscina più piccola e un ristorante al trentacinquesimo (l’altra barriera naturale) e persino un parco giochi sul tetto. Lo abitano non meno di duemila persone, tutte di un certo prestigio sociale, che vanno dai piloti d’aereo agli attori e produttori televisivi, dai medici ai gioiellieri, dagli avvocati agli imprenditori: nell’attico abita anche il progettista, che offre uno dei tre punti di vista – uno per strato sociale – attraverso cui vengono narrati i fatti.
La storia si sviluppa attorno ad un’unica idea centrale: che il condominio non esiste per servire la collettività degli occupanti ma il condominio stesso, per mantenerlo nel suo isolamento. Così il giorno stesso in cui si festeggia l’occupazione dell’ultimo appartamento libero – e la conclusione dei lavori del secondo fabbricato – inizia la catena degli eventi che porterà alla rapida dissoluzione di ogni civiltà tra gli abitanti: infatti, anche se i sei mesi trascorsi fino a quel momento erano stati un periodo di liti continue, di discussioni sui difetti dello stabile e degli impianti, di proteste per ogni cosa, le tensioni latenti fra i condomini erano rimaste attenuate dal bisogno di tutti che l’enorme condominio si rivelasse un successo.
Ma quella sera un party poco più rumoroso degli altri segna lo scoppio delle ostilità.
Gli abitanti del condominio infatti «non formano un insieme omogeneo come potrebbe sembrare a prima vista – predice un personaggio secondario – tra poco ci rifiuteremo perfino di rivolgere la parola a chi non fa parte del nostro settore», che poco prima aveva paragonato ad un clan. Infatti, prima ancora di rendersene conto, «il condominio si era già diviso nei tre classici ceti sociali: alto, medio e basso. Il centro commerciale del decimo piano costituiva il netto confine fra i nove piani inferiori, col loro “proletariato” di tecnici cinematografici, hostess, piloti e simili, e la sezione mediana del condominio che andava dal decimo piano fino alla piscina e al ristorante del trentacinquesimo. Questi due terzi centrali del fabbricato formavano la classe media, composta da professionisti, medici e avvocati, commercialisti e consulenti fiscali. (…) Più su, negli ultimi cinque piani, viveva la classe superiore: l’oligarchia discreta degli imprenditori e degli affaristi, delle attrici e dei baroni universitari. (…) Erano costoro che governavano in modo più o meno indiscreto sul condominio, decidendo se i bambini potevano o meno usufruire delle piscine e del campo giochi. (…) Ma soprattutto era la loro sottile influenza che teneva al suo posto la classe media, mettendole costantemente sotto il naso la carota dell’amicizia e dell’approvazione». E così dalla critica al condominio si è già passati ad una critica della società.
I tre punti di vista
La storia si svolge nell’arco di sei mesi e descrive il rapido crollo di ogni civiltà tra gli abitanti del supercondominio: gli eventi sono visti attraverso gli occhi dei tre protagonisti, ciascuno in rappresentanza di uno dei nuovi ceti sociali. Il primo di cui si faccia la conoscenza è Robert Laing, medico e professore del venticinquesimo piano, che sopravvive – per lo più da gregario – adattandosi alla situazione e lentamente si spegne, sino a convincersi che «tutto tendeva gradualmente a tornare alla normalità» nonostante i sacchi di immondizie ammucchiati in casa, i servizi igienici intasati da mesi e la carne di cane cotta sul fuoco in balcone per sopravvivere.
Il secondo è Richard Wilder, produttore televisivo del secondo piano, ossessionato dal «pensiero di quei condomini che vivevano lassù come signori feudali sui servi»: per tutto il libro tenta la scalata al quarantesimo piano ma viene sempre respinto. Quando finalmente ci riesce si è ormai tramutato in un selvaggio nudo dai denti spezzati e dai motivi tribali dipinti su tutto il corpo (con un rossetto trovato in giro), incapace persino di parlare: è il solo che goda realmente della situazione, tanto che si butta nella lotta con voluttà, dimenticando persino la famiglia ed il lavoro. Nella sua umanità sanguigna e brutale è anche il più simpatico dei tre protagonisti, quello per cui riesce naturale tenere le parti.
Il terzo è Anthony Royal, il progettista del condominio, che abita l’attico e incarna l’antagonista di Wilder: per lui il condominio è prima di tutto un esperimento, la speranza di «contribuire alla nascita di una nuova forma di società (…) uno schema di organizzazione sociale che sarebbe diventato il paradigma di tutti i giganteschi condomini dell’avvenire». Nella sua visione, lo stato di decadenza dello stabile diventa non un fallimento ma un pieno successo: le lotte e la divisione tra i condomini, sui quali esercita da lontano una sorta di benevola superiorità, sono così benefiche sulla sua salute che riescono persino a guarirlo dagli strascichi di un grave incidente che nemmeno la medicina e le macchine terapeutiche erano riuscite a sanare.
Lo sfascio della civiltà
La storia va seguita in senso sincronico più che diacronico: anche se c’è una progressione dalle fasi più civili alla totale assenza di civiltà, gli eventi narrati non hanno una loro precisa collocazione temporale nella trama ma servono soprattutto per mostrare la progressiva caduta nella barbarie.
Così lentamente si passa dalle semplici liti e discussioni tra vicini alle spedizioni punitive notturne, che determinano la prima forma sociale all’interno del condominio: i vicini, che prima non si sopportavano, all’improvviso iniziano invece a tollerarsi l’un l’altro e addirittura formano un clan che riunisce gli appartamenti di due o tre piani contigui. Ma lentamente anche queste forme di organizzazione si dissolvono e, quando esplode la violenza vera, con morti e feriti, si impone invece la struttura del ciascun per sé: questi professionisti – in teoria il meglio della nostra società – si mettono a sfasciare tutto, scrivono sui muri, bloccano gli ascensori, insozzano gli spazi comuni, si introducono negli appartamenti altri per distruggere, sporcare, violentare. Ma anche nei momenti peggiori nessuno invoca aiuto all’esterno: un po’ per il tipico riserbo inglese, un po’ per il desiderio di non veder fallire l’esperimento del supercondominio chic, un po’ perché finalmente tutti possono fare quello che avrebbero sempre voluto fare, i condomini tengono per sé quello che sta avvenendo nell’edificio, tanto che persino una pattuglia della polizia, insospettita dalle auto sfasciate e dai cumuli di rifiuti sparsi in giro, viene allontanata da gruppetti di inquilini sorridenti, che garantiscono che tutto è in ordine.
Ma all’interno del fabbricato tutto è allo sfascio. Progressivamente anche i servizi vengono meno: la luce viene a mancare dapprima in alcuni piani bassi e poi lentamente in tutto il condominio; i condotti dei rifiuti vengono presto ostruiti dai sacchi di immondizie, che poi si accumulano nei corridoi e persino negli appartamenti; gli scarichi dell’acqua si bloccano, l’acqua stessa smette di scorrere nelle tubature; l’impianto di condizionamento soffia solo polvere. Eppure ogni mattina un manipolo di condomini, tutti ben vestiti e ordinati, lascia il condominio per recarsi al lavoro come se nulla fosse, solo per tornare la sera in piena crisi di astinenza, per lasciarsi andare ancora a comportamenti deteriori.
In breve la piscina diventa prima una fogna a cielo aperto, poi una discarica, poi un carnaio con i resti di cadaveri, alcuni dei quali anche accuratamente spolpati «con abilità da chirurgo».
In questo scenario si intrecciano le vicende dei tre punti di vista e della decina di altri personaggi minori che compaiono qua e là: Laing, un gregario, che pian piano diventa apatico e conclude il suo segmento di storia come servitore della sorella maggiore e di un’altra donna, che si fondono fin quasi a divenire un’unica persona che lo domina completamente. E lui è contento di questa sua servitù. Wilder che, dopo aver ucciso il simbolo dell’oppressione (Royal) ed essere giunto in vetta al condominio viene a sua volta ucciso – o forse addirittura sacrificato – dal gruppo di donne abbandonate che costituivano la corte di Royal, tra le quali c’è persino sua moglie. Ed infine Royal stesso, al quale le lotte interne danno la forza di riprendersi da un gravissimo incidente che aveva subito durante la costruzione del condominio e di muoversi da autentico signore dello stabile, sino al faccia a faccia finale con Wilder: una resa dei conti tra proletariato e nobiltà che poteva concludersi in un’unica maniera ma che determina anche la scomparsa di entrambe.
Alla fine il condominio è ancora in piedi, abitato da pochi condomini regrediti alla barbarie, affamati perché le provviste sono finite ma decisi a non abbandonare il loro mondo: ed intanto nello stabile di fronte, il secondo completato, abitato da sei mesi, inizia ora a mancare la luce, chiaro segno che anche qui stanno per ripetersi le stesse vicende del primo stabile.
Perché la vita in un condominio è una lotta senza quartiere.
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