I migliori dieci

I migliori dieci eroi della sword and sorcery

Prese le distanze dalla fantascienza – da certa fantascienza, per la precisione – ultimamente per le mie letture d’evasione mi sono rifugiato nel fantasy: certo fantasy, ossia la sword and sorcery, che ho sempre preferito al noioso high fantasy di ispirazione tolkeniana, con la sua insistenza sul conflitto tra Bene e Male, obbligatoriamente con le iniziali maiuscole.
Di questo conflitto la sword and sorcery – nota anche come fantasy eroico, anche se ci sarebbero alcune modeste differenze tra l’una e l’altro – non si preoccupa se non in maniera molto marginale, tanto che lo colloca al massimo sullo sfondo: il bene, perché alla fine gli eroi operano sempre il bene (ma con la minuscola), è sempre una conseguenza delle loro azioni e delle loro scelte, dettate in primo luogo dal profitto personale o dalla loro etica, semplice e primitiva; dal loro egoismo, se vogliamo.
Che si tratti di sconfiggere lo stregone malvagio, eliminare la setta di cannibali che minaccia il villaggio, rispedire nell’aldilà la mummia appena rispuntata dal suo sarcofago, salvare la pastorella dal sacrificio umano o anche solo saccheggiare la tomba sigillata da millenni, il servizio offerto dall’eroe alla comunità non è mai il risultato di un dovere ma di una scelta: in altre parole, non è un imperativo categorico («devo») ma un atto volontario, in genere per un senso di riconoscenza, cameratismo o di amicizia genuina, più vicino semmai all’imperativo ipotetico.
Se solo la sword and sorcery fosse nata duecento anni prima, probabilmente Kant non avrebbe mai infestato i manuali di filosofia.
Un’occasione sprecata.

Il codice morale dell’eroe della sword and sorcery
Stabilito che il Bene fine a se stesso non interessa gli eroi – né gli autori – della sword and sorcery (che d’ora in avanti sintetizzo anche nella più comune sigla S&S), può essere opportuno spendere due righe su ciò che caratterizza questo sottogenere del fantastico: non bisogna infatti dimenticare che il fantasy eroico è nato tra gli anni Venti e Trenta sulle riviste pulp americane, e quindi aveva come obiettivi primari quelli dell’intrattenimento/evasione dei lettori e, non meno importante, quello del guadagno, anche se queste riviste sono note anche per non aver mai strapagato i loro autori.
Ciononostante – e questo è uno degli elementi che rendono la vecchia letteratura, anche d’appendice, tanto migliore della carta straccia contemporanea – partendo dal nulla quei vecchi autori sottopagati e poco istruiti sono riusciti a caratterizzare il genere letterario che hanno contribuito a creare, conferendogli una serie di peculiarità che oggi lo distinguono chiaramente da tutte le altre sfumature del fantastico: a cominciare proprio dal fantasy di ispirazione tolkeniana, che nei decenni successivi sarebbe appunto diventato l’high fantasy.

1) L’azione ininterrotta
In primo luogo, la sword and sorcery è caratterizzata dall’azione, fulminea, micidiale ed ininterrotta. Gli eroi della S&S non perdono tempo in inutili introspezioni, non hanno ripensamenti né ragionano sulle conseguenze delle loro azioni: agiscono, punto. E poi semmai fanno i conti con le conseguenze del loro operato.
La sword and sorcery quindi deve scorrere fluida come un ruscello di montagna, e tintinnare del suono delle spade e delle asce che si scontrano: per questo la forma migliore in cui può presentarsi è il racconto breve, non il romanzo, non solo per una sorta di fedeltà al formato originale, quello delle riviste appunto, che salvo le eccezioni riservate ai nomi di richiamo prediligevano le storie pubblicabili in un’unica uscita, ma anche e soprattutto perché il romanzo non perde tempo né pagine in sequenze inutili ma deve concentrarsi sugli elementi caratterizzanti, come appunto l’azione continua. Non ha tempo né spazio per le pause né per riprendere fiato.
Il romanzo invece tradisce lo spirito della sword and sorcery perché l’autore ha la necessità di allungare la minestra per raggiungere quel tot di pagine (centosessanta al minimo), e quindi è costretto a rallentare la narrazione e con essa l’azione: anche se non mancano romanzi di S&S riusciti, il romanzo fa a pugni con la natura della sword and sorcery come un orologio da polso in un film sui romani.

2) L’antieroe
In secondo luogo, i protagonisti della S&S in genere sono emarginati sociali: si tratta di ladri, mercenari, tombaroli, pirati, reietti, a volte persino paria scacciati dalle loro comunità. Non sono i paladini della giustizia né i guerrieri motivati dagli alti ideali dell’high fantasy ma antieroi che mettono il profitto personale davanti a tutto: quando c’è di mezzo la sopravvivenza, per loro salvare il mondo vale tanto quanto dannarlo.
Ciò che li motiva davvero è il miraggio di una fonte di guadagno – materiale o, più raramente, spirituale – da sperperare il prima possibile: sottigliezze come Bene e Male, buono e cattivo, indole e ambiente sono aliene a loro e al loro codice morale, che però include concetti chiave come la riconoscenza, l’amicizia, il cameratismo ed il senso del dovere.
L’eroe della sword and sorcery infatti ha un unico principio guida: tratta il prossimo come il prossimo tratta lui, come vuole la regola d’oro biblica. Quindi è riconoscente oltremisura quando uno sconosciuto gli si mostra amico e magari divide con lui quel poco che possiede, mentre si trasforma un micidiale strumento di vendetta quando viene tradito dal datore di lavoro, da un compagno d’avventura o anche solo da uno sconosciuto disposto a venderlo per una manciata di monete.

3) Il codice morale
Proprio il codice morale dei protagonisti è la terza caratteristica della sword and sorcery, e probabilmente la più distintiva: qualunque sia la loro motivazione, gli eroi della S&S sono sempre dotati di un rigido codice morale che li differenzia dai costumi decadenti e degenerati degli abitanti delle terre per così dire «civilizzate», solitamente ingrati e pronti tanto all’inganno quanto al tradimento, meschinità che al contrario sono aliene all’antieroe della S&S.
Al contrario, quest’ultimo è sempre pronto a battersi sino alla morte per ripagare un gesto di amicizia o per soddisfare i termini di un contratto, come abbiamo già visto al punto precedente.

4) Il conflitto tra civiltà e barbarie
E, tanto per restare in zona, entra in gioco anche il conflitto tra civiltà e barbarie: l’eroe della S&S, l’emarginato sociale spesso proveniente da zone selvagge e primitive, appare più civile dei raffinati abitanti delle splendide città dove, al di sotto dello strato superficiale di lusso e sfarzo, in realtà regnano il degrado, la corruzione fisica e morale, i peggiori istinti umani, e le passioni deteriori.
Da questo confronto emerge che il barbaro e zotico paria, guardato con condiscendenza dall’uomo di città e da questi trattato quasi come una bestia, è in realtà molto più umano e civile dei più nobili cittadini: ma, si badi bene, non è mai il «buon selvaggio» illuministico, un’etichetta che in realtà serve solo a mascherare un ritardo mentale presentandolo come bonomia, bensì l’uomo all’apice dell’umanità o, meglio ancora, della mascolinità, ossia la massima espressione di ciò che significa essere uomini.
Perché la sword and sorcery è un genere maschio, scritto da autori maschi per lettori maschi che sognano gesta maschie, nel quale si canta la «kalokagathia», quella virtù che unisce la bellezza d’aspetto all’integrità d’animo dell’eroe in contrapposizione al modello Tersite, cioè la bruttezza se non deformità del corpo unita ad un’indole altrettanto brutta e deforme, implicitamente malvagia.
L’antieroe della S&S – mi piace sottolineare quell’«anti», che con simili presupposti suona ironico – è un uomo semplice e integerrimo, di pochi ma sanissimi principi, pronto ad andare incontro a rischi di ogni genere senza ripensamenti solo per serbare la parola data, o per ripagare un debito di riconoscenza.
Quale lezione per l’uomo moderno!

5) La magia corrompe
Quinta e, per ora, ultima caratteristica propria della sword and sorcery, è il ruolo della magia: il fantasy per essere tale ha bisogno della magia, su questo non ci piove. Tuttavia la magia può essere servita in tanti gusti e applicata ad un’infinità di impieghi: a questi la sword and sorcery, unica nel panorama del fantastico, aggiunge anche un giudizio morale, e la relega al ruolo di strumento privilegiato degli operatori di iniquità – degli stregoni malvagi per intenderci – perché la magia corrompe.
La magia è una forza intrinsecamente malvagia e talmente aliena all’uomo e alla sua natura che chi se ne serve ne viene anche corrotto: moralmente e, in certi casi, anche fisicamente.
Inoltre, a differenza delle altre declinazioni del fantasy, la magia nella S&S non è un surrogato della scienza o della tecnologia, che secondo la famigerata terza di Clarke sarebbero indistinguibili l’una dall’altra: è invece qualcosa di così potente e terribile che basta anche solo il sospetto che un tale sia un mago per destare il rispetto ed il timore negli uomini comuni.
La magia è qualcosa di così straordinario che in un racconto appaiono uno o forse due incantesimi in tutto, presi da una ristretta gamma di effetti che trascurano i fuochi d’artificio ma solitamente si avvalgono in maniera massiccia di illusioni, controllo mentale e sacrifici, meglio se umani, e a volte sono così potenti da sconvolgere un’intera regione per decenni, o evocare demoni e creature morte da millenni. Ma in questo secondo caso si tratta soprattutto di espedienti narrativi che avvengono dietro le quinte, per mettere in moto gli eventi o guidarli verso il loro epilogo.
Anche per questo non esistono eroi maghi: al massimo sono alleati, gregari, comprimari, «sidekick» e solitamente vengono caratterizzati con tratti ambigui, sempre in odore di tradimento e certo di doppiezza. Perché la corruzione della magia è inevitabile, e colpisce anche chi ne fa uso per fini «nobili».

I criteri di scelta
Dopo questa lunghissima introduzione sulle caratteristiche della sword and sorcery, necessaria sia per offrire il mio punto di vista sul genere sia per presentare la S&S a chi ne è digiuno, passo finalmente al cuore di questo articolo: la classifica dei migliori dieci eroi della sword and sorcery. Che, riconosco, non è stato facilissimo redigere perché esistono decine di personaggi da rispolverare e centinaia di racconti da leggere, molti dei quali sconosciuti Italia dal momento che, pur migliori di quelli pubblicati, le loro avventure non sono mai state tradotte.
Armato quindi di tempo e pazienza, ho passato al setaccio tutte le opere, lunghe e brevi, di cui ho anche solo sospettato l’esistenza e, soprattutto, che sono stato in grado di recuperare: un’impresa non proprio disperata ma comunque difficile perché molte storie sono semplicemente introvabili, o reperibili a prezzi improponibili.
Ma anche così significa diverse centinaia di racconti e romanzi, che ho letto (o riletto) e digerito nel corso degli ultimi anni: accompagnato dagli immancabili appunti, mi sono quindi fatto una mappa del meglio e del peggio della sword and sorcery, e dei personaggi che ho trovato più rappresentativi del genere.
Per giungere all’elenco finale però non mi sono limitato a redigere una classifica sulla semplice base dei miei gusti personali, «questo mi è piaciuto e questo no», ma ho voluto dotarmi di uno strumento critico più imparziale: una lista di criteri che, a mio avviso, sono utili proprio per setacciare il meglio della sword and sorcery, nel senso dei personaggi e delle opere più rappresentativi.
Non credo però si tratti ancora di una lista definitiva, proprio per il fatto che alcune opere allettanti mi sono sfuggite: e, se mantengono le premesse, i loro protagonisti potrebbero guadagnarsi un posto in classifica. Ma prima devo riuscire a metterci sopra le mani.
Così sono obbligato a considerare questa lista quasi definitiva, un lavoro in sviluppo che potrebbe variare nel corso dei prossimi anni: ma ad oggi quelli che seguono sono indubbiamente i migliori dieci eroi della sword and sorcery, e almeno una parte delle loro avventure le opere più rappresentative del genere.

I criteri di valutazione
Come detto, mi sono avvalso di alcuni criteri di valutazione per rendere la classifica quanto più solida ed imparziale possibile: una certa parzialità è tuttavia inevitabile, e dipende proprio dal mio punto di vista, o dalla mia interpretazione di ciò che è e rappresenta la sword and sorcery. Proprio per questo ho voluto presentarlo nella prima parte di questo articolo, in maniera tale che un lettore sia in grado di comprendere il mio filtro: ma non credo di essere troppo distante da ciò che rende la S&S ciò che è.

1) La scelta è ricaduta esclusivamente sui personaggi apparsi su libro o rivista, nel senso di racconti e romanzi: niente film, fumetti e altri mezzi di comunicazione, che derivano dai precedenti ma hanno i loro contenuti e le loro forme espressive particolari.
Perché la classifica corrisponda il più possibile allo spirito della sword and sorcery, le sue radici e tradizioni devono essere salvaguardate.

2) Il secondo criterio riguarda la prima apparizione dell’eroe: come visto, la S&S affonda le radici nelle riviste degli anni Venti e Trenta, e ha in Robert E. Howard, morto suicida nel 1936, il suo padre putativo, oltre che il suo massimo esponente. Per questa ragione l’anzianità dell’eroe (e la sua vicinanza alle caratteristiche impresse da Howard ai suoi personaggi, come vedremo) è un fattore discriminante: quanto più è vecchio, nel senso di quanto più lontana da noi è la sua prima apparizione, tanto più risulta genuino e rappresentativo della S&S; al contrario, man mano che ci avviciniamo al giorno d’oggi la S&S diventa sempre più annacquata, fomulaica, contaminata da altri temi e correnti. Complice anche il cinema, a partire dagli anni Ottanta poi ha perso via via sempre più di vista la sua essenza sino a piombare, in epoca più recente, nella deriva della diversità, dell’inclusione e delle tematiche di giustizia sociale, autentiche eresie che stanno agli antipodi della sword and sorcery e del suo spirito originario.
Per questa ragione ho ristretto la selezione a quegli eroi la cui prima apparizione è avvenuta non oltre gli anni Settanta: non conta se successivamente sono apparse altre avventure, che anzi ho comunque preso in considerazione, purché siano state scritte dallo stesso autore e non da un suo emulo o erede.

3) Sempre in ossequio alle origini della sword and sorcery, al suo spirito originario e al modello di Howard, ormai divenuto canone, i protagonisti che ho selezionato devono essere o guerrieri o ladri/guerrieri, cioè uomini capaci di farsi valere quando le spade si incrociano: ho quindi scartato ogni altro archetipo, soprattutto quando questi personaggi si dilettano di magia, per le ragioni già esposte.

4) Ulteriore eredità dei primi, gloriosi tempi della sword and sorcery e dei suoi protagonisti, l’eroe deve inoltre essere solitario, capace di usare tanto i muscoli quanto il cervello, ed avere un suo codice morale: il modello di riferimento è chiaramente Conan. Ho ammesso alcune leggere deviazioni, come l’associarsi con un altro avventuriero per compiere una determinata incursione, solitamente il contenuto di un singolo racconto o la leggera preminenza degli uni (i muscoli) sull’altro (il cervello): per questa ragione però ho dovuto escludere – a malincuore – Fafhrd di Fritz Leiber, dal momento che fa coppia fissa col Gray Mouser.

5) Come ho affermato sopra, la sword and sorcery è un genere maschile, forse il più maschile che ci sia assieme all’hardboiled poliziesco e in parte al western, con cui condivide molti temi: per questa ragione i protagonisti devono essere uomini, punto.
Anzi: maschi. Niente protagoniste femminili né recriminazioni da femminismo di terza o addirittura quarta generazione: la sword ad sorcery è uno degli ultimi angoli rimasti all’uomo tradizionale per rinfrancarsi dall’aperto disprezzo che la società moderna gli riversa addosso e ricaricarsi dalle fatiche del giorno.
E tale deve restare.

6) Anche se temi e ambientazioni si assomigliano e spesso si sovrappongono, la sword and sorcery non è la planetary romance: entrambe hanno infatti una collocazione ben precisa ma profondamente differenti l’una dall’altra.
La S&S è una sorta di romanzo storico, ambientato in un’alba del mondo – il nostro mondo! – così lontana che se ne è perso il ricordo; il romanzo planetario invece, come suggerisce l’etichetta, è ambientato su un altro mondo e presuppone quindi l’esistenza di un universo e del modo di viaggiare di pianeta in pianeta.
La planetary romance inoltre esibisce un protagonista di origine terrestre (non indigeno quindi) contemporaneo alla pubblicazione dell’avventura, include storie di baci (anzi, per lo più ruota attorno alle storie di baci) e fa sfoggio di gingilli supertecnologici: è quindi più fantascienza che fantasy e come tale estranea all’argomento di questa classifica. Perciò ho dovuto escludere dalla lista anche i suoi protagonisti, come John Carter di Marte, nonostante la forte tentazione di includerlo.
Tuttavia ho comunque ammesso piccole deviazioni all’ambientazione S&S standard: perché cambia poco se la trama ruota attorno ad un manufatto «magico» che in realtà è un apparecchio tecnologico risalente ad una colonizzazione del pianeta così antica che nessuno la ricorda più, purché questo mondo alieno sia indistinguibile da una terra antidiluviana che conosce la magia ma non la tecnologia (gingillo di cui sopra a parte) e purché questo apparecchio non abbia alcuna funzione pratica a parte mettere e tenere in moto gli eventi. Che poi si tratti della terra all’origine della creazione o di un’altra terra sconosciuta fa poca differenza quando i luoghi, i personaggi e gli eventi sono tutti di fantasia.

7) Per la stessa ragione, niente science fantasy, che sta a cavallo tra sword and sorcery e planetary romance: quindi non solo il protagonista deve essere indigeno del mondo ma non deve nemmeno esserci una tecnologia autoctona troppo avanzata, come armi laser o altri congegni che sanno di superscienza o scienza progredita. Qualche diavoleria è permessa, per la citata terza legge di Clarke (come il gingillo al quale ho fatto riferimento al punto precedente), ma le sue proprietà, applicazioni e soprattutto il suo impiego devono restare sullo sfondo, sfocate.

Fissati questi criteri, il lavoro di selezione non è stato più facile ma ha seguito un binario meno arbitrario.

E finalmente, la classifica!
Segue dunque la classifica dei migliori dieci personaggi della sword and sorcery annunciata nel titolo: non tutti sono stati tradotti in italiano e, di quelli tradotti, non tutte le avventure sono state pubblicate anche nel nostro paesucolo. Quando mi è stato possibile (o ne valeva la pena) ho incluso alcuni riferimenti bibliografici per reperire le edizioni nostrane dei volumi in cui sono apparsi.
Per tutti ho aggiunto l’anno e la rivista (o, in certi casi, il libro) della prima apparizione, oltre all’avventura che reputo più rappresentativa o meglio riuscita: quando l’ho ritenuto necessario, ho citato anche un secondo racconto che, pur inferiore al precedente, riesce comunque godibile.
Tre degli autori possono vantare la paternità di due dei dieci eroi ciascuno: uno, Gardner F. Fox, arriva addirittura a tre includendo anche uno dei personaggi scartati dalla classifica finale ma citati tra le menzioni speciali, una sorta di appendice alla lista in cui spiego brevemente le ragioni per cui sono rimasti esclusi sia molti dei personaggi più conosciuti – quelli che tutti si sarebbero aspettati di trovare inclusi – sia altri per lo più sconosciuti che hanno fallito per poco l’ingresso in classifica.

1) Brak il barbaro (John Jakes)
Prima apparizione: Fantastic Stories of Imagination, maggio 1963
Ho un debole per Brak il barbaro, si sa: l’ho dichiarato già nell’apertura della recensione alla prima raccolta delle sue avventure, che non sono nulla di speciale ma riescono particolarmente gradevoli, soprattutto i racconti. I romanzi – tre in tutto – sono invece oltremodo noiosi e pesanti: così noiosi e pesanti che riescono a sprecare ottime idee ed ambientazioni avvincenti come serpenti giganti, una carovana nel deserto e persino il conflitto tra le statue giganti rianimate di due dei (la recensione è pronta da tempo e la pubblicherò presto), che dei tre però offre ancora la storia migliore.
Non senza motivo ritengo che Brak sia il migliore dei tanti «clonan» apparsi soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, ossia all’indomani della riscoperta di Conan, dei disastri editoriali compiuti da De Camp e Carter con i frammenti lasciati da Howard e soprattutto delle evocative illustrazioni di Frank Frazetta, che più di chiunque altro ha dato forma all’eroe per antonomasia della sword and sorcery. Brak infatti non solo riesce subito simpatico ma corrisponde anche a tutti i requisiti elencati sopra: è un guerriero seminudo, cacciato dalla sua tribù di barbari del nord per empietà verso gli dei, che si è dato un obiettivo personale, ossia raggiungere la calda Khurdisan, da qualche parte nel sud (che non raggiungerà mai però, dal momento che Jakes è morto alcuni anni fa e da oltre quarant’anni non pubblicava più avventure di Brak). Del conflitto tra Bene e Male non si interessa, né si preoccupa di sanare i tanti torti che incontra lungo la strada, a meno che non sia costretto.
Salvo piccole e trascurabili eccezioni (ad esempio liberare da un albero carnivoro uno sconosciuto – irriconoscente – che incontra sulla sua strada), non si getta all’avventura per capriccio o per rimediare alle ingiustizie ma lo fa solo per cavarsi dai guai in cui si trova suo malgrado, o per fare fronte comune ad una minaccia troppo grande per un uomo solo o ripagare un debito di riconoscenza, perché ha quel forte codice d’onore di cui un eroe della sword and sorcery, per essere tale, deve essere dotato.
Le sue storie tuttavia sono tutt’altro che perfette: i tre romanzi infatti sono lenti e noiosi, e fanno un cattivo servizio sia all’eroe sia alla S&S; molto meglio i racconti brevi, anche se alcuni sono chiaramente dei riempitivi. Jakes poi abusa un po’ troppo dell’espediente del «colpo violento alla testa che stordisce invece di uccidere» (in «Sangue di strega» lo impiega ben quattro volte…) e, per riuscire a gestire la trama, a volte sembra togliere la volontà al suo eroe per tramutarlo in un pacco postale che viene scodellato qua e là dagli altri personaggi: ma tutti questi inconvenienti sono presenti soprattutto nei romanzi, dove l’autore deve appunto allungare la minestra per raggiungere un tot di pagine.
Va però osservato che almeno i primi due romanzi, pubblicati entrambi nel 1969, sono sicuramente stati influenzati da Lin Carter, che era tutto tranne che un buono scrittore: nella prefazione alla seconda edizione di «Thongor and the Wizard of Lemuria», che è dello stesso anno, Carter ringrazia infatti i fan che gli hanno scritto per congratularsi del libro (la prima edizione è del 1965) e ne cita alcuni, tra cui appunto un certo John Jakes. Così si spiegherebbe anche il calo stilistico – diciamo pure la sciatteria – di queste due avventure rispetto alle altre storie di Brak: Jakes si è ispirato a Carter e l’effetto è subito evidente.
Dispiace che il ciclo di Brak non abbia ricevuto quell’epilogo che si sarebbe meritato, con l’arrivo a Khurdisan che, magari, l’eroe scopre non essere affatto quel paradiso in terra che credeva ma un postaccio degradato, con gli infiniti spunti per nuove avventure che ne derivano: purtroppo possiamo solo sognare, e sperare che a nessuno – soprattutto a qualche creativo della televisione – venga in mente di rispolverare il personaggio, ora che non c’è più Jakes a difenderlo. Nessun personaggio di fantasia merita un simile castigo.
Lettura essenziale: Storm in a Bottle, 1973; pubblicato anche in italiano col titolo di «Tempesta in bottiglia» nella raccolta «Maghi e guerrieri», 1981 (Fanucci).
Lettura consigliata: Devils in the Walls, 1963 (il racconto d’esordio).

2) Kardios di Atlantide (Manly Wade Wellman)
Prima apparizione: Swords Against Darkness 1 (antologia), 1977
Kardios è un altro personaggio che riesce subito simpatico: allegro, spensierato, tutt’altro che violento (alla fine della sua carriera avrà ucciso solo mostri e dei, e perché costretto), l’esule atlantideo è un poeta e guerriero che di quando in quando intercala semplici canti con l’accompagnamento della sua cetra. Dal momento che non è mai apparso in riviste ma solo in antologie dalle copertine generiche, è l’unico dei personaggi qui elencati di cui non esistono rappresentazioni visive: perciò vi esorto ad usare usate la fantasia per raffigurarvelo, che è sempre meglio.
Kardios è un eroe unico: detiene infatti l’imbattibile primato di aver condannato da solo Atlantide alla distruzione. Gli è bastato baciarne la regina, dietro suo ordine, per sollevare le onde del mare, in ossequio ad un’antica profezia che metteva appunto in guardia da un simile sacrilegio. Unico superstite del disastro, approda dapprima sulla spiaggia di una terra abitata da pacifici giganti, che aiuta a liberarsi da un grosso problema, poi si avventura nell’interno del continente, dove vive avventure molto particolari: sveglio, capace e pronto, pensa prima di tutto a cavarsi dai guai e poi, già che c’è, a mettere in salvo anche chi gli si è mostrato amico.
I primi quattro racconti sono pubblicati nella serie di antologie «Swords Against Darkness» (che ho recensito qui), il quinto – che è anche il più deludente, ed uno dei due tradotti in italiano – in un’altra raccolta mentre il sesto, uscito poco prima della morte dell’autore, che così ha voluto dare una conclusione al breve ciclo del suo riuscitissimo personaggio, continua a sfuggirmi: la storia d’esordio tuttavia è anche migliore, e la successiva è solo di poco inferiore (ma il calo è ripagato dalla sottile ironia della trama); la qualità dei successivi va via via scemando fino al quinto che, privo di tutti gli elementi che avevano reso così gradevoli il personaggio e le storie precedenti, è anche il meno appassionante.
Lettura essenziale: Straggler from Atlantis, 1977 (il racconto d’esordio), pubblicato anche in italiano col titolo di «L’esule da Atlantide» nella raccolta «Giganti. I magici mondi di Asimov 1», 1987 (Fanucci).
Lettura consigliata: The Dweller in the Temple, 1978

3) Kyrik (Gardner F. Fox)
Prima apparizione: Kyrik: Warlock Warrior (romanzo), 1975
Kyrik è il primo, e meglio riuscito, di ben tre personaggi di Fox tutti simili inclusi in questo elenco: due in classifica (l’altro è Niall dei Lunghi Viaggi, al settimo posto), il terzo tra le menzioni speciali (Kothar).
Confesso che il primo approccio con Kyrik è stato negativo: il romanzo d’esordio, «Kyrik: Warlock Warrior» (tradotto in italiano: «Il guerriero stregone», 1991, Urania Fantasy) è un libraccio senza senso. Kyrik stesso è privo di personalità, uno spaccone lussurioso che in combattimento fa quello che vuole perché l’autore glielo permette: non ha doti particolari a parte una fame smodata, è solo forte e muscoloso, e non sembra avere quell’intelligenza e quella marcia in più che contraddistinguono il buon protagonista della sword and sorcery. A questo proposito fa sorridere la noterella che campeggia su tutte le copertine delle sue storie: «In the tradition of Conan». Perché di Conan, a parte i muscoli, non ha davvero niente.
Nei romanzi successivi tuttavia via via migliora e diventa non solo un buon personaggio ma anche un buon esempio di eroe da S&S, sia pure leggermente paraculato, se mi si passa il francesismo: è infatti protetto da una dea, Illis, che lo ama sopra ogni cosa ed è pronta ad aiutarlo in ogni circostanza, memore di un rapporto di passione che era esistito tra loro un millennio prima, cioè prima che Kyrik venisse tramutato in una statuetta.
Riportato in vita da una strega che decide di aiutare per riconoscenza, e per vendicarsi dell’antagonista che l’aveva tramutato in un’opera d’arte, alla fine del romanzo d’esordio Kyrik decide di affidare il governo di Tantagol, la città di cui un tempo era re, alla strega e ad un reggente per dedicarsi interamente all’avventura: per lui infatti non c’è differenza tra combattere un demone e servirne un altro, sterminare una banda di predoni ed eliminare tutti i componenti di una carovana per saccheggiarla, farsi la sua zingara Myrnis e portarsi a letto un demone che ha assunto l’aspetto di una splendida donna. In questo è un personaggio da manuale, perché mette sempre se stesso davanti a tutto e ciononostante finisce per fare sempre la cosa giusta.
Ha anche una spada magica, Bluefang, che lo salva in diverse circostanze.
Lettura essenziale: Kyrik and the Wizard’s Sword (romanzo), 1975.

4) Thongor (Lin Carter)
Prima apparizione: The Wizard of Lemuria (romanzo), 1965
Lin Carter era un pessimo scrittore, su questo non ci piove: le sue storie infatti non si distinguono dalla fan fiction, che non è certo un invito alla lettura.
Ma Carter era anche un pozzo di idee, spesso copiate o riciclate dai maestri ai quali si ispirava, o che copiava spudoratamente: e per quanto non si facesse scrupolo di tirare per le lunghe – interi capitoli, non alcune pagine! – le sue trame debolucce e prevedibili né di riciclare idee e intrecci, solitamente riusciva a scrivere storie moderatamente godibili, o per lo meno leggibili. A volte persino buone.
Nonostante tutte le sue debolezze come scrittore, ho un debole per Carter e le sue storie, come dimostra l’affezionata lettura dei primi cinque volumi della serie di Jondar of Callisto – che ho iniziato a recensire qui – e di parte delle vicende di Thongor, il barbaro valkarthiano che è l’eroe sword and sorcery della scuderia carteriana: solo parte, perché dei sei volumi di cui si compone la serie principale (incompleta) sono arrivato a leggerne solo tre, più tutti i racconti brevi. Non ho invece letto, né mai lo farò, le storie scritte da Robert Price, il curatore della sua eredità, che ha preso in mano gli appunti lasciati da Carter alla morte e li sta trasformando in nuove avventure del barbaro valkarthiano. Che però sono spurie, non autentiche, e quindi hanno lo stesso sapore delle «collaborazioni» degli anni Sessanta tra De Camp, lo stesso Carter e Howard, che però era morto suicida trent’anni prima.
Per venire a Thongor, che dovrebbe essere il nostro vero interesse, si tratta di una copia ipervitaminizzata di Conan: è un barbaro della fredda Valkarth, a nord ovest del continente di Lemuria all’alba dei tempi. Qui gli umani, per millenni schiavi dei re sacerdoti rettiliani, si sono ribellati e dopo aver fatto scempio dei loro vecchi padroni, costringendo i superstiti a cercare rifugio nelle profondità della terra, hanno costruito alcune splendide città in mezzo alla giungla lussureggiante dello scomparso continente: i mammiferi e gli animali a sangue caldo sono ancora una rarità e così la maggior parte delle creature sono rettili; in altre parole, dinosauri enormi, aggressivi e pericolosi.
Thongor stesso è un giovane mercenario che per una scommessa si mette nei guai con i suoi superiori e deve darsi alla fuga: inizia così una serie di eventi – i sei romanzi del ciclo principale sono collegati l’uno all’altro in sequenza cronologica: dove finisce l’uno inizia l’altro – che nel giro di alcuni anni lo porteranno a fondare un impero conquistando il trono delle principali città lemuriane, a cominciare da Thurdis, Patanga e Shembis. Oltre al suggestivo scenario – chi non impazzisce per le foreste popolate da dinosauri grandi e grossi e famelici? – l’autentica particolarità dell’ambientazione ruota attorno alle navi volanti realizzate in urlium, un metallo più leggero dell’aria (che però l’energia elettrica, ad esempio quella di un fulmine, può temporaneamente disattivare): nella sua fuga iniziale Thongor ruba il prototipo di questa nave volante e così dà il via ad una serie di eventi che richiedono proprio l’uso di un mezzo volante per la loro risoluzione; e anche nelle avventure seguenti ne farà abbondante uso, sino ad armarne un’intera flotta.
Riguardo alla natura di queste navi volanti ritengo che siano ancora nel territorio del fantasy: sono infatti apparecchi a cavallo tra tecnologia e magia, perché se è vero che si tratta di navi con eliche, quindi azionate da un qualche tipo di motore, è anche vero che, primo, non viene mai rivelata la natura – meccanica o magica – di questi motori e che, secondo, il magico urlium ha appunto tutto il sapore di un espediente narrativo non dissimile dalla magia.
Date le premesse, ci si chiederà perché Thongor occupi una posizione così alta in classifica se le sue storie sono nel migliore dei casi decenti e lo stile di Carter fa rimpiangere il peggior pubblicitario televisivo. La risposta è molto semplice: perché, lo ammetto, sono di parte. Il ciclo di Thongor ha ispirato il mio gioco di ruolo preferito, Barbarians of Lemuria, e, anche se per le mie sessioni ho costruito un’ambientazione mia personale, quando consulto l’agile manuale (uso ancora la Legendary Edition: non sono voluto passare alla Mythic, che complica inutilmente troppe regole) non fatico a riconoscere luoghi, popoli e personaggi delle sue storie.
Le storie di Thongor offrono quindi un buon esempio di sword and sorcery in primo luogo perché sono cariche d’azione: Thongor stesso, quando si mette in moto, è una macchina da guerra. Da solo può tenere a bada decine di avversari, a meno che la trama non richieda la sua uscita di scena, ed allora interviene il provvidenziale colpo violento ma non letale alla testa che lo manda ko e ne permette la facile cattura.
Ma, al di là di questo, Thongor come personaggio, isolato cioè dalle storie di cui è protagonista, è un personaggio gradevole, abbastanza capace anche se sbilanciato più sul lato dei muscoli e della forza bruta che ben bilanciato tra muscoli e cervello come il barbaro leggendario sul modello del quale è stato costruito. E poi, come abbiamo visto, ha il merito di aver contribuito ad ispirare John Jakes nella creazione del suo barbaro, Brak, come tradisce la citata noterella nella prefazione alla seconda edizione di «The Wizard of Lemuria».
Quanto al racconto d’esordio, The Wizard of Lemuria, il mio consiglio è di cercarlo e leggerlo non solo perché offre davvero un bellissimo spaccato di sword and sorcery ma anche perché può essere letto come opera a sé stante («standalone»): è in sostanza una sequenza di quest in cui Thongor è chiamato ad assistere il mago titolare nella creazione di una superspada che servirà per sconfiggere il re degli uomini serpente, deciso ad evocare un demone che metterà fine al nostro mondo. Per carità, niente di speciale, ma la storia scorre liscia e rilassante come una bella doccia calda.
A proposito: avete notato con quale frequenza appaiano maghi e Lemuria nei titoli della sword and sorcery?
Lettura essenziale: The Wizard of Lemuria, 1965 (romanzo).
Lettura consigliata: The City in the Jewel, 1975 (racconto); pubblicato anche in italiano col titolo di «La città nella gemma» in ben quattro raccolte: «Fantasy», 1985 e 1996 (Editrice Nord); «Fantasy», 1988 (Euroclub); «Fantasy inverno 1992» (Fantasy Mondadori).

5) Hok (Manly Wade Wellman)
Prima apparizione: Amazing Stories, gennaio 1939
Hok è il secondo eroe di Wellman ad apparire in questa classifica: a dimostrazione delle abilità narrative di questo autore prolifico ma poco noto in Italia, non si tratta di una semplice copia del più tradizionale Kardios come ci si aspetterebbe ma di un personaggio dalle caratteristiche completamente differenti. Un autentico pezzo unico perché, pur corrispondendo ai sacri crismi della S&S, conserva anche un’identità propria, indelebile nella memoria del lettore, che lo differenzia da ogni altro eroe di questo genere letterario.
Lo dichiara già la sua provenienza preistorica: nella prima avventura, «Battle in the Dawn», Hok si presenta infatti come un homo sapiens che lotta assieme al suo clan per strappare un territorio di dimora e caccia ai Neanderthal, che qui vengono chiamati «Gnorrl».
Ma l’ambientazione preistorica si diluisce già nel secondo racconto, «Hok Goes to Atlantis», che con l’Atlantide della tradizione ha poco a che fare, dal momento che la cittadina in questione si chiama soltanto Tlanis (d’accordo, il nome ricorda Atlantide per assonanza ma non è Atlantide), non possiede alcuna flotta ed anzi si arrocca sul versante orientale, asciutto, della cresta che, in epoca preistorica, ancora divideva l’oceano Atlantico dalla valle che sarebbe poi diventata il Mediterraneo. Lo divideva, almeno, prima dell’arrivo di Hok, le cui azioni porteranno in meno di ventiquattr’ore al franamento della cresta, alla distruzione di Tlanis, all’alluvione della valle e alla creazione del Mediterraneo.
E nel terzo racconto Hok si trova a fronteggiare persino degli invasori marziani, prima di tornare ad una dimensione più casereccia, a cavallo tra preistoria e fantasia, con le avventure successive: il mondo di Hok sembra davvero un luna park.
Hok stesso è un bel personaggio, dotato di un fisico possente e di un’intelligenza che farebbe invidia all’italiano medio, se solo fosse in grado di rendersene conto; e poi del consueto codice morale che lo rende migliore dei suoi avversari («non uccido mai se non in battaglia o per procurarmi il cibo», dichiara. Si confronti questa affermazione con le vuote minacce di uno dei suoi avversari: «Non credo che ridurrò in schiavitù il tuo popolo. I miei uomini uccideranno tutti e poi prenderanno possesso delle vostre terre») e di armi di pietra con le quali però è più letale dei suoi nemici, anche di quelli meglio armati: a Tlanis entra in possesso addirittura di una mazza la cui testa è un enorme diamante, che lo rende probabilmente il guerriero più ricco di ogni epoca, se solo sapesse cosa farsene della ricchezza. Per lui è solo una bella mazza, e pure efficace.
Nonostante l’insolita ambientazione preistorica, la sword and sorcery c’è tutta, o meglio ci sono tutti i suoi elementi caratteristici: il guerriero solitario, l’azione costante, il mondo ai suoi albori, ed un genuino sense of wonder che, certo, non è una prerogativa del fantasy eroico ma è comune a tutto il genere fantastico. E sicuramente rappresenta una boccata di aria fresca rispetto all’ambientazione tipica della S&S.
A ulteriore dimostrazione della mente frizzante di Wellman, si tenga infine presente che tutto questo avveniva già alla fine degli anni Trenta, quando cioè il genere era ancora giovane e cercava di trovare non solo una sua identità ma anche un autore capace di ovviare alla scomparsa del suo creatore e massimo rappresentante.
Lettura essenziale: Battle in the Dawn, 1939.
Lettura consigliata: Hok Goes to Atlantis, 1939.

6) Duar il Maledetto (Clifford Ball)
Prima apparizione: Weird Tales, maggio 1937
C’è stato un periodo, breve, subito dopo la morte di Howard in cui si è pensato che Clifford Ball potesse prenderne in mano l’eredità. Tuttavia dopo aver pubblicato una manciata di racconti di qualità assai inferiore a quelli del maestro, appena sufficienti a riempire il vuoto, Ball è letteralmente scomparso: dapprima, allo scoppio della guerra, si è infatti arruolato nell’aviazione americana – sospendendo al tempo stesso l’attività letteraria – e poi, congedatosi finalmente nel settembre 1946, è morto annegato appena pochi mesi più tardi, nel gennaio 1947, all’età di soli 38 anni.
Della sua breve carriera letteraria rimangono due personaggi marginali ma abbastanza rappresentativi della sword and sorcery, entrambi inclusi in questa classifica: il primo è Duar il Maledetto, protagonista di un’unica storia che però è un concentrato «light» dei temi della S&S. Come Kyrik, anche Duar è protetto dallo spirito di un’antica sacerdotessa che cerca di risvegliare lo spirito del grand’uomo che fu un tempo lontano: per intanto Duar è solo un barbaro dotato di molto coraggio, perché rapisce una regina per farsi accompagnare in una certa torre dalla quale nessuno ha mai fatto ritorno, dove intende rubare l’enorme rubino che si dice vi sia custodito, ma che in realtà è il cuore di un demone ancora molto attivo.
La storia non è male, ha atmosfere conanesche e tenta davvero di presentare un eroe che prenda il posto di Conan: si nota il tentativo di riempire il vuoto lasciato da Howard l’anno precedente ma, nonostante la buona atmosfera ed il personaggio riuscito, sia pure leggermente paraculato, Ball non è Howard e Duar non è Conan. È però un buon eroe, preso a sé.
Lettura essenziale: Duar the Accursed, 1937; pubblicato anche in italiano con tre diversi titoli: «Duar il Maledetto», nelle raccolte «Di nuovo Weird Tales», 1985 (Fanucci) e «Il grande libro della heroic fantasy», 1998 (Nord); «La rosa di Gaon», nella raccolta «Il meglio di Weird Tales 23», 1990 (Fanucci); «Il vampiro della torre nera», nella raccolta «Storie di vampiri», 1994 (Newton e Compton).

7) Niall dei Lunghi Viaggi (Gardner F. Fox)
Prima apparizione: The Dragon (rivista Tsr), marzo 1976
Niall dei Lunghi Viaggi è l’altro personaggio di Fox a comparire in questa classifica: è un clone di Kyrik e di Kothar, dai quali si distingue per piccoli dettagli che lo rendono leggermente più umano, nel senso di un eroe comune, un avventuriero, e non una montagna di muscoli fatta su misura per il combattimento, anche se in battaglia non è secondo a nessuno.
Ma i luoghi comuni cari all’autore non mancano, perché anche qui l’eroe viene assistito dallo spirito di un demone: anzi, della regina dei demoni, Emelkartha (poi Emalkartha, con la a), che viene dapprima soccorsa da Niall quando è ancora in forma umana e poi, catturata e sacrificata dallo stregone malvagio per le sue empie pratiche, decide di associarsi all’eroe come spirito guida. Già dalla seconda avventura l’attenzione si sposta sul confronto costante contro dei, esseri soprannaturali ed i loro agenti umani: il centro delle avventure è la città di Urgrik, dei cui eserciti Niall diventa presto il comandante, anche se il legame con la città e la sua politica è molto labile.
Niall è il protagonista di dieci storie pubblicate tutte tra il 1976 ed il 1981 su Dragon, la rivista della Tsr: solo una di esse è apparsa su un suo supplemento, Dragontales. Come tale, l’eroe costituisce materiale di prima mano come ispirazione per i giochi di ruolo, ed in primo luogo Dungeons and Dragons: e appunto la caratterizzazione di Niall come avventuriero agevola questa funzione.
L’ultimo racconto, «The Coming of the Sword», è una sorta di storia delle origini: spiega come Niall, qui diciassettenne, sia diventato «dei Lunghi Viaggi» e come abbia messo le mani su Blood-drinker, la sua spada.
Lettura essenziale: Shadow of a Demon, 1976; tradotto anche in italiano con il titolo di «L’ombra del demone» nella raccolta «Fantasy estate 1994» (Fantasy Mondadori).
Lettura consigliata: The Coming of the Sword, 1981.

8) Rald il ladro (Clifford Ball)
Prima apparizione: Weird Tales, luglio 1937
Rald il ladro, protagonista di due storie molto differenti tra loro, è l’altro personaggio ideato da Clifford Ball all’indomani della morte di Howard: non è all’altezza dei protagonisti del maestro ma se la cava.
Sono soprattutto i temi delle due storie di cui è protagonista a salvare Rald: perché nella prima accetta di compiere una missione per un mago dal quale viene tradito, e si trova al centro di un complotto con un epilogo melodrammatico, che più di ogni altro sintetizza i gusti degli anni Trenta; e nell’altro è invece al centro di un’avventura che riguarda civiltà isolate, sacerdoti manipolatori e creature magiche e misteriose, sempre con una punta stucchevole che tanto piaceva ai lettori dell’epoca.
Come per Duar, anche Rald merita di essere riscoperto soprattutto per una ragione: perché mostra il tentativo degli autori e delle riviste della seconda metà degli anni Trenta di trovare un successore capace di colmare il vuoto lasciato da Howard, e quanto fosse difficile trovare qualcuno che gli fosse almeno pari.
Lettura essenziale: The Thief of Forthe, 1937 (il racconto d’esordio).
Lettura consigliata: The Goddess Awakes, 1938.

9) Malkar (E.C. Tubb)
Prima apparizione: Witchcraft & Sorcery, 1973
Il merito principale di Malkar è di essere la versione fantasy di Earl Dumarest, il protagonista del ciclo più famoso di Tubb, quello di Dumarest of Terra appunto, che però è fantascienza. Le appena trentatré storie che compongono la lunga serie del «traveler» – dal quale ancora negli anni Settanta ha preso il nome il primo gioco di ruolo fantascientifico – trasudano sword and sorcery pur senza esserlo, perché si tratta di romanzi planetari nei quali tutti gli ammennicoli fantascientifici servono per lo più come espedienti narrativi: ed infatti ciò che fa e riempie le storie è il suo straordinario protagonista, Earl Dumarest il viaggiatore, uomo dal multiforme ingegno capace di cavarsela in ogni situazione, grazie anche alla rapidità letale con cui maneggia il suo pugnale.
E proprio su Dumarest è stato modellato Malkar, che ne è la trasposizione fantasy o, meglio, sword and sorcery: come il suo archetipo non è solo abilissimo nell’uso del coltello – che pure porta infilato nello stivale e sa scagliare con una precisione micidiale – ma è anche di poche parole, magnetico e freddamente pratico; ciononostante, è legato ai suoi compagni da un legame sincero che supera la semplice amicizia ed ispira anzi la lealtà ed il cameratismo, frutto appunto di un codice morale semplice ma rigoroso.
Malkar è il protagonista di due racconti brevi completamente differenti l’uno dall’altro per ambientazione, tono e trama e di un romanzo, «The Sleeping City», che si collega direttamente al primo racconto ma è introvabile se non a prezzi assurdi, e che quindi mi rammarico di non aver potuto leggere.
La prima storia, «The Death God’s Doom», trasuda sword and sorcery da ogni goccia di inchiostro: ci sono i cultisti malvagi, il dio ancora più crudele, la strega reincarnata, la regina posseduta, il giudizio negativo della magia, l’empietà verso i morti, le scene d’azione mozzafiato ed alcuni colpi di scena che nell’insieme rendono la storia se non proprio originale – è difficile esserlo quando si devono rispettare dei criteri così rigidi come quelli imposti dalla sword and sorcery – almeno vivace e abbastanza imprevedibile da riuscire gustosa: lo stile freddo, essenziale, quasi nichilista della narrazione è lo stesso impiegato da Tubb nelle avventure di Dumarest e contribuisce quindi a creare quel legame tra i due personaggi di cui si è già parlato.
La seconda storia, «Sword in the Snow», è invece inferiore alla precedente, un riempitivo che da un lato ricicla l’espediente del vampiro alla Shambleau della Moore (e io detesto i vampiri, di qualsiasi tipo) ma dall’altro contribuisce a rafforzare l’identificazione tra Malkar e Dumarest.
Lettura essenziale: The Death God’s Doom, 1976 (il racconto d’esordio).

10) Prester John (Norvell W. Page)
Pima apparizione: Unknown, giugno 1939
Ok, ammetto di aver denigrato Prester John nella mia recensione a «Venti di fuoco», dove l’ho definito un trombone extralarge: ma, a conti fatti, è un buon esempio di eroe S&S, nonostante la sua predilezione per l’arco, che non è un’arma così maschia come una spada, o un’ascia.
Per emendare, non mi dilungherò troppo a parlare di Wan Tengri (l’altro nome impiegato dal protagonista): rimando invece alla citata recensione. Con un unico avvertimento: sono stato un po’ troppo severo nel giudizio, perché ad una rilettura la storia mi è sembrata sì confusa e senza capo né coda ma, se non si guarda troppo per il sottile, offre anche un buon esempio di sword and sorcery.
Rispetto a ciò che scrivo nella recensione, ho infine trovato «Sons of the Bear-God», il seguito di «Fire Winds», ma non ho ancora avuto l’occasione di leggerlo.
Lettura essenziale: Fire Winds, 1939 (romanzo); pubblicato anche in italiano col titolo di «Venti di fuoco» nella raccolta «Alla corte degli eroi», 1980 (Mondadori).

Le altre menzioni
Fin qui ho parlato dei dieci migliori eroi della sword and sorcery: ma, come ho già affermato, ho preso in considerazione un gran numero di personaggi per arrivare a compilare questa classifica.
Di seguito commento quindi i più noti tra gli esclusi, e le ragioni per cui ho deciso di tenerli fuori.

– Conan e gli altri personaggi di Howard
Qui la ragione è semplice: sarebbe stato come rubare in chiesa. Un personaggio anche mediocre di Howard è migliore della maggior parte dei protagonisti ideati da qualsiasi altro autore, anche quelli di prima fascia. Per cui sarebbe stato un elenco monotematico, e poco utile per scoprire la sword and sorcery, o ampliare le proprie conoscenze sul genere.
A chi si sta avvicinando ora a questo genere letterario consiglio vivamente di prendere in mano una raccolta qualsiasi dei racconti di Howard (ne ha pubblicati oltre quattrocento nella sua breve carriera) ed in particolare quelli di Conan (prima apparizione: Weird Tales, dicembre 1932), Solomon Kane (prima apparizione: Weird Tales, agosto 1928), Kull (prima apparizione: Weird Tales, agosto 1929), Cormac Fitz Geoffrey (prima apparizione: Oriental Stories, aprile 1931) e, per quanto non sia proprio un suo appassionato, Bran Mak Morn (prima apparizione: Weird Tales, gennaio 1927), oltre all’ottimo «Shadow of the Vulture» (Magic Carpet, gennaio 1934).

– Vari personaggi di Clark Ashton Smith
Smith è senza dubbio uno dei migliori autori fantastici degli anni Trenta: il suo stile floreale rallenta magari la lettura ma costruisce delle ambientazioni così suggestive che se ne sentono quasi i profumi. Il suo vero interesse infatti è rivolto più verso le sensazioni che le situazioni: per questo impiega un gran numero di personaggi che solitamente appaiono un’unica volta, con rare eccezioni.
Perciò è difficile isolare un personaggio o un altro – anche loro sono semplici espedienti narrativi impiegati dall’autore per raggiungere il suo fine sensoriale – ma tutti assieme costituiscono un campionario vario e gradevolissimo della migliore sword and sorcery: rimando soprattutto alle storie ambientate su Zothique, l’ultimo continente della terra; ad Hyperborea, ossia la terra di un’epoca preistorica; ad Averoigne, più rinascimentale; e a Poseidonis, che di tutte è l’ambientazione più debole.
Per approfondire Smith rimando alla classifica dei suoi migliori dieci racconti e alla breve guida a tutti i suoi cicli che ho pubblicato diversi anni fa.

– Elak di Atlantide (Henry Kuttner)
Prima apparizione: Weird Tales, maggio 1938
Nell’ambito della sword and sorcery, Elak di Atlantide viene spesso paragonato a Conan e agli altri personaggi di Howard: ma è un confronto forzatissimo, perché sarebbe come paragonare il vin santo all’aceto. Elak non vale nemmeno una frazione di un qualsiasi personaggio howardiano, e meno ancora di Conan, perché manca di personalità, le sue storie sono binariate e Kuttner stesso fatica a gestirne l’intreccio: se non fosse il coccolo dei recensori che è, di Kuttner si direbbe chiaramente che era un pessimo autore, sopravvalutato. Persino peggiore di Carter, che almeno qualche pregio lo aveva.
Kuttner ha iniziato la sua carriera di scrittore nel 1936 con un racconto – decente, questo sì: anzi, decisamente terrificante – collegato alle storie di Lovecraft, «I ratti del cimitero»: successivamente si è spostato verso la fantascienza, che rappresenta anche il genere per cui è più noto. Ma, dopo l’uscita di scena di Ball, nel 1938 ha tentato di prendere il posto lasciato vacante da Howard come punto di riferimento della sword and sorcery, pubblicando appunto le prime tre delle quattro storie che compongono il ciclo di Elak, un «clonan» tra i più sbiaditi: «Thunder in the Dawn», uscito sul numero di maggio 1938 di Weird Tales, rappresenta l’esordio del personaggio ma ha il sapore della copia senza carattere.
Kuttner cerca infatti di imitare le storie ben più caratterizzate di Howard e pure di Smith ma manca sia dell’abilità narrativa del primo sia dello stile ornato ma decisamente evocativo del secondo, a dimostrazione di quanto Kuttner sia sopravvalutato: e i suoi limiti emergono chiaramente nelle storie di Elak.
Elak stesso vorrebbe essere un guerriero capace di ispirare gli alleati e tenere a bada da solo interi eserciti ma in realtà è un burattino che si toglie sempre dai guai grazie ad un inaspettato intervento esterno, che risolve pure le situazioni che lui stesso ha contribuito ad ingarbugliare: piuttosto che Conan, ricorda invece Jirel di Joiry, l’eroina della Moore (non a caso, moglie di Kuttner), con la quale condivide parecchie caratteristiche, perché l’una è capace solo di infuriarsi e perdere il controllo di sé mentre l’altro si comporta come un adolescente che si è messo in mente di fare qualcosa e non se ne lascia dissuadere.
Ed anche il risultato è lo stesso: tanto le storie di Jirel quanto quelle di Elak promettono molto ma non concludono niente. Sono solo aria fritta, riempita di eventi grandiosi che si risolvono da sé, senza che ci sia bisogno di un intervento da parte del protagonista: gli basta essere presente. Al resto pensano gli altri.
Elak quindi non incarna affatto lo spirito della sword and sorcery ma al contrario le svolge un pessimo servizio.

– Principe Raynor (Henry Kuttner)
Prima apparizione: Strange Stories, aprile 1939
L’anno successivo Kuttner ci ha riprovato con un altro personaggio: il principe Raynor, del quale do notizia solo per completezza ma come Elak manca completamente il bersaglio. Una delle due storie di cui è protagonista, «Sia maledetta la città» (Cursed Be The City, 1939), è stata tradotta anche in italiano ma non la consiglio: è un minestrone di idee presentate in maniera confusa.

– Jirel di Joiry (C.L. Moore)
Prima apparizione: Weird Tales, ottobre 1934
Si è già stabilito che la sword and sorcery è un genere letterario maschio, o almeno maschile: così un’eroina femmina appare fuori luogo, anche perché soprattutto ne tradisce lo spirito. Quando poi questa eroina è un’incapace diventa chiara la ragione per cui Jirel di Joiry viene osannata: perché in un mondo effeminato come il nostro, che ha demonizzato tutto ciò che è tipicamente maschile, serviva la risposta femminista alle schiere di protagonisti maschili della sword and sorcery, una sorta di ariete per mandare all’aria anche questo rifugio dell’uomo tradizionale.
Di Jirel non ho molto da dire, qui, perché ho già detto abbastanza nella recensione alle sue storie (sei) che ho pubblicato alcuni anni fa: certo non appartiene alla S&S, e sicuramente non può essere presa come figura rappresentativa del genere.

– Fafhrd e Mouser (Fritz Leiber)
Prima apparizione: Unknown, agosto 1939
Fafhrd ed il Gray Mouser sono un ottimo esempio di sword and sorcery, anche per merito della sottile ironia di cui fa sfoggio Leiber: tuttavia sono una coppia, due personaggi inseparabili, così legati l’uno all’altro da essere complementari.
E questo rapporto contravviene uno dei criteri fondamentali che ho applicato nella scelta: per essere rappresentativo del genere, l’eroe della S&S deve essere solitario, ed al massimo unirsi ad uno o più compagni solo per compiere quella certa avventura, in sostanza soltanto ai fini della trama di una certa storia. Non può avere un compagno fisso che sia sul suo stesso livello: e così a malincuore ho dovuto escludere dalla lista anche Fafhrd ed il Gray Mouser.

– Kothar (Gardner F. Fox)
Prima apparizione: Kothar Barbarian Swordsman (romanzo), 1969
Kothar è il terzo personaggio di Fox che ho preso in considerazione per questa classifica: ed è anche il meno attraente, una copia scialba di Kyrik, anche se è stato il primo ad essere stato pubblicato.
Per Kothar vale tutto quello che si è già detto per Kyrik: solo che invece di essere protetto è dapprima perseguitato poi assistito dall’emanazione psichica di Red Lori, una strega che ha catturato nella sua prima avventura e poi fatto rinchiudere in una gabbia nella sala del trono della regina che serviva.
Davvero, non c’è ragione di leggere Kothar quando già si è fatta la scorta di Kyrik e Niall.

– Kane (Karl Edward Wagner)
Prima apparizione: Le trame dell’oscurità (romanzo), 1970
Con Kane iniziamo a toccare un punto delicatissimo, che mi sta molto a cuore: non sopporto gli eroi che hanno poteri o capacità sovrumane. I personaggi estremamente competenti, forti, intelligenti, capaci ma ancora pienamente umani mi affascinano: al contrario, detesto quelli che sfoggiano qualche potere soprannaturale, perché ciò basta a non renderli più umani. È la stessa ragione per cui non ho mai sopportato i supereroi: è facile essere fare il brillante quando hai poteri che gli altri non hanno, né possono contrastare.
Quello che cerco è un eroe del tutto umano che possa servirmi da modello ed ispirazione, non un deviante: e Kane non solo lo è ma è anche paraculato, perché non può essere ucciso. Tutti possiamo essere guerrieri feroci quando sappiamo che, pur gettandoci nell’agone, non può accaderci niente di grave, al massimo qualche ferita che tanto guarisce in tempi record.
In più Kane è anche un mago: e, come abbiamo visto, nella S&S i maghi rappresentano quasi esclusivamente gli antagonisti perché la magia corrompe chi ne fa uso. E necessariamente un mago è o malvagio o sufficientemente ambiguo da dover essere guardato con sospetto.
Così Kane è un altro di quei casi di eroe sopravvalutato, che non merita tutta l’attenzione che gli viene dedicata.

– Elric di Melnibonè (Michael Moorcock)
Prima apparizione: The Dreaming City, 1961
Elric di Melnibonè è suppergiù sullo stesso livello di Kane: perché se da un lato non ha alcun potere speciale – anzi, è di costituzione macilenta: frutto di quel disastro letterario e narrativo che è stata la new wave con la sua decostruzione di ogni tradizione – dall’altro è anche l’ennesima reincarnazione del cosiddetto «Campione eterno» (un artifizio letterario) che continua a ripresentarsi in numerose salse nelle opere di Moorcock; ed è inoltre inseparabile dalla sua spada magica e senziente, che in battaglia prende il controllo di Elric e lo rende invincibile, con una serie di conseguenze fisiche e psichiche che però non cambiano la sostanza. Come se questo non bastasse, Elric è pure un mezzo mago, e come tale vale tutto quello che si è detto sinora sulla genia: cioè che la magia corrompe chi ne fa uso, e che un mago non può essere un protagonista di un genere così maschio come la sword and sorcery. Non lo merita.
L’unica parte affascinante delle storie di Elric sarebbe l’ambientazione originale, una società malvagia e decadente in lenta estinzione, che però lentamente svanisce sullo sfondo delle avventure successive.
Sconsigliatissimo.

– Ryre (Ramsey Campbell)
Prima apparizione: Swords Against Darkness 1, 1977
Ryre il mercenario è un altro personaggio fintamente sword and sorcery al quale fanno riferimento tutti quelli che credono di aver afferrato l’essenza della sword and sorcery: ma non si rendono conto invece che le sue storie, tutte pubblicate dapprima nella serie di antologie Swords Against Darkness e poi in una raccolta di storielle orrorifiche, Far Away & Never, sono in realtà racconti horror mascherati da fantasy a buon prezzo, perché sono statiche e fanno leva esclusivamente sulle atmosfere e sulle emozioni, costruendo un crescendo sino alla rivelazione finale.
E queste sono tutte prerogative dell’horror: la sword and sorcery ha bisogno prima di tutto di azione, della quale non c’è traccia nei racconti di Ryre.

– Khor the Wanderer (Frederic Arnold Kummer Jr.)
Prima apparizione: Fantastic Adventures, maggio 1939
Khor è un carneade della sword and sorcery, così come lo è Kummer, che prima di cimentarsi con questo genere letterario negli ultimi anni della sua vita si era guadagnato una certa reputazione come novellista e autore teatrale: il suo repertorio fantastico include storie stucchevoli e senza senso ma con tante esplosioni, città espugnate, intrighi di corte, culti malvagi e, ovviamente, sin troppi baci. La battuta finale del protagonista di «Adventure in Lemuria» sintetizza questo suo approccio: «Ho conquistato una città ma ho perduto un amico».

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