Leggere «La Legione dello Spazio» di Jack Williamson, che ho già commentato, significa risalire alle radici della fantascienza; leggerne il seguito, «Quelli della cometa» (The Cometeers, 1936), invece significa solo farsi del male, perché è una storia priva di senso, che saccheggia le parti migliori della prima avventura e le rimescola in una trama piatta, senza niente di quel senso del meraviglioso che ha fatto diventare la Legione uno dei modelli della space opera.
Un difficile adattamento
Pubblicato in quattro puntate su Astounding, dal maggio all’agosto 1936, poi riunite in volume nel 1950, «The Cometeers» è dunque lo scialbo seguito della «Legione dello Spazio», che era uscito due anni prima sempre su Astounding: in Italia la storia è arrivata nel 1953 grazie ad Urania, che rappresenta anche la prima traduzione del romanzo in un’altra lingua.
Già che siamo in argomento, il titolo originale presenta qualche lieve difficoltà di adattamento all’italiano, come dimostrano i tre titoli simili sotto cui il libro è uscito sinora: «Gli uomini della cometa», «Il popolo della cometa» e «Quelli della cometa», con quest’ultimo che è il più recente ed è stato usato anche nelle ultime edizioni. Nessuno dei tre però riesce a dare la sfumatura dell’originale: «The Cometeers» suona infatti come «I cometani» e non tradisce alcun indizio sulla loro identità o natura, mentre «popolo» e «uomini» danno l’idea – implicita il primo, esplicita il secondo – che si tratti se non di umani almeno di alieni in carne ed ossa.
Meglio quindi «Quelli della cometa» – che ho scelto come titolo per questa recensione – anche se l’immagine che forma nella mente è sempre di creature fisiche, mentre i nostri cometani sono in realtà esseri di energia che un tempo avevano sì un corpo fisico ma da epoche immemorabili l’hanno abbandonato con l’aiuto della loro scienza avanzatissima.
La cometa e i suoi abitanti
La cometa, viene rivelato già nelle prime pagine, non è proprio una cometa ma un ellissoide gigantesco e dalla forma perfetta, «come una palla da football americano», privo di coda: lungo diciannove milioni di chilometri (circa un dodicesimo della distanza media tra la terra e Marte o una cinquantina di volte la distanza tra la terra e la luna), l’astro è di colore verde, solido all’esterno ma cavo all’interno – lo si ricava per una questione di densità – ed impenetrabile agli strumenti della terra del trentunesimo secolo.
Più che un corpo celeste si direbbe un’astronave però perché, dopo essere entrato nel sistema solare, si è fermato al di là di Plutone (che, vale ricordarlo, nel 1936 era stato appena scoperto): e infatti quando i nostri eroi riusciranno a penetrare il campo di energia che lo circonda scopriranno che si tratta di una specie di sistema solare viaggiante, con un reattore atomico in forma di sole artificiale ad un fuoco ed il pianeta morto dei «cometani» all’altro; nel mezzo, uno sciame di centoquarantatré pianeti, inglobati nel guscio dell’ellissoide come combustibile per la fornace della cometa. A giudicare dalle storie della Legione, si direbbe che Williamson avesse un vero feticcio per le stelle viaggianti: già nell’episodio precedente infatti tutto ruotava attorno alla stella fuggiasca di Barnard, portata nello spazio dalle Meduse, i cattivi di quella storia.
Tornando alla nostra cometa, i suoi abitanti – gli «Aythrin» – sono esseri di pura energia o, meglio, «strutture eterne di energia specializzata»: vengono infatti descritti come masse fluttuanti formate da «una debole stella rossa avvolta in vapori dello stesso colore, come un astro scarlatto. Tre metri più in alto splendeva una stella violacea, anche questa avvolta in una nebbia ma del suo stesso colore. Il bagliore rosso sembrava caldo come un sole, quello viola aveva la freddezza dello spazio esterno». Inoltre sono capaci di diventare invisibili a volontà.
Esseri perfetti (ovviamente) ma privi di emozioni, di cui si sono disfatti quando hanno abbandonato i corpi fisici, non mangiano ma si nutrono di emozioni, che assorbono direttamente dalle vittime ancora vive: i corpi così utilizzati si seccano come disidratati e si riducono di dimensioni fino a ridursi in polvere. Perciò nella loro cometa mantengono dei greggi di creature fisiche delle varie razze cui gli Aythrin un tempo appartenevano per soddisfare la loro saltuaria fame di sensazioni.
Superfluo dire che sono malvagi oltre ogni limite, persino più delle Meduse.
Un nuovo eroe: Bob Star
Uno degli fattori che contribuiscono a rendere così poco gradevole questo libro è lo scialbo protagonista, Bob Star (nominato sempre con nome e cognome per esteso, mai solo «Bob» o «Star»), figlio di John Star, l’eroe della precedente avventura: Bobby è un ragazzino ventenne piuttosto presuntuoso e indisponente, soprattutto a causa della sua ottusità. Sin da quando era dodicenne, una matricola all’Accademia, porta con sé un terribile segreto (non poteva essere altrimenti) di cui non ha fatto parola con nessuno: è stato bullizzato dal più anziano Stephen Orco, alias Merrin, l’antagonista della storia, così malvagio da essere un collaboratore dei cometani, che poco prima della fine lo elevano di rango e lo trasformano in uno di loro, appena in tempo per farsi annientare dall’arma finale antiaythrin.
Da allora Bob cova risentimento per Orco, che aveva sfogato sul ragazzino tutta la rabbia per il suo essere il classico cocchino dell’autore: figlio di John Star, l’eroe del sistema solare, e di Aladoree Anthar, la custode di AKKA (continuo a scriverlo tutto maiuscolo come nel libro anche se non viene mai esplicitato il significato dell’acronimo), è chiaro che il nostro è destinato a diventare un personaggio di successo e Orco, che si impegna a fondo per riuscire (è l’unico ad avere voti migliori di Bob), è infastidito dal trattamento speciale riservato al giovane Star. Così una sera, presolo da parte con alcuni compagni, lo sottopone al trattamento del Confessore di Ferro, un antico strumento di tortura usato dagli antenati di Bob (lui e suo padre, vale la pena ricordarlo, sono gli ultimi eredi della famiglia regnante del disciolto impero) che pianta una lama triangolare nella fronte della vittima e trasforma la voce umana in dolore intollerabile. Ma il dodicenne Bob è più forte della tortura e non cede alle violenze di Orco, che però riesce almeno ad impiantargli un comando ipnotico: d’ora in poi Bob sarà incapace di uccidere Orco.
Oltre all’amarezza, Bob porta ancora i segni di quell’esperienza: una cicatrice triangolare sulla fronte ed un leggero mal di testa che non lo lascia mai.
Tenuto al sicuro a casa dei genitori su Phobos per diventare il nuovo custode di AKKA, Bob sfrutterà una clausola nascosta in piena vista dell’idiot plot per lanciarsi all’avventura con i tre vecchi compagni del papà ed essere così il responsabile di buona parte dei dispiaceri che stanno per piombare addosso al genere umano.
Un futuro senza telefoni
Da alcune settimane una cometa è entrata nel sistema solare e si è parcheggiata oltre l’orbita di Plutone: questo fatto, più altre osservazioni rese possibili dal telescopio, lascia pensare che non si tratti di un corpo celeste ma di un manufatto alieno. Un’astronave, in altre parole, e pure enorme: è infatti un ellissoide lungo diciannove milioni di chilometri.
Sinora i suoi occupanti non hanno fatto niente per mettersi in contatto con la terra e non hanno nemmeno risposto ai ripetuti tentativi di comunicazione da parte nostra: tuttavia, nonostante l’apparente innocuità, non devono essere ben intenzionati. Resisi in qualche modo invisibili, hanno infatti attaccato di sorpresa un’installazione supersegreta e superprotetta in cui era custodita un’informazione di cui nessuno avrebbe dovuto conoscere persino l’esistenza: il luogo in cui è detenuto un tale Merrin, nome in codice di Stephen Orco.
Questi – che, si apprenderà (e apprenderà lui stesso), è un umano generato in provetta – aveva guidato anni prima una rivolta delle lune di Giove che aveva rischiato di aver successo: mediante il solo ragionamento, Orco aveva infatti scoperto il segreto di AKKA, l’arma finale dei terrestri. Per ragioni che hanno poco senso persino nella trama insensata del libro, quest’arma può funzionare solo se il suo segreto è noto ad un’unica persona, il custode di AKKA appunto: se due o più individui cercano di attivarla allo stesso tempo semplicemente si annullano a vicenda. Così, solo con la sua conoscenza, Orco aveva vanificato il grande vantaggio della terra e della Legione, che sono poi riuscite a fermare la rivolta solo con una corsa agli armamenti vecchio stile: vistosi ormai superato in potenza di fuoco e desunta l’imminente sconfitta, Orco ha infine trattato la resa in cambio della promessa di essere risparmiato.
E visto che la Legione gli ha promesso di non ucciderlo anche se rappresenta un pericolo mortale per il sistema solare, gli hanno costruito una prigione sotterranea su Plutone tutta per lui. Segretissima, ovviamente. Così andavano le cose un tempo sulle vecchie riviste di fantascienza.
Dopo l’incursione dei cometani, il governo terrestre decide finalmente di distruggere la cometa, che è diventata una minaccia: ordina quindi a John Star, l’eroe della precedente avventura, di attivare la custode di AKKA – Aladoree Anthar, sua moglie – perché usi l’arma sulla cometa. Ma, esauriti i preparativi, giusto un momento prima che l’attivi atterra su Phobos anche Jay Kalam, uno dei tre compagni d’avventura di John, divenuto nel frattempo comandante della Legione, che blocca Aladoree: su suo consiglio infatti il governo tentenna ha revocato l’ordine appena dato a John e ha invece incaricato Kalam di un ultimo disperato tentativo di contatto con la cometa. E dire che bastava una telefonata.
Per compiere la sua missione, Jay è subito decollato con l’Invincibile, orgoglio della flotta: una nave di trecento metri contro un qualcosa lungo diciannove milioni di chilometri. Anche un bambino capirebbe che le possibilità di riuscita sono inferiori allo zero: ma nel futuro immaginato da Williamson il buon senso non esiste.
Giuramenti e cavilli
Così, dopo lunghe scene di un’immobilità inumana, viene alla ribalta il nostro nuovo eroe, Bob Star, figlio ventenne di John e Aladoree: Kalam gli offre infatti un ruolo nel suo grande progetto che lui, sentendosi oppresso dalla tranquilla vita di casa Star, è ben felice di cogliere al volo.
Il suo compito è di parlare con Orco, col quale ha un conto aperto dai tempi dell’Accademia, e valutare se tenerlo in vita oppure no, nel qual caso non dovrebbe far altro che premere un bottone per liberare un potente gas letale nella sua cella. Nessuno che appartenga alla Legione può farlo perché la Legione ha giurato ad Orco di non ucciderlo e quindi ne va del suo onore: ma Bob non appartiene (ancora) alla Legione e quindi potrebbe farlo senza rischiare di macchiare il buon nome del corpo. Un sotterfugio che sa di ipocrisia e che inizia a preoccupare seriamente il lettore: sin qui infatti la storia è stata una successione di scene una più insensata dell’altra ed è scontato che qualcosa deve andare storto nel colloquio tra Bob ed Orco.
E così è infatti: Bob, che freme di rabbia ed odio per Orco, si scopre incapace di premere il bottone per un comando ipnotico che il ribelle gli aveva impiantato nel cervello, a causa del quale il protagonista non può fare del male al suo nemico. Ma mentre si trova a lottare col suo subconscio arrivano nella prigione gli abitanti della cometa, che stordiscono Bob, salvano Orco e distruggono tutto e tutti: solo Bob e le sue due guardie del corpo (il sempre più compassionevole Giles Habibula e…ah, sì, l’evanescente Hal Samdu, c’è anche lui) si salvano, perché Orco dà l’ordine di risparmiarli.
Bob Star aveva un solo compito: uccidere Orco, e l’ha fallito.
E a causa del suo fallimento non solo le forze della Legione verranno annientate ancora una volta ma almeno un pianeta, Plutone, finirà pure nella fornace atomica della cometa.
E Bob nella sua irrilevanza continuerà a piangersi addosso e a rimbalzare qua e là per il sistema solare, senza un piano.
Il vero eroe: Giles Habibula
Per il resto del libro infatti i nostri eroi subiscono gli eventi invece che esserne i protagonisti. Non che fino a questo punto siano stati particolarmente intraprendenti: il guaio è che nelle pagine seguenti diventano ancora meno brillanti.
Unici superstiti del disastro, al risveglio Bob e compagni si trovano abbandonati su Plutone accanto al cratere ancora fumante della fortezza: in quella però precipitano accanto a loro i resti dell’Invincibile, vinta a onta del nome dagli invasori; a bordo è rimasto il solo Jay Kalam. Esplorando la zona, i quattro si imbattono quindi in un nuovo razzo pronto al decollo, quello che era stato usato tempo prima da un altro comandante fuggiasco della rivolta gioviana: ne prendono facilmente il controllo e così possono lasciare il pianeta.
Durante il viaggio però ricevono la visita dei cometani, che distruggono il motore e si nutrono del comandante ribelle (che, divenuto cannibale e ormai folle, era stato catturato senza difficoltà), per mostrarci quanto sono malvagi: per un colpo di fortuna subito dopo i nostri incrociano un piccolo asteroide, abitato fino a poco tempo prima, dove possono atterrare. Qui scoprono le origini di Orco: era infatti una base segreta dei pirati, il cui capo di dilettava di bioscienza e creava esseri umani in provetta.
Riparato e armato il razzo dei pirati (tutti uccisi nel consueto modo in una precedente visita dei cometani), i nostri riprendono lo spazio, raggiungono la cometa senza un piano, vengono attratti dal guscio dell’ellissoide e, una volta al di là, stanno per piombare nel reattore quando, con le ultime gocce di carburante, riescono a mettersi in salvo ed atterrare sul pianeta degli invasori, dall’altra parte della cometa. Catturati senza difficoltà dai padroni di casa, vengono caricati su un’astronave assieme a centinaia di altri umani prigionieri: poche ore dopo Bob fomenta e guida la rivolta che porta i suoi compagni a prendere il controllo della nave (lui era rimasto stordito nella lotta) e a dirigersi senza esitazione verso il nucleo del pianeta, dov’è custodito il segreto dei cometani.
Come da tradizione – la peggiore – esiste infatti un congegno che può annientare gli invasori senza difficoltà: ma gli Aythrin, invece di distruggerlo e cancellarne ogni traccia, lo custodiscono nell’angolo più remoto del loro pianeta fortezza perché non si sa mai.
Bob aveva appreso il loro segreto da Kay Nymidee, una ragazza uscita letteralmente dal nulla. Ultima superstite dei discendenti di una spedizione andina partita quattrocento anni prima dalla terra e scomparsa misteriosamente (era stata catturata dai cometani), Kay è la figlia dello scienziato che per anni ha studiato gli abitanti della cometa, trovandone il punto debole: infine scoperto, ha sacrificato il suo popolo per permettere alla ragazza di fuggire mediante un «proiettore tridimensionale» di sua invenzione, una sorta di teletrasporto, e raggiungere Bob sull’asteroide dei pirati, dopo un precedente tentativo fallito (per l’ottusità del nostro eroe) nel carcere dov’era custodito Orco.
A questo punto i nostri prendono finalmente l’iniziativa e, introdottisi nella camera in cui è custodita quest’arma, preparano il terreno all’atteso faccia a faccia finale con Orco, ormai trasformato in una creatura di energia, ed il capo dei cometani.
Il successo è merito del solo Giles Habiboula: infatti, nonostante le sue incessanti geremiadi, ripara motori, apre serrature e lucchetti impossibili, persino di fattura aliena, scova compartimenti nascosti ed infine trova pure l’oggettino, un cubetto, che cancella i cometani in un fiat. Ma lascia l’onore di attivarlo a Bob, che così può fregiarsi del titolo di salvatore della terra pur non avendo fatto nulla per meritarselo.
Un libro senz’anima
Se «La Legione dello Spazio» è un libro affascinante, se non altro per l’influenza che ha avuto sulla space opera e per il catalogo di idee favolose che snocciola quasi ad ogni pagina, lo stesso purtroppo non si può dire per «Quelli della cometa», che invece si tira dietro tutto il peso di una storia forzata, scritta sulla scia del successo del primo episodio ma priva della creatività e soprattutto del senso del meraviglioso che hanno contribuito al successo della «Legione»: tra i tanti problemi che l’affliggono, questo seguito infatti è condizionato da almeno tre grossi difetti che non riesce mai a scrollarsi di dosso.
Il primo è la trama lenta e irrilevante: gli eventi iniziano a muoversi solo attorno a un terzo del libro, dopo una sequenza di dialoghi inutili che servono solo a tirarla per le lunghe. E per il successivo terzo i protagonisti si trovano a rimbalzare qua e là passivamente, a reagire più che agire, senza mai avere il controllo degli eventi. Solo nell’ultimo terzo inizia ad affacciarsi un po’ di azione ma tutto avviene senza mordente, sono idee buttate lì senza una vera ragione: occorre attendere il finale perché la storia inizi finalmente a brillare – anche se rimane sempre di qualità inferiore alla «Legione» – ma si tratta di poche pagine, il libro ormai è quasi finito.
Il secondo è collegato al precedente: la trama non ha senso. Tutto si regge su cavilli, su circostanze sin troppo fortuite, sulla stupidità degli avversari: in dosi ragionevoli non sono un problema, perché sono caratteristiche della vecchia fantascienza che col tempo si impara ad apprezzare. Ma qui vengono somministrate a dosi da cavallo, e sono così marchiane che si riescono a scorgere le manine dell’autore sempre all’opera per indirizzare la storia nella direzione voluta: in tutta la storia non si vede mai uno dei protagonisti che prenda la situazione a due mani e le dia una vigorosa scrollata per ricordare anche ai lettori chi comanda; le cose invece si limitano ad accadere e i personaggi si lasciano coinvolgere dagli eventi. Le stesse circostanze che permettono la riuscita della missione sono una serie di colpi di fortuna i cui pezzi si mostrano e si mettono insieme da soli lungo il cammino, senza che nessuno dei protagonisti si sia mai sognato di metter giù uno straccio di piano.
Infine, il protagonista, che non ha uno iota di carisma. Abbandonare John Star, l’eroe della «Legione» per Bob Star è stata una cattiva idea: John era un ottimo personaggio, l’archetipo dell’eroe sempre all’altezza della situazione, capace anche di destare la simpatia del lettore; Bob invece è agli antipodi, un’ameba in piena crisi adolescenziale, e riesce pure antipatico. Ma è intuibile perché Williamson abbia dovuto abbandonare John per introdurre un nuovo eroe: per stimolare i giovani lettori ad immedesimarsi nel nuovo protagonista. Infatti, resosi conto che non poteva far comparire troppo presto una nuova minaccia ma doveva dare tempo alla Legione e al sistema solare di ristabilirsi dopo i disastri causati dalle Meduse, l’autore ha dovuto fare un salto di decenni nella cronologia interna dell’ambientazione: e a quel punto John, divenuto un uomo di mezza età, era divenuto ormai troppo vecchio per la parte.
«Quelli della cometa» è un libro senz’anima che sfrutta una storia di successo e subito riconoscibile per capitalizzare: è un rischio che si corre con la vecchia fantascienza, perché un tempo le serie non erano organiche ma diventavano dei cicli solo perché gli autori e soprattutto le riviste sfruttavano il successo dei precedenti episodi per sfornare nuove storie. È un problema che ancora rimane ma, va detto, in molti casi i grandi cicli moderni già nascono per svilupparsi su più volumi e così la storia che raccontano è più organica: non mi soffermo però a parlare degli altri problemi che affliggono questa fantascienza – come l’impegno sociale ad ogni costo e la verbosità per descrivere a lungo ogni dettaglio, anche il più insignificante – che almeno non affliggevano le storie di un tempo.
Il mio consiglio quindi è di leggere «La Legione dello Spazio» e poi di lasciar perdere tutti i suoi seguiti.
Aggiunta: se comunque volete misurarvi col terzo episodio della serie, «L’enigma del Basilisco» (One Against The Legion, 1939), la recensionesi trova qui.
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