«L’Allodola di Valeron» (Skylark of Valeron, 1949), terza apparizione dell’Allodola dello Spazio di E.E. «Doc» Smith, è un libro imbarazzante: certo, trasuda senso del meraviglioso da ogni paragrafo ma, per essere franchi, la storia è troppo sconclusionata per riuscire gradevole, persino ad un appassionato di vecchia fantascienza (e pure di bocca buona) come sono io.
Ho tuttavia deciso di dedicare un articolo anche a questo libro, dal momento che la serie riveste un ruolo chiave nella storia della space opera, come ho già avuto modo di scrivere nella recensione alla prima avventura: ciononostante rimango convinto che occorra una forte motivazione per decidere di cimentarsi con questo terzo episodio e, soprattutto, sia necessario aver già letto ed apprezzato le due precedenti avventure.
Un epilogo durato trent’anni
Pubblicato da Astounding in sei puntate a partire dall’agosto 1934 (quindi due anni dopo l’uscita dell’«Allodola Tre»), poi riunite in volume unico nel 1949, «L’Allodola di Valeron» sarebbe dovuto essere l’episodio conclusivo della serie iniziata sei anni prima: non solo perché portava a compimento la divinizzazione del suo protagonista, Richard Seaton, ma anche perché risolveva una volta per tutte il problema rappresentato da Marc «Blackie» DuQuesne – senza redenzioni stucchevoli dell’ultimo momento – e soprattutto perché lanciava un messaggio di speranza per l’umanità, più che necessario ad un’America in piena Depressione.
In realtà però la vera conclusione del ciclo è l’illeggibile «Allodola DuQuesne», scritto e pubblicato da Smith poco prima di morire nel 1965, che celebra la redenzione del supercattivo più credibile e affascinante della fantascienza: ma si tratta di un libro irrilevante nel panorama della space opera dell’epoca, che ormai si era lasciata alle spalle l’ingenuità delle riviste degli anni Trenta per entrare in una nuova era molto più matura. Tuttavia Smith, ancora legato alla formula che lui stesso aveva creato, non è stato capace di cogliere o adattarsi a questa trasformazione: leggere l’«Allodola DuQuesne» fa quasi male.
Ma non è di quel libraccio che voglio parlare: qui intendo invece scrivere dell’«Allodola di Valeron» e dei suoi limiti.
Un libro imbarazzante
Come detto, il terzo episodio della serie è imbarazzante: prende il peggio delle precedenti due storie, ne aggiunge altro a badilate e si dimentica di includere una trama. Il libro infatti è solo una catena di episodi isolati e giustapposti, collegati tra loro con fil di ferro e nastro adesivo, per dare una parvenza di continuità agli eventi che in realtà non appartiene loro.
Il volume si apre con un colpo di scena: il ritorno di DuQuesne, che non era proprio morto; poi passa a Seaton e compagni che, all’indomani della battaglia con Ravindau, lo scienziato fenachrone fuggitivo, vengono attaccati dai puri intelletti per dispregio e divertimento (un primo incontro, ricordo, era avvenuto nel libro d’esordio).
Per mettersi in salvo i nostri devono quindi fuggire nella quarta dimensione, dove succedono cose: poi all’improvviso vengono sbalzati nuovamente nella nostra dimensione, sperduti da qualche parte nell’universo. Si imbattono così in Valeron, un pianeta abitato da umani identici a noi, che sono sotto l’attacco di una razza di ameboidi: partono interi capitoli sulla storia del pianeta e dei suoi rapporti con i clorani (così si chiamano gli alieni, dal nome del loro pianeta, Clora). Così arrivano finalmente in soccorso i nostri, che proprio all’ultimo momento salvano Valeron e a colpi di raggi ricacciano Clora ed i clorani nella galassia da cui provengono.
Adesso, perfettamente padrone dei raggi del sesto ordine, Seaton ha finalmente la possibilità di costruire un supercervello elettronico (in sostanza un supercomputer: ma non se ne era mai parlato prima), che diverrà poi il nucleo della nuova Allodola, un planetoide di mille chilometri di diametro: e poi con questo suo nuovo giocattolo deciderà di tornare nel sistema solare per liberare la terra, che nel frattempo è caduta sotto la dittatura di un reggente fantoccio manovrato da DuQuesne. Catturato quindi l’antagonista storico, Seaton ne separa la mente dal corpo (non stacca il cervello, si badi bene, ma solo l’intelletto) e lo esilia insieme con i puri intelletti in una sorta di campo di stasi diretto alla quarta dimensione. Fine della storia.
Ciò che unisce le diverse scenette quindi non è tanto la concatenazione logica delle azioni o la coerenza della trama quanto piuttosto la presenza dell’Allodola in una delle sue varianti ed il genio multiforme di Seaton: così non si ha l’idea di leggere una storia omogenea; pare invece di assistere alle diverse puntate di un vecchio telefilm, dove i protagonisti affrontano di volta nuove avventure ma senza che i fatti di un episodio precedente abbiano conseguenze sui successivi, probabilmente una conseguenza della serializzazione in sei numeri di Astounding. Gli eroi passano semplicemente di avventura in avventura (le subiscono, sarebbe più corretto dire), senza legami o correlazioni permanenti: le cose accadono via via sino al finale, quando l’autore trova il modo di combinare tutti gli indizi tra loro per tentare di dare un senso complessivo al tutto.
Questa trama così slegata poteva forse andare bene un tempo per un romanzo pubblicato a puntate nell’arco di mezzo anno: ma a leggerla dall’inizio alla fine in meno di un paio di settimane si avverte che qualcosa non funziona. E non basta l’entusiasmo dell’autore per ovviare alle tante mancanze della storia.
L’origine di ogni male: la resurrezione di DuQuesne
Il sospetto che «L’Allodola di Valeron» non sia destinato ad essere un capolavoro si insinua già nell’incipit dell’opera. Scrive infatti Smith: «Giorno dopo giorno, una nave sferica fatta interamente di arenak (…) trasportava due terrestri e un fenachroniano – il dottor Marc C. DuQuesne della World Steel, “Baby Doll” Loring (il suo versatile e spregiudicato assistente) e il mostruoso e tarchiato ingegnere della nave ammiraglia Y427W – dal Sistema Verde verso il sistema solare dei fenachrone».
DuQuesne quindi è ancora vivo! Ma come, non era stato disintegrato nell’Allodola Tre? In quel libro infatti non si diceva che «un raggio termico ridusse i loro corpi (quelli di DuQuesne e Loring) a due mucchietti di polvere grigia»? Una descrizione che non sembrerebbe lasciare troppo spazio a teorie o supposizioni: DuQuesne e Loring sono proprio morti, e pure da fessi. Eppure qui li troviamo ancora vivi e vegeti. Com’è possibile?
Risponde lo stesso DuQuesne, mentre si prende gioco di un ufficiale fenachrone (e indirettamente anche dei lettori): «Eravate convinti che il mio compagno e io fossimo stati catturati e uccisi: l’avete pensato perché io ho voluto che lo pensaste». Semplice e logico. Ma proprio così iniziano i problemi del libro, che inaugura quella brutta abitudine – divenuta ormai pratica comune in epoca più recente – del «retconning», ossia modificare a posteriori eventi già descritti altrove e dati ormai per certi: rispetto a come ricordavamo che fossero andati gli eventi, la scena è infatti tornata indietro nel tempo, a poco prima che la Violetta (la copia dell’Allodola usata dal criminale) superasse lo schieramento difensivo dei fenachroni, che – si scopre – sono stati ingannati dall’ingegno dello scienziato terrestre, proprio come i lettori, per ben due anni.
Così, se da un lato fa piacere vedere che DuQuesne scoppia ancora di salute, dall’altro però disturba di essere stati presi in giro nel volume precedente: appare quindi subito evidente che si tratta semplicemente di un espediente piuttosto banale per ripescare un personaggio di cui, Smith si dev’essere reso conto, non si può proprio fare a meno. Perché senza DuQuesne non solo verrebbe a mancare il cattivo più solido della fantascienza ma anche l’ambientazione stessa non avrebbe più senso: è infatti merito del suo «cosotrone», copiato da Seaton e Crane, che X può attivarsi (anche se ormai di quel raro metallo non si parla più) ed è soprattutto grazie alle sue trame che tutta la storia prende letteralmente il volo. In altre parole, senza DuQuesne non ci sarebbe nemmeno l’Allodola.
Dunque DuQuesne fa qui il suo ritorno ed è più cattivo che mai: anzi, addirittura spietato, non perché adesso apprezzi la violenza gratuita ma perché è sempre più convinto che sia il solo sistema che gli permetta di raggiungere i suoi obiettivi.
Il pirata DuQuesne
La storia si apre dunque con DuQuesne che sfreccia nello spazio sulla Violetta, la copia pirata dell’Allodola con cui aveva lasciato la terra nel precedente volume: deciso ad impadronirsi di una «supercorazzata» (della classe Z, nientemeno) dei fenachroni, attira l’attenzione di una loro nave pattuglia e ne attende l’arrivo nascondendosi assieme al suo compare nei rispettivi scafandri spaziali, che sembrano essere abbandonati nella camera di compensazione. Così quando gli alieni entrano nella Violetta per esaminarla e salvare l’ingegnere prigioniero, lo scienziato – «cupo e implacabile» – mette in atto il suo piano: ammazza tutto l’equipaggio col gas, si impadronisce della navicella, la danneggia intenzionalmente per simulare l’impatto con un meteorite e perciò finge di avere i sistemi in avaria, ragione per cui richiede l’assistenza di una supercorazzata, che poi conquista facilmente, eliminandone l’intero equipaggio con freddezza e pragmatismo. «L’azione diretta era sempre stata il suo forte», spiega l’autore, che in queste scene tradisce anche una certa ammirazione per «il cipiglio fiero e beffardo di Marc C. DuQuesne, della Terra».
Messi quindi da parte i cervelli degli uccisi per esaminarli e studiarne le conoscenze mediante una delle tante macchine superscientifiche già incontrate nei precedenti volumi, il supercattivo lancia infine la sua sfida all’imperatore degli alieni: «Abbiamo discusso e concluso che l’universo sarebbe un posto assai migliore senza i fenachroni. Perciò, ovviamente, la vostra specie è destinata a scomparire molto presto: e dal momento che noi non vogliamo impadronirci del vostro pianeta, faremo in modo che nessun altro possa farlo, almeno per qualche eone di tempo a venire».
Con sua sorpresa, la minaccia si avvera immediatamente: coincide infatti col momento in cui Seaton si è appena ricordato del suo ultimatum al pianeta e ne causa l’annientamento. Solo DuQuesne comprende che l’autore è Seaton e che quegli è ancora più forte di lui.
La quarta dimensione
Si passa così finalmente all’Allodola, che ha appena polverizzato la nave di Ravindau, lo scienziato fenachrone scampato alla distruzione del suo pianeta: ci troviamo quindi esattamente alla fine del libro precedente.
Tuttavia la presenza dell’Allodola e le enormi forze evocate nello scontro spaziale hanno attirato l’attenzione dei puri intelletti, che si trovano a passare di qui e meditano la distruzione di tutte le creature viventi, a cominciare proprio dai nostri eroi: l’attacco delle energie combinate delle menti disincarnate – guidate da Uno, già incontrato dai nostri nel loro viaggio inaugurale – è troppo potente anche per le sofisticate apparecchiature dell’Allodola Tre, che rischia di essere sopraffatta. Così, desunto che la sola via di fuga è trascorrere un centomillesimo di secondo nella quarta dimensione, con una serie di calcoli Seaton stabilisce che è sufficiente combinare l’effetto di tre coppie di correnti elettriche opposte per riuscirci: ed infatti i protagonisti, saliti a bordo della vecchia Allodola Due (la sfera di arenak prodotta su Osnome, tenuta a bordo come battello di salvataggio), abbandonano l’Allodola Tre al suo destino e piombano – o, meglio, «ruotano» – nella quarta dimensione.
Adattati i sensi alla nuova fisica, i nostri scoprono di avere una massa spaventosa per ciò che costituisce la materia solida della quarta dimensione, o Iperlandia: ne hanno tutto il tempo, dato che quel centomillesimo di secondo dura in realtà parecchi giorni, forse anche settimane. Durante questo soggiorno forzato Seaton e Margareth (la moglie di Crane: sì, ci sono anche loro) riescono infatti a farsi catturare dagli indigeni, strane creature che assomigliano a cavallucci marini volanti con quattro braccia ed un’elica al posto della coda, mentre gli altri vengono tenuti come paralizzati dagli strani tridenti elettrici con cui gli alieni riescono a mettere fuori uso il sistema nervoso delle vittime. Portati nella loro città, i due prigionieri fanno scempio dei locali: sfruttando la sua massa incredibilmente solida e compatta, Seaton scardina infatti porte blindate come se fossero di cartone e le usa per ridurre in poltiglia i cavallucci marini, sfonda muri portanti con una spallata e scava buche profonde nel terreno semplicemente spiccando salti e lasciandosi cadere a terra.
Ciononostante gli indigeni non demordono e, a costo di pesanti perdite, ottengono solo di riunire i cinque protagonisti nell’Allodola, proprio nel momento in cui termina il centomillesimo di secondo nella quarta dimensione e l’Allodola con i suoi occupanti umani può fare ritorno nella nostra dimensione.
Sperduta però da qualche parte nello spazio profondo, lontana da qualsiasi galassia conosciuta.
Di nuovo DuQuesne
Nel frattempo la storia di DuQuesne è andata avanti di molto e con molta più concretezza: grazie al semplice ragionamento, DuQuesne ha intuito dove Seaton abbia appreso le sue conoscenze così avanzate e ha individuato facilmente il Sistema Verde; poi, guidato dal buon senso (e dalla mano infallibile dell’autore), ha scoperto pure Norlamin, il pianeta degli avanzatissimi scienziati dove l’eroe ha imparato tutto sui raggi del quinto e persino del sesto ordine.
I norlaminiani saranno pure intelligentissimi ma sono anche molto ingenui: così, fingendosi un tecnico di Seaton che sta cercando disperatamente il suo padrone, DuQuesne ottiene di farsi confezionare una copia dell’Allodola Tre, che userà per i suoi piani di conquista, che adesso non riguardano più la sola terra ma «l’intera galassia e forse più ancora». Il classico errore di ogni cattivo, che pensa subito troppo in grande e fa il passo più lungo della gamba.
Tornato a casa, lo scienziato malvagio rinnova l’alleanza con l’imbelle Brookings, presidente di «quell’autentica piovra industriale» che è la World Steel Corporation, e lo installa come dittatore fantoccio del pianeta: in pochi giorni DuQuesne unisce tutta la terra sotto il suo dominio, senza sparare un solo colpo. In meno di un mese fa cessare ogni guerra ed inaugura un’età dell’oro dove tutti hanno un lavoro (ricordo che in quegli anni l’America stava cercando di riprendersi dalla Depressione) ed ogni crimine grave viene punito con la giusta severità: nell’insieme non appare un autocrate così spietato come si potrebbe credere ma un governante che mira solo al «progresso della civiltà», per usare le sue stesse parole.
DuQuesne intuisce però che prima o poi dovrà fare i conti con Seaton e così inizia subito a lavorare sulle difese, che includono astronavi intelligenti o teleguidate.
«Umanità über alles»
Si torna così nuovamente a Seaton, che in qualche modo è riuscito ad orientarsi nel nulla e a trovare non solo un’altra galassia ma anche un pianeta abitabile: un mondo, tra l’altro, su cui vivono umani progrediti, in tutto e per tutto identici a noi. Si tratta di Valeron (da cui prenderà il nome la nuova Allodola: tutto merito di Dorothy, che non ama i nomi troppo tecnici e aveva già battezzato l’Allodola originale), che sta subendo l’attacco degli ameboidi del pianeta Clora: un pianeta, neanche a dirsi, la cui atmosfera è composta di cloro.
Parte quindi una lunghissima parentesi sulla storia del pianeta (occupa quattro capitoli sui ventitré totali del libro): in sostanza gli astronomi valeroniani avevano previsto che un altro sistema solare sarebbe transitato vicino al loro e che il calore della sua stella avrebbe devastato tutto ciò che si trova sulla superficie del pianeta. L’allarme è stato dato con congruo anticipo, così Valeron ha avuto tutto il tempo di prepararsi: sono stati costruiti rifugi sotterranei per i giovani valeroniani più promettenti e capaci, mentre il resto della popolazione è stato condannato a morire nel cataclisma. Terminata l’emergenza, la nuova stirpe valeroniana è tornata in superficie e ha ricostruito in fretta una civiltà e una cultura che hanno ben poche rivali in tutto l’universo: «Forse loro erano ancora inferiori all’antica specie quanto a numero, ma le erano incommensurabilmente superiori nelle caratteristiche fisiche, mentali e morali», scrive Smith.
Tuttavia nel transito dell’altra stella si è verificato anche uno scambio di pianeti. I due mondi più esterni del sistema di Valeron sono scomparsi ed al loro posto ne è apparso invece uno sconosciuto: Clora, appunto, abitato dagli ameboidi che sono i cattivi di questa sezione del libro. Dotati di tecnologia superiore e privi di qualsiasi sentimento o emozione umani, i clorani hanno deciso di schiavizzare Valeron, obbligandone gli abitanti a procurare le rare materie prime di cui gli invasori hanno bisogno: al rifiuto dei valeroniani di eseguire gli ordini sono seguiti prima una rappresaglia, poi l’attacco vero e proprio, ancora in corso.
Pur distante ancora anni luce, Seaton riesce a mettersi in comunicazione con l’oligarchia tecnocratica del pianeta e, al grido di «Umanità über alles», istruisce lo scienziato più illustre di Valeron (ha persino un nome: Quedrin Radnor) sul modo migliore per neutralizzare gli ameboidi.
Grazie alle istruzioni di Seaton le fortezze volanti, orgoglio dei clorani, vengono distrutte, il loro pianeta incapsulato e spinto fuori dal sistema di Valeron per ricongiungersi al suo sistema originario: gli ameboidi tuttavia torneranno come nemico nell’ultimo volume della serie, quell’Allodola DuQuesne di cui già si è scritto in apertura.
L’Allodola di Valeron
Acclamato salvatore dai valeroniani ed ormai padrone anche dei raggi del sesto ordine (che, si intuisce, si muovono sulla frequenza del pensiero), su uno spiazzo fuori città Seaton costruisce un supercervello elettronico che poi programma (mediante una cuffia) con tutte le informazioni necessarie a costruire la nuova Allodola: l’Allodola di Valeron appunto, non perché il pianeta abbia avuto un ruolo nella progettazione ma solo perché qui è stata costruita.
La nuova Allodola è un planetoide di mille chilometri di diametro (l’ideale sarebbe stato quattro anni luce ma Seaton sa accontentarsi anche di qualcosa di più modesto), il minimo per tracciare la mappa dell’universo: su uno dei due poli c’è persino spazio per un prato verde con due edifici, la copia esatta delle residenze terrene dei Seaton e dei Crane, con un terzo edificio centrale, la sala di controllo. Qui tutto funziona col pensiero: a volte è necessario indossare una particolare cuffia, altre volte invece non serve, in base alle esigenze narrative.
Così si è compiuta la divinizzazione di Seaton.
La liberazione della terra
Forte di questo giocattolo, il nostro eroe non fatica a trovare la via di casa e a spazzar via DuQuesne, le cui difese erano state saggiate poco prima da un attacco congiunto dei norlaminiani e degli osnomiani, lanciato non appena i primi si erano resi conto dell’errore che avevano commesso affidando a DuQuesne una copia dell’Allodola Tre.
Giunto nel sistema solare, Seaton semplicemente teletrasporta DuQuesne sul planetoide e lo tiene prigioniero (ma senza sottoporlo a particolari restrizioni), incerto sul da farsi: ma quando decide di sbarazzarsi anche dei puri intelletti, che rappresentano una minaccia per ogni creatura, ha la soluzione che cercava. Grazie alle apparecchiature della nuova Allodola, che ora dispone di una gamma completa di raggi del sesto ordine, prima cattura le menti disincarnate e le rinchiude in un campo di stasi; quindi offre a DuQuesne la possibilità di unirsi a loro e questi, allettato dall’idea di superare le limitazioni imposte da un corpo materiale, accetta con entusiasmo.
Risolti così brillantemente entrambi i problemi, l’eroe infila il campo di stasi con le menti e DuQuesne in un’astronave che poi spedisce ai confini dell’universo e da lì nella quarta dimensione: ma in realtà ne ha solo differito nel tempo la risoluzione.
Ciò che davvero conta però è che adesso per Seaton e Dorothy «i problemi della vita erano pochi e lievi», che poi è la frase con cui si chiude il volume.
Non proprio il meglio del periodo
Leggere «L’Allodola di Valeron» è un atto d’amore: lo si fa perché sono piaciuti i primi due episodi e si vuol vedere come finisca la serie, non perché si cerchi una storia di qualità. La trama infatti – se di trama si può parlare, dato che si tratta di un insieme di episodi scollegati – mette alla prova la resistenza persino di un appassionato: certo, trasuda senso del meraviglioso ed offre un divertente catalogo della superscienza dell’epoca, ma in definitiva non ha niente di ciò che solitamente rende piacevole la fantascienza degli anni Trenta. Si prende infatti troppo sul serio.
Certo il mio giudizio è in parte influenzato anche dai miei gusti: ad esempio, ho un’avversione per le creature di energia o prive di forma fisica, perciò non riesco a digerire le menti disincarnate; e non sono nemmeno un fan delle avventure nelle altre dimensioni, quando le altre dimensioni hanno una fisica diversa dalla nostra. Ma sfido chiunque a tener duro quando Seaton vaneggia l’ennesimo pistolotto superscientifico, che serve solo per alzare sempre di più la posta, scena dopo scena.
Ci sono però dei passi da salvare, questo sì, come l’affascinante descrizione della nuova Allodola, i capitoli che trattano Valeron (i migliori di tutto il libro) ed ovviamente il ritorno di DuQuesne: non il ritorno in sé, che come visto è un espediente abbastanza squallido, ma l’ombra che getta sulla storia. Seaton sarà anche il protagonista della serie ma è DuQuesne il personaggio più simpatico, oltre che quello con più spessore: peccato solo per il modo in cui è stato costretto a fare la sua riapparizione.
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