I migliori dieci · Libri

I migliori dieci racconti di Robert E. Howard

Robert E. Howard (la E. sta per Ervin) non ha certo bisogno di presentazioni: se state leggendo questo articolo infatti molto probabilmente già saprete chi era e cos’ha scritto. Tuttavia c’è la possibilità che qualcuno non lo conosca e sia approdato su questa pagina proprio mentre cercava informazioni sul suo conto: senza perdersi in lunghe presentazioni, sarà quindi sufficiente dire che Howard è stato un prolifico autore texano degli anni Venti e soprattutto Trenta, morto suicida a trent’anni nel 1936 in seguito alla morte della madre. Nella dozzina d’anni che racchiudono la sua carriera ha scritto diverse centinaia di racconti di ogni genere e anche poesie per le riviste pulp: viene ricordato in particolare per essere il creatore di Conan il barbaro e di tanti altri personaggi, che hanno fatto di lui uno dei tre grandi autori di Weird Tales assieme a H.P. Lovecraft e C.A. Smith. La fervida immaginazione, lo stile vivace e l’abilità senza eguali nel descrivere le scene d’azione sono i suoi tratti caratteristici, che fanno di lui un ottimo narratore, capace di tenere il lettore incollato alle storie che stava raccontando.
E per un’introduzione che doveva essere breve credo di avere già scritto troppo.

I criteri di scelta
Dopo aver pubblicato le liste dei dieci migliori racconti dei già citati Lovecraft e Smith, da tempo desideravo completare la terna dei grandi di Weird Tales ed includere un’analoga selezione delle opere di Howard: ma ho esitato a lungo prima di prepararla, perché non è facile restringere a solo dieci i migliori racconti del texano, che sono almeno dieci volte tanto. Infatti, anche se non tutta la sconfinata produzione di Howard è memorabile, gran parte dei suoi racconti meritano di essere letti per la loro forza narrativa: così alla fine ho individuato alcuni criteri che mi hanno aiutato a compilare questo elenco, che reputo sia abbastanza rappresentativo delle sue opere più riuscite.
In breve, le linee guida che mi sono dato sono:
1) per una questione di preferenze personali, ho limitato la scelta ai soli racconti di fantasia, escludendo quelli ambientati nel mondo reale (ad esempio, niente storie western o di pugilato, per quanto ce ne siano di ottime): ho tuttavia considerato quelle storie che, pur ambientate in un contesto storico, hanno un’atmosfera leggermente fantastica (sul tipo di «The Shadow of the Vulture»);
2) la lista non rappresenta il meglio in assoluto ma include dieci delle opere più significative dei personaggi o cicli fantastici più rappresentativi di Howard, per offrire una panoramica su diversi eroi e generi: anche qui ha influito il mio gusto personale, ovviamente, ma una qualunque selezione del «meglio di» è sempre condizionata da fattori soggettivi;
3) i dieci racconti non sono elencati in ordine di giudizio ma in ordine cronologico di pubblicazione: Weird Tales, su cui è apparsa la gran parte delle sue opere migliori, è ovviamente la rivista più rappresentata in questa lista, con nove delle dieci storie scelte; l’unica che esuli da questo gruppo è invece uscita sulla quasi sconosciuta Magic Carpet;
4) dal momento che Howard scriveva sui pulp ed i pulp pubblicavano per lo più racconti brevi, come assaggio appetitoso delle sue opere ho sfrondato sino ad avere solo racconti di media lunghezza, quindi niente romanzi a puntate: per questo ad esempio è rimasto escluso «L’ora del dragone», che sarebbe stato andare a colpo sicuro ma ha la lunghezza di un libro;
5) di conseguenza, in caso di dubbio, il racconto un po’ più breve ha prevalso nella scelta: e l’azione ha sempre avuto il sopravvento sull’inazione;
6) infine, ho limitato la selezione alle sole opere autentiche di Howard, escludendo tutte quelle che dopo la sua morte sono state completate da altri (come De Camp e Carter).

I migliori dieci racconti di Howard
Arriviamo così alla lista del meglio di Howard: un meglio, come visto, che va inteso come una selezione più rappresentativa della sua sconfinata produzione.

1) Le colline dei morti (The Hills of the Dead, agosto 1930)
Un racconto di Solomon Kane, il guerriero puritano di fine Cinquecento che gira il mondo per combattere il male e riparare torti. In questa storia il protagonista sente il richiamo dell’Africa e si avventura nel cuore del continente nero: prima però incontra N’Longa, uno stregone africano con cui aveva fatto amicizia in un’avventura precedente, che gli regala una verga magica con la quale può mettersi in contatto con lui nel sonno. Mesi dopo, Kane salva una ragazza aggredita dai leoni e quella notte si accampa assieme a lei in una grotta ai piedi di una catena di colline che terrorizzano la giovane: si scoprirà poco dopo che sono abitate dai non morti, una via di mezzo tra gli zombi ed i vampiri, spaventati dal fuoco ma immuni alle armi comuni; basta però il solo il contatto con la verga di N’Longa per dissolverli in polvere.
Le colline, spiega la ragazza, pullulano di queste creature: quella notte, Kane contatta N’Longa, che gli dà qualche ulteriore informazione sui non morti (sono i guerrieri immortali di un antico popolo che andava scomparendo) e gli dà indicazioni su cosa fare, nello specifico rimandare la ragazza al suo villaggio con l’incarico di ritornare il prima possibile col fidanzato, un guerriero. Kane segue le istruzioni e la notte successiva N’Longa prende il controllo del corpo del giovane: accompagnerà così Kane sull’altopiano in cima alle colline, dove verranno attaccati dai non morti nei pressi delle rovine della loro città. È una bella scena, molto coreografica, con orde di creature che escono dalle loro grotte e si riversano contro la coppia, mentre Kane lotta per tenerle lontano e N’Longa è impegnato a lanciare un incantesimo: in risposta alla magia dello stregone arrivano stormi di avvoltoi, attratti dalla carne putrida degli zombi, che divorano.
I superstiti si rifugiano in città ma vengono distrutti dall’incendio provocato dallo stregone, che sfrutta l’erba resa arida dalla siccità cresciuta sulla pianura e dentro le rovine. Risolta la faccenda e cancellata la minaccia dei non morti, il mago lascia il corpo, che torna ad essere abitato dal fidanzato della ragazza. Racconto molto bello e suggestivo.

2) L’isola degli Dei (The Gods of Bal-Sagoth, ottobre 1931)
Un racconto di Turlogh il Nero, un guerriero irlandese dell’undicesimo secolo protagonista di un breve ciclo. L’eroe viene catturato dai vichinghi, assieme ai quali viaggia anche un certo Athelstane il sassone. La nave fa naufragio e solo loro due si salvano: si trovano così su un’isola sconosciuta, dove subito devono salvare una ragazza bianca inseguita da un mostro. La ragazza, vichinga lei stessa (si chiama Brunhilde), spiega di essere la regina deposta di un popolo di neri che abita Bal-Sagoth, l’ultima città del più antico regno terrestre, sprofondato nel mare in epoche remote: i due la riaccompagnano in città mansueti e tacitamente accettano di servirla quando riprende possesso del trono. Quella notte a palazzo però Brunhilde sta per essere rapita dai servitori del potente stregone Gothan, suo avversario, che conosce tutti i passaggi segreti, quando intervengono gli eroi per tempo e feriscono il mostro – per metà uomo e per metà scimmia – incaricato di portar via la regina: la creatura fugge nel tempio, dove uccide Gothan.
A questo punto la regina insulta la statua di Gol-Goroth, il dio nero venerato dallo stregone, che le cade addosso, uccidendola. Scoppia così la guerra civile, tutti si gettano contro i due uomini di ferro (indossano le armature) che erano creduti dei ma non lo sono perché le loro ferite sanguinano: è una strage. Nelle strade, Turlogh e Athelstane devono aprirsi la strada anche tra i nuovi arrivati, gli uomini rossi assetati di sangue (al contrario dei neri, che vengono descritti come un popolo nobile), che hanno appena invaso la città e la stanno mettendo a ferro e fuoco. Alla fine i due eroi vengono salvati da una nave spagnola di passaggio.
Ad insaporire la storie intervengono le solite riflessioni howardiane sulla civiltà, affidate ai pistolotti di Turlogh, soprattutto nel finale, quando osserva: «Abbiamo visto gli ultimi resti del più vecchio impero del mondo sprofondare tra le fiamme nell’abisso dell’oblio, e la barbarie alzare la testa sopra le rovine. Così passano la gloria, lo splendore e la porpora imperiale…tra le fiamme e il fumo». Perché in definitiva tutti gli imperi del mondo sono solo «sogni, spettri e fumo». Un ottimo racconto con un protagonista che non è Conan ma ne è l’archetipo (quando questo racconto venne pubblicato, il barbaro non era stato ancora inventato).

3) La cosa sopra il tetto (The Thing on the Roof, febbraio 1932)
Una della manciata di storie scritte da Howard che vanno ad arricchire il cosiddetto «mythos» di Cthulhu: viene citato il Necronomicon ed un «Libro Nero» di von Juntz che ricorre anche altrove, così chiamato per l’oscurità dei suoi contenuti. Tutto ruota attorno ad un tempio nello Yucatan che sorgerebbe in una zona oggi disabitata: era stato eretto da una popolazione non india, più antica degli indi e già estintasi prima dell’arrivo degli spagnoli. In questo tempio, costruito adiacente ad uno sperone di roccia con un tipo di basalto nero sconosciuto, si trova la mummia dell’ultimo grande sacerdote di quel popolo scomparso: al collo porta una pietra tagliata in forma di rospo che, dice sempre il libro, apre la porta del tesoro.
In breve, l’avversario intellettuale del protagonista – un tale Tussmann – decide di indagare, trova tutto così com’era scritto nei testi, recupera la pietra ed apre la camera del tesoro ma non vi trova nulla. Un po’ deluso, un po’ impazzito, al ritorno si rimette in contatto col protagonista, per chiedergli il permesso di consultare nuovamente il Libro Nero che solo lui possiede: il protagonista glielo porta a casa, dove viene ospitato per la notte. Ma ovviamente proprio quella notte accade l’orrore: si ode un battito di zoccoli sul tetto e poi Tussmann viene ucciso da una cosa che non viene vista ma dagli indizi raccolti pare essere gelatinosa, con tentacoli e zoccoli; in altre parole, identica al dio venerato da quella popolazione scomparsa, che era appunto il loro tesoro, liberato dall’esplorazione di Tussmann. Quando, attirato dai rumori, finalmente entra nello studio dell’ospite, il protagonista trova Tussmann già cadavere, col cranio sfondato come da uno zoccolo. Ed il solo oggetto scomparso dalla stanza è la pietra a forma di rospo che quegli aveva portato via dal tempio.

4) Le ali notturne (Wings in the Night, luglio 1932)
Altro racconto di Solomon Kane. Nella sua marcia verso oriente nel cuore dell’Africa, Kane sfugge ai cannibali per imbattersi nei resti di un villaggio: è Bogonda di Sotto, devastato mesi prima dalle arpie, che abitano in caverne nelle vicine colline. L’indomani infatti Kane è attaccato da due di esse, che uccide, ma nello scontro rimane ferito gravemente: soccorso e curato dagli abitanti di Bogonda di Sopra, apprende la storia. Si tratta proprio delle arpie mitologiche, scacciate verso sud da Giasone: d’aspetto sono molto simili agli esseri umani anche se hanno tratti bestiali e vampireschi. Sono crudeli e malvagie e godono a fare a pezzi le vittime o a farle soffrire per molti giorni: si stanno però estinguendo, non ce ne saranno più di centocinquanta ormai.
I bogondi superstiti, poco più di quattrocento, sono invece gli ultimi di un popolo cacciato a nord dalle guerre tribali un secolo e mezzo prima: non sapevano dell’esistenza delle arpie (aakana nella loro lingua) e quando le hanno scoperte era ormai troppo tardi per fuggire, stretti com’erano dai cannibali tutt’attorno. Solo di recente però le arpie sono diventate davvero pericolose: prima si limitavano ad un’incursione saltuaria. Bogonda di Sotto è stata distrutta dalle creature perché, in sostanza, si era ribellata. Le arpie temono Kane, così i bogondi superstiti credono di essere salvi ad averlo nel villaggio ma una notte le arpie attaccano e sterminano tutti, tranne Kane: unico superstite, dedica i mesi seguenti all’attuazione di un piano di vendetta. Trasforma la capanna dello sciamano in una specie di gabbia dentro la quale attira – col sangue e le carcasse di alcuni bufali – tutte le arpie superstiti, adesso scese a centoquaranta circa, e ve le rinchiude dentro: poi dà fuoco alla gabbia e si gode lo spettacolo. Racconto bellino, soprattutto perché dà uno spaccato leggermente diverso dell’eroe, che nel finale sembra impazzire.

5) I Vermi della Terra (Worms of the Earth, novembre 1932)
L’unica storia di Bran Mak Morn – un capotribù dei pitti nella Britannia del terzo secolo – che meriti di essere letta: è difficile provare simpatia per un selvaggio sanguinario che combatte contro le legioni romane ma questo racconto riesce a creare un’atmosfera di orrore e mistero tale da far passare in secondo piano la sua brutalità. Per vendicarsi della tirannia del locale governatore romano, protetto dalle mura di una fortezza inespugnabile, Bran Mak Morn scopre il modo di piegare i Vermi della Terra al suo volere: questi Vermi sono, pare di intendere, i discendenti degradati di una razza di uomini serpente già corrotta millenni prima, quando gli antenati di Bran li costrinsero a trovare rifugio sottoterra. Bran seduce una strega mezzosangue e la spinge così a rivelargli la locazione di una certa tomba all’interno della quale si trova il pozzo che conduce nelle viscere della terra, nella caverna in cui i Vermi custodiscono una pietra malvagia che venerano come idolo: la trafuga e poi promette di renderla solo se le creature del sottosuolo gli portano il governatore romano. Così in una sola giornata i Vermi scavano sotto la fortezza, facendola crollare, e rapiscono il governatore che, reso pazzo da ciò che vede nel sottosuolo, viene ucciso per pietà da Bran. Belle descrizioni, bella storia e bel ritmo.

6) La cittadella scarlatta (The Scarlet Citadel, gennaio 1933)
La seconda storia pubblicata di Conan il barbaro e la prima originale, dal momento che l’esordio del cimmero è una storia non pubblicata e rimaneggiata scritta in origine per un altro personaggio. Qui Conan, già re di Aquilonia, viene catturato col tradimento e rinchiuso nelle segrete della Cittadella Scarlatta del mago Tsotha-lanti: sono le rovine di una città antichissima che custodisce orrori senza nome e si dice essere collegata con lo stesso inferno. Nella sua fuga Conan si imbatte nel mago Pelias, rivale sconfitto di Tsotha-lanti, e lo libera dal suo tormento decennale: era avvinghiato da una pianta che ne succhiava l’energia vitale. Con l’aiuto di questi Conan riguadagna la libertà e torna, in volo su una creatura evocata da Pelias, a Tarantia, dov’è scoppiata la rivolta in seguito alla notizia che il re è morto: l’eroe uccide l’usurpatore – un agente dei due re di Ophir e Koth che lo hanno tradito – ed organizza un esercito con cui corre in aiuto della città di confine assediata dagli eserciti combinati dei due traditori.
Ovviamente Conan esce vittorioso: nel finale uccide anche il mago Tsotha-lanthi, che accompagnava ed in un certo senso controllava i due re, tagliandogli la testa. Ma il corpo, ancora vivo, cerca di rimettersi il capo sul collo sennonché un’aquila, che è Pelias tramutato, lo afferra col becco e se ne vola via: per un pizzico di orrore che però evoca soprattutto ilarità, il racconto termina con l’immagine del corpo senza testa di Tsotha-lanti che insegue l’aquila con la testa nel becco. Le descrizioni dell’esplorazione delle catacombe e dei suoi orrori da parte di Conan sono suggestive: la parte in cui riprende il controllo del regno e guida l’esercito alla vittoria sono il classico Conan.

7) La Torre dell’Elefante (The Tower of the Elephant, marzo 1933)
Altro racconto emblematico di Conan: nella cronologia tradizionale delle sue avventure, questa è la storia che inaugura la sua carriera di avventuriero. In una taverna di Shadizar, capitale della Zamora, il giovane Conan ha una disputa con altri avventori sulla misteriosa Torre dell’Elefante, residenza del mago Yara, di cui tutti hanno timore: si dice che all’interno sia custodita una gemma di valore incalcolabile chiamata, senza troppa fantasia, Cuore dell’Elefante. D’impulso, Conan decide di rubare la pietra. Appena scavalcato il muro esterno però si imbatte in un altro ladro, Taurus, al quale si unisce nel colpo: i due si arrampicano in cima alla torre e Taurus dapprima aiuta Conan, poi sembra tradirlo ma subito dopo viene ucciso da un ragno che sorveglia la stanza d’accesso sul tetto. Anche Conan se la vede brutta con questo ragno ma alla fine riesce ad ucciderlo: scese le scale, trova la stanza della gemma, dov’è tenuto prigioniero anche Yag, una sorta di umanoide con la testa di elefante. Questi appartiene ad una razza extraterrestre ed è giunto sulla terra in epoche dimenticate: in un passato imprecisato Yara lo ha catturato e mutilato per strappargli segreti e magie ed ancora prosegue con le sue torture.
Dopo avergli narrato la sua triste storia, Yag chiede a Conan di ucciderlo (e in questo modo liberarlo), strappargli il cuore e spremerne il sangue sulla gemma, che poi deve usare per un ultimo sortilegio su Yara: Conan esegue tutto secondo le istruzioni. Immediatamente Yara viene rimpicciolito dall’incantesimo e poi assorbito dalla gemma, nella quale lo aspetta Yag, tornato in piena forma, ali comprese. Conan può lasciare tranquillamente la torre, come gli aveva promesso l’uomo elefante: solo quando è all’esterno la torre, che era stata costruita in una sola notte dalla magia di Yag, collassa. Atmosfere suggestive e puro concentrato di tutto ciò che è Conan.

8) L’ombra dell’avvoltoio (The Shadow of the Vulture, gennaio 1934)
L’unico racconto per così dire storico: è una rivisitazione dell’assedio turco di Vienna del 1529. Il racconto – l’unico di questa lista pubblicato non da Weird Tales ma da Magic Carpet – è rilevante per varie ragioni ed in particolare perché segna l’esordio di Red Sonya, un’eroina che è più dura delle femministe revansciste da film contemporaneo ma al tempo stesso rimane molto femminile. Include anche eroi che sono antieroi, cattivi che sembrano usciti dal telegiornale ed un’ambientazione che trasuda Conan: il protagonista, Gottfried von Kalmbach, è Conan in tutto tranne che nel nome e nei baffoni; l’atmosfera è hyboriana; e l’antagonista è il tipico avversario quasi tridimensionale delle storie di Conan. Solo, Vienna non è Tarantia.
La storia segue le vicende di von Kalmbach, che dopo nove mesi di prigionia viene liberato dal Solimano assieme agli altri legati occidentali: ma il sultano lo riconosce anche come il solo che sia mai riuscito a ferirlo in combattimento e per questo ne ordina l’esecuzione. Tuttavia von Kalmbach è ormai lontano, così per poterlo punire il Solimano accelera l’invasione dell’Europa, che si infrange alle porte di Vienna, dove l’eroe ha riparato. Dopo mesi di combattimenti, nei quali brilla anche Red Sonya da Rogatino, sorella di Roxana (la favorita del sultano) e combattente eccellente, il Solimano sconfitto fa le valigie e torna a casa: ma prima, con un espediente, i nostri fanno fuori Mikhal Oglu, il capo degli scorridori che erano stati sciolti all’inseguimento di Kalmbach (e che sulla schiena dell’armatura portava due ali di avvoltoio, da cui il titolo), e ne mandano in dono la testa al sultano.

9) Ombre a Zamboula (Man-Eaters of Zamboula / Shadows in Zamboula, novembre 1935)
La terza storia di Conan inclusa in questo elenco: la sua forza è l’intreccio, formato da diverse sottotrame che si svolgono parallelamente, dando così l’idea di un ambiente vivo, reale. C’è la taverna di Aram Baksh, dove gli stranieri scompaiono; ci sono i cannibali; c’è la pazzia di Jungir Khan, il reggente della città, e la fuga di Nefertari, sua amante; c’è il desiderio di vendetta di Nefertari su Totrasmek, il prete malvagio del dio Hanuman; e c’è la Stella di Khorala, l’anello che all’improvviso tutti vogliono.
Tutto in una notte.
E quasi tutto viene risolto da Conan, banchetti cannibali a parte.
Zamboula è una città nel deserto dello Shem: alla sua periferia si trova la locanda di Aram Baksh, che attira gli stranieri perché costa poco; da qui però gli ospiti scompaiono. Conan ha finito il denaro e perciò vi prende una camera per la notte: la stanza ha due porte, l’una dà sul corridoio, l’altra sul cortile esterno; entrambe possono essere chiuse dall’interno con un paletto. Ma, si scopre, il paletto della porta verso l’esterno può essere aperto anche da fuori mediante un meccanismo nascosto, mentre la porta che dà all’interno viene bloccata silenziosamente dal corridoio: è il modo in cui Aram Baksh offre facili prede agli schiavi cannibali del Darfar che si radunano nei dintorni per i loro festini, in cambio di bottino.
Conan uccide l’uomo che era andato a prelevarlo: sta anche per vendicarsi su Aram Baksh ma viene attirato dalle grida di aiuto di una ragazza trascinata da tre cannibali e così interviene a salvarla. La ragazza, Zabibi, stava scappando dal fidanzato, impazzito in seguito ad un filtro d’amore che lei gli aveva somministrato: occorre portare al sicuro il ragazzo prima che venga catturato dai cannibali. Lo ritrovano presto ma, ancora pazzo, cerca di ucciderli: Conan lo stordisce con un cazzotto (e intanto gli ruba l’anello che porta al dito, si scopre alla fine) ed assieme lo portano a casa della ragazza. Il lettore ancora non sa che il pazzo è Jungir Khan, il reggente della città, e Zabibi è in realtà Nefertari, la sua amante e burattinaia: Jungir Khan è stato reso folle da un filtro che la donna gli aveva somministrato per sottrargli l’anello appena rubato da Conan, la Stella di Khorala, che, donatogli dalla regina di Ophir, ha il potere di piegare alla propria volontà le persone del sesso opposto. Nefertari, innamorata e gelosa, teme che possa usarlo per sedurre altre donne.
Dopo aver tratto in salvo l’uomo, Conan, ancora accecato dall’avvenenza di Zabibi/Nefertari, accetta di seguirla per darle la vendetta su Totrasmek, il prete di Hanuman che le ha fornito il filtro: lei ne voleva uno che stordisse Jungir Khan per qualche ora, in modo da sfilargli l’anello; Totrasmek, vista l’opportunità di prendere il controllo della città, l’ha invece ingannata con tutt’altra pozione.
I due entrano nel tempio e Nefertari viene rapita da una porta segreta: Conan la cerca seguendo un’altra strada e così si imbatte in Baal-Pteor, un gigante che cerca di strangolarlo ma Conan è più forte e gli spezza il collo. Intanto il sacerdote si sta divertendo a spese di Nefertari: quattro cobra che sono illusioni cercano di morderla e lei è costretta a saltare in continuazione per evitarli, almeno finché la spada di Conan non uccide il prete e fa apparire le illusioni per quello che sono. Nefertari strappa l’antidoto dalle mani del prete morto, corre a casa e lo somministra al fidanzato, che rinsavisce: poi si rivela a Conan, gli spiega tutta la storia (potere dell’anello compreso) e gli dà anche una borsa piena d’oro con la promessa di promuoverlo quel giorno stesso a capitano delle guardie. Ma Conan – che, ora si scopre, ha rubato l’anello – acquista un cavallo, torna alla taverna, richiama l’attenzione di tre cannibali ai quali promette una facile preda, entra in casa di Akram Bash, gli mozza la lingua perché non possa parlare e lo dà in pasto ai darfariani affamati.
Bella storia, abbastanza cupa, con un intreccio solido: nell’insieme è molto conaniana, perché l’eroe usa tanto i muscoli quanto il cervello e alla fine non opera per il bene ma tanto per interesse proprio quanto per vendetta.

10) Il Fuoco di Assurbanipal (The Fire of Asshurbanipal, dicembre 1936)
Un altro racconto che si inserisce nel filone di Cthulhu, pubblicato postumo. È la classica storia di un avventuriero, Steve Clarney, che percorre il deserto col suo servitore indigeno, Yar Ali, in cerca di qualche tesoro perduto: in questo caso è una gemma leggendaria, il Fuoco di Assurbanipal appunto, che si dice essere custodita in una città altrettanto leggendaria sperduta da qualche parte nel deserto. Esaurite scorte e munizioni per difendersi dai predoni, finalmente i due scovano la città, che è abbandonata da tempo immemore ed invasa dalle sabbie: esplorandone le rovine trovano anche il Fuoco in una stanza elevata, una sorta di torre, in cima al tempio di Baal.
Proprio come aveva confidato cinquant’anni prima un tale in punto di morte ad un parente di Yar Ali, la gemma è ancora stretta nella mano di uno scheletro accasciato sul trono: tuttavia proprio quando stanno per impadronirsene ritornano i beduini, guidati da un vecchio nemico del protagonista, Nureddin el Mekru, che li catturano. Clarney e Yar Ali hanno così modo di vedere cosa succede a Mekru quando, contro il consiglio dei suoi uomini spaventati (che raccontano la storia e la leggenda della pietra e della città: in sostanza un gioiello rubato da un mago ad un demone), lo sceicco tocca la gemma: si apre un muro in apparenza solidissimo, ne esce un tentacolo che afferra l’uomo e lo trascina con sé dall’altra parte del portale. I beduini fuggono terrorizzati abbandonando i due protagonisti, che sono ancora legati: così, chiusi gli occhi per non vedere e non impazzire, poco dopo sentono uscire dal muro la cosa, che rimette la pietra al suo posto. Segue il finale che ci si aspetta.

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