L’ambientazione rinascimentale di Averoigne è una delle più singolari di Clark Ashton Smith: abituati come siamo a mondi che non si allontanano mai troppo da un medioevo ideale – e a volte si collocano addirittura in un’epoca anteriore, che ricorda l’età del ferro (questo vale in particolare per la sword and sorcery) – quando ci imbattiamo in un’ambientazione per così dire «inedita», posta cioè in un periodo storico inusuale e, sia pure di poco, successivo al consueto, è inevitabile che la nostra attenzione venga immediatamente sollecitata e risvegliata dalla novità. Certo, proprio in quanto rinascimentale, in Averoigne ci sono ancora diversi elementi medievaleggianti ma nel complesso le storie di questo ciclo sono già proiettate verso l’epoca moderna: in un certo senso, ne hanno anche il sapore.
Tuttavia va anche osservato che, per lo più, i racconti non sono eccezionali: decorosi, leggibili, molto fantasiosi e per molti aspetti anche copiabili da un master a corto di idee per la sua campagna di gioco di ruolo, questo senz’altro; ma con l’eccezione del valido «Colosso di Ylourgne» faticano ad essere inclusi tra i racconti più memorabili della produzione di Smith. È singolare invece che due delle migliori storie di Averoigne, «Il fabbricante di gronde» e «La mandragora», si trovino in altre raccolte della stessa collana, ossia «Il destino di Antarion» la prima e «La Venere di Azombeii» la seconda.
Occorre infine rilevare che «La fiamma della città cantante», a cavallo tra fantasy, fantascienza ed «orrore cosmico» non è ambientato ad Averoigne ed è contenuto anche in altre raccolte; come al solito, le storie che chiudono il volume sono trascurabili.
– Il satiro (The Satyr, 1931)
Quando la moglie fugge per amore con un poeta di passaggio, il conte tradito comprende finalmente che i due se la intendevano e così li insegue nell’antica foresta dove si dice viva un essere antichissimo. Ed è proprio così: appare infatti un fauno, che dapprima fa esplodere la passione tra i due clandestini e poi, quando il conte li scova e sta per ucciderli entrambi, rapisce la donna, lasciando i due uomini con un palmo di naso. Evocativo. (5/6)
– Il mostro dell’Averoigne (The Beast of Averoigne, 1933)
La comparsa di una cometa coincide con l’apparizione di un mostro feroce, che semina il panico nella regione: questo mostro si nutre solamente del midollo spinale delle vittime. Sia la religione sia la legge falliscono nella caccia, così le autorità si rivolgono infine ad uno stregone che, interrogato un demone prigioniero di un anello lasciatogli dal padre, scopre l’identità della creatura: è un demone prigioniero della cometa. Lo stregone sconfiggerà poi il mostro, barattando la libertà del demone prigioniero del suo anello con la distruzione del demone invasore, che, essendo incorporeo, si era impossessato del corpo dell’abate del convento locale per compiere le sue scorribande. Decoroso. (5/6)
– La santità di Azeradac (The Holiness of Azéderac, 1933)
Tramite il suo tirapiedi, un vescovo, in realtà adoratore del demonio, riesce a far andare indietro nel tempo il monaco mandato ad esaminarlo, che non solo ha trovato traccia della sua colpevolezza ma ha anche preso con sé un manoscritto empio a riprova dell’accusa.
Questo monaco piomba così nell’Averoigne di settecento anni prima, quand’era ancora pagana. Salvato da una strega che subito si innamora di lui, dopo un anno di amoreggiamenti torna nel proprio tempo ingerendo una pozione datagli dalla donna: ma la strega aveva potenziato l’effetto di questo filtro in modo tale da farlo arrivare cinquant’anni dopo l’epoca da cui il monaco proviene, quando ormai tutti gli altri protagonisti della vicenda sono morti ed il vescovo occultista addirittura fatto santo.
Vista l’inutilità della propria missione, con un’altra pozione datagli dalla strega – che permette di andare indietro nel tempo – il monaco torna dalla donna, che non gli dirà mai che aveva sbagliato di proposito la pozione perché lui tornasse da lei. (5/6)
– La fine della storia (The End of the Story, 1930)
Per sfuggire ad un temporale un tale ripara in un convento: qui è accolto dal priore, che gli mostra la sua raccolta di libri. Tra questi trova un libello che parla delle vicine rovine di un castello, dove si dice dimorino le streghe. Incuriosito, il tale va a verificare di persona e, raggiunti i ruderi, trova un mondo sotterraneo di stile classico, accogliente, dove una donna splendida lo sta aspettando: questi cede al suo incantesimo e resta con lei ma viene salvato dall’intervento tempestivo del priore, che dispensa acqua santa. La donna era in realtà la strega delle rovine, una lamia, una donna serpente, che divora gli uomini che ama: pur salvato il tale però non fa che pensare a lei e medita di tornare a farle visita, accada quel che deve accadere. (6)
– Un rendezvous in Averoigne (A Rendezvous in Averoigne, 1931)
L’incontro clandestino tra un menestrello ed una nobildonna nel profondo della foresta (stregata) di Averoigne deve fare i conti con i furon conti di un castello in rovina: i due nobili, morti da secoli e sepolti in una tomba sconsacrata, sono vampiri, il castello stesso un’illusione. I protagonisti vengono obbligati dagli ospiti ad essere loro ospiti per la notte, durante la quale succhiano sangue ai due servitori che li accompagnano: persuaso dell’identità dei padroni di casa, il mattino dopo il menestrello cerca il sepolcro dei due vampiri, lo scoperchia e li uccide entrambi alla vecchia maniera. Così cessa anche l’illusione del castello. (6)
– L’incantatrice di Sylaire (The Enchantress of Sylaire, 1941)
Un sognatore, respinto dalla bella ma fatua di cui si era invaghito, si ritira ad una vita di eremitaggio. Una mattina incontra una splendida donna, che si presenta come l’incantatrice del titolo, e la segue al di là di un dolmen, nel suo regno, dove si amano. La accompagna un lupo (mannaro) che successivamente si manifesta al protagonista come un mago già amante della donna, poi tradito da ella e trasformato in lupo mannaro: questi mette in guardia il sognatore e lo sollecita a fuggire, perché nulla in quel reame è come sembra, la stessa incantatrice è in realtà una lamia, che usa ed uccide i suoi amati.
La donna scopre tutto ed incarica l’eremita di mandare all’aria il piano del lupo mannaro di riprendere forma umana: questi lo fa, ciononostante riceve in regalo dal lupo, ancora ignaro della trama, uno specchio magico, che mostra le cose come sono in realtà e non come appaiono. Messo alla prova, questo specchio mostra lo stesso mago come un cadavere in putrefazione. Tornato dall’incantatrice, vi trova la bella fatua accompagnata da due servitori: era stato scorto da alcuni cacciatori e lo aveva seguito al di là del dolmen, per soddisfare la propria curiosità.
Arriva anche il lupo mannaro, finalmente consapevole del tradimento, che per vendicarsi tenta di uccidere la bella ma il protagonista lo ammazza con una spada magica, datagli in precedenza dall’incantatrice. La bella fatua si innamora così del sognatore, che però l’allontana e decide di rimanere nel reame magico con la lamia: butta via persino lo specchio, rifiutandosi di vedere la vera forma della fattucchiera. A lui va bene così. (6)
– Il ritrovamento di Venere (The Disinterment of Venus, 1934)
Il ritrovamento di una statua di Venere nell’orto di un convento risveglia passioni dimenticate nei monaci: l’abate teme trattarsi di un demone ma esita ad ordinarne la distruzione. Dopo l’ultima vittima, un monaco integerrimo trovato morto abbracciato ad essa, la statua viene risotterrata (assieme al corpo del monaco, che non si riesce a sciogliere dall’abbraccio della statua) e l’orto abbandonato. (5/6)
– Il colosso di Ylourgne (The Colossus of Ylourgne, 1934)
Un negromante moribondo, per vendicarsi della città che lo voleva morto, fugge e prepara il suo ritorno: attira a sé centinaia di cadaveri usciti dalle tombe, li fa fare a pezzi e cuocere dai servitori, ricavando così il materiale per modellare il corpo di un essere gigantesco, nel quale poi trasferisce la sua anima. Ma un suo adepto apostata sceglie di affrontarlo e, nella battaglia che distrugge mezza città di Vyones, è il solo che riesca a sconfiggere il colosso. Splendide atmosfere, discreta avventura. (7)
– La città della fiamma cantante (The City of the Singing Flame, 1931)
Nei suoi vagabondaggi in montagna, un tale scova la porta per un’altra dimensione, dove si trova una città abitata da giganti, nella quale arde una fiamma verde: da questa fiamma si diffonde una musica dolcissima che attira chi la ascolta a gettarsi all’interno della fiamma. Così fanno molti pellegrini alieni e così faranno in seguito il tale ed un suo amico. Ma prima il tale, scritto un diario, lo manda al protagonista che, letto il manoscritto, segue le tracce dell’amico, trova il portale e la città (sotto attacco) e finisce nella fiamma: questa non arde ma è il portale per un’altra dimensione di beatitudine, che gli abitanti dei regni esterni vogliono distruggere col loro attacco.
In questa dimensione il protagonista trova gli amici (che lo aspettavano), li informa dell’attacco ed assieme a loro fugge appena in tempo: solo che, nella distruzione della città, l’amico del tale rimane ucciso. I due superstiti riescono a tornare nella nostra realtà. Buona l’idea ma il racconto è troppo lungo e, soprattutto, noioso, zeppo di reminiscenze dei viaggi onirici di Lovecraft che lo rendono un mattone. (5)
– Cineserie (Chinoiserie, 1931)
Una paginetta di struggimento orientale. Trascurabile. Dimenticabile. (3)
– Il nono scheletro (The Ninth Skeleton, 1928)
Un delirio del protagonista, che sogna scheletri dove non dovrebbero essercene. Forse è lo…scheletro di un racconto più ampio mai scritto. (3)
– Lo specchio nella sala di ebano (The Mirror in the Hall of Ebony, 1934)
Un’altra paginetta di nulla. (3)
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