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John Maddox Roberts – Viaggio in fondo alle stelle

Il centro della galassia è una delle meraviglie a cavallo tra realtà e finzione che da sempre affascina la fantascienza: inaccessibile persino ai telescopi più potenti e al tempo stesso così misteriosa da prestarsi alla fantasia più sfrenata, questa regione dello spazio è presto diventata l’immagine stessa della bellezza dell’infinito, una vasta area costellata di stelle luminosissime e così vicine le une alle altre da formare quasi una corona di luce vivissima attorno al nucleo vero e proprio, probabilmente un buco nero.
L’immaginazione poi ha riempito i vuoti lasciati dall’osservazione diretta: qui tutto è possibile, non solo scovare civiltà aliene progredite e rovine o relitti vecchi milioni di anni ma anche trovare una diversa fisica o addirittura imbattersi in esseri soprannaturali. Così il centro della galassia è diventato anche il luogo dell’avventura per definizione: e di conseguenza è stato subito saccheggiato dalla space opera, che qui ha trovato il suo ambiente naturale.
Sono infatti molte le storie che parlano del viaggio dei protagonisti al centro della galassia, solitamente il primo mai compiuto dall’umanità, spesso con conseguenze impreviste: una di queste è l’ottimo «Viaggio in fondo alle stelle» di John Maddox Roberts (Space Angel, 1979), nel quale l’equipaggio dell’eponima carretta dello spazio si trova all’improvviso lanciato suo malgrado in un avventuroso viaggio nel cuore della galassia, da dove tornerà con rivelazioni sorprendenti.

Personaggi ben caratterizzati
Primo di una brevissima serie che conta un solo seguito («Window of Mind» del 1988, mai tradotto in italiano), «Viaggio in fondo alle stelle» è una space opera genuina pubblicata nel 1979: tolta l’unica edizione italiana del 1984 (Urania), il libro però non viene più ristampato dal 1983. Un vero peccato, perché non è solo una lettura gradevole – forse un po’ troppo semplice e lineare – ma anche un concentrato di quello che dovrebbe essere un’avventura spaziale ben congegnata, con alieni, misteri, esplorazioni e pure entità preternaturali, che coincidono col punto di partenza e di arrivo della storia.
Ciò che colpisce di più però è l’ottima e inaspettata caratterizzazione della dozzina di personaggi: in meno di duecento pagine tutti riescono a sviluppare una loro personalità, sufficiente per non confonderli l’uno con l’altro e renderli unici, non intercambiabili, come invece sono spesso i comprimari di certi libri anche più pretenziosi, nei quali in definitiva i personaggi minori non sono altro che un nome ed un elenco di caratteristiche ma senza anima. Roberts invece riesce persino ad umanizzare tutti i membri dell’equipaggio della Space Angel, alieni inclusi: sono magari un po’ piatti e legnosi, questo sì, ma almeno danno tutti l’idea di avere una volontà propria, indipendente dal controllo dell’autore, tanto da riuscire persino a suscitare la simpatia del lettore nonostante le scarse apparizioni.
La storia vorrebbe essere corale, con l’astronave ed il suo equipaggio come punto focale. Ma in realtà un protagonista – una sorta di primo tra pari – c’è: per l’abbondanza di scene che lo ritraggono al centro dell’attenzione, a prima vista si direbbe che questo protagonista sia un certo Torwald Raffen detto Tor, spaziale esperto e sempre all’altezza della situazione; e sicuramente si tratta di una figura importante nell’economia del racconto. Tuttavia il vero personaggio centrale della storia è un altro, un certo Kelly, un ragazzo di sedici anni che viene preso a bordo come mozzo per intercessione di Tor: nei due anni dell’avventura lo si vede crescere così bene che alla fine diventa lui stesso uno spaziale di prima classe, oltre che un uomo fatto.

Una space opera genuina
Quanto alla storia, c’è un po’ di tutto: esplorazione dello spazio, dai sistemi vicini a noi fino al centro della galassia; esplorazione di relitti di astronavi, tutte aliene ed avanzatissime; esplorazione di pianeti, da quello selvaggio zeppo di rovine a quello interamente trasformato in un astroporto robotizzato; alieni di ogni tipo, da quelli umanoidi o di origine umana come i Viver (una sorta di sottorazza creata dalla scienza terrestre prima che la sperimentazione genetica venisse bandita) a quelli interamente alieni, come il similgranchio Omero; il classico covo dei pirati o contrabbandieri, dove il crimine rende superflue le leggi e si amministra da sé; la superscienza, da quella inspiegabile di origine aliena ai prodigi di Sfera, l’essere soprannaturale che la Space Angel è costretta a portarsi con sé; ed esseri soprannaturali, appunto, non solo la Sfera che spadroneggia a bordo ma soprattutto l’entità che sta al centro della nostra galassia e che è diventata malvagia. Solo il combattimento è scarso, caratteristica rara per un’avventura spaziale, ed è concentrato nell’ultima parte della storia, quando i protagonisti devono sfuggire dagli alieni prepotenti che li hanno catturati: ma non se ne sente il bisogno, la trama è già solida di suo e non beneficerebbe di ulteriori effetti speciali.
Certo, molti di questi ingredienti sono scontati ed in certi casi non vengono nemmeno sfruttati al pieno delle loro potenzialità (l’esplorazione dei relitti e dei pianeti ad esempio reclamerebbe molto più spazio di quello che viene riservato loro) ma mescolati come sono, senza che nessuno risulti prevalente sugli altri, riescono a rendere sorprendentemente gradevole e scorrevole la lettura del «Viaggio in fondo alle stelle»: merito anche della scelta dell’autore di passare da un evento significativo all’altro, saltando i mesi di nulla che intercorrono tra l’uno e l’altro.
Così, dopo le prime pagine necessarie a far decollare la storia, il ritmo si fa subito sostenuto e lo rimane fino alla fine.

Un nuovo impiego
Dopo un breve prologo che si chiarirà nel finale, la storia si apre con una scena tipica della space opera: Torwald Raffen, uno spaziale incallito nonostante la giovane età (ha meno di quarant’anni ma esperienza sovrabbondante), si reca allo spazioporto in cerca di un ingaggio. Scarta subito le grandi e belle navi di linea delle compagnie più grosse, alle quali la sua natura insofferente mal si adatterebbe, per cercare invece lavoro su una carretta dello spazio: sceglierà la Space Angel, una vecchissima astronave dismessa cinquant’anni prima dalla compagnia Angel Line e significativamente parcheggiata nella piazzola più distante dell’astroporto. Rimane infatti colpito dall’efficienza e competenza dimostrata dalla sua capitana, Gertie Halevi, una donna di cinquant’anni che sa il fatto suo: non secondo i canoni moderni delle feminazi (che vogliono le donne più maschie dei maschi, in una sorta di rivalsa forzata) ma secondo quelli più tradizionali di una donna forte che però non abiura la propria identità femminile, alla Ellen Ripley per intenderci.
Dal colloquio con la «skipper» Torwald ricava diverse informazioni, tra cui che a bordo deve regnare un buon clima e soprattutto si deve mangiare bene, così accetta l’incarico di quartiermastro, in sostanza un magazziniere tuttofare che deve sapersi arrangiare in ogni situazione (come il resto dell’equipaggio, una decina di spaziali).
Però, poco prima di salire a bordo per il colloquio, nel bar dello spazioporto Torwald aveva conosciuto un ragazzino di nome Kelly che si era fermato al suo tavolo: questi, sedicenne ed orfano, gli aveva confidato che desidera da sempre diventare uno spaziale ma è stato respinto più volte, persino dalla flotta militare, che richiede una laurea ed un fisico perfetto. Pur senza mostrarlo, Torwald si era preso a cuore il giovane e così, saputo che a bordo della Space Angel c’è bisogno di un mozzo, propone il ragazzo e la capitana accetta: tornato al bar, dove il ragazzo sta ancora fissando sconsolato la sua tazza di caffè ormai freddo, gli dà la buona notizia e lo accompagna ad acquistare tutto l’equipaggiamento di cui avrà bisogno, consigliandolo con la sua esperienza di spaziale di prima classe.
Per tenere la storia coi piedi per terra, il costo del materiale gli verrà detratto dalla paga.

L’apparizione di un’entità soprannaturale
Una volta partiti, la capitana ed il suo ospite illustrano la missione: raggiungere un certo pianeta deserto dove il finanziatore della missione ha trovato un gigantesco blocco di diamante, riempire la stiva della nave e poi, col tempo, ottenere la concessione di sfruttamento del pianeta. Tutto procede secondo i piani fino all’ultimo giorno quando, tagliando le ultime lastre, l’equipaggio della Space Angel trova, sepolta in mezzo a questa autentica montagna di diamante, una sfera di un metallo sconosciuto, del diametro di una trentina di centimetri: quella notte la sfera – anzi, Sfera – si rivela, prende il controllo della situazione ed obbliga nave ed equipaggio a compiere una missione per suo conto.
In sostanza, in epoche remote le Stelle Nucleo, ossia i centri delle diverse galassie, hanno raggiunto la coscienza di sé e sviluppato poteri quasi divini, che alcune hanno utilizzato per compiere delitti di un tipo che gli umani non possono nemmeno immaginare: milioni di anni fa Sfera – che è una parte della sua Stella Nucleo originaria – è stata inviata per curare la Stella Nucleo della nostra galassia ma, scoperta, è stata costretta alla fuga e ha dovuto rifugiarsi in un pianeta (questo), circondandosi di un guscio di diamante per proteggersi dal contrattacco. Adesso Sfera, che lontana dalla sua Stella Nucleo si è indebolita, ha bisogno dell’aiuto della Star Angel per raggiungere il suo obiettivo e non accetta rifiuti: il nuovo compito della nave sarà non solo di portare Sfera al centro della galassia ma anche di distrarre il Guardiano mentre lei cercherà di curare la Stella Nucleo.
Per fortuna all’entità alcuni poteri sono rimasti: è in grado ad esempio di far transitare l’astronave nell’iperspazio, dove può procedere ad velocità superluminale, e di assumere il controllo delle apparecchiature aliene che i nostri incontrano lungo il cammino, così da agevolare il loro compito.

Nuovi compagni di viaggio
L’equipaggio reagisce bene alla notizia e così, verso metà libro, inizia l’avventura vera e propria: la prima tappa porta la Space Angel su Nuova Andorra, il covo dei contrabbandieri, per acquistare armi ed ingaggiare un paio di Viver, «una sottospecie della nostra razza creata prima che la tecnica genetica applicata agli esseri umani fosse dichiarata illegale». Ottimi combattenti, questi Viver sono umanoidi coperti da scaglie chitinose e zeppi di artigli, aculei ed altre propaggini appuntite o affilate: al posto delle dita dei piedi hanno degli zoccoli come i cavalli. Anche i loro occhi non sono umani ma sono indipendenti l’uno dall’altro, capaci di scrutare tutt’intorno alla testa attraverso fessure in una piastra cranica che serve proprio a proteggerli. All’interno del corpo poi le differenze sono ancora maggiori, la più rilevante delle quali è la capacità del Viver di rigenerarsi, persino se dovesse essere tagliato in due.
Consapevoli della loro superiorità fisica rispetto agli umani, i Viver sono ovviamente presuntuosi e supponenti nei confronti degli umani, che giudicano inferiori: tuttavia per diventare adulti devono superare una sorta di ordalia – in pratica mettersi al servizio di qualcuno e sopravvivere – e così caso vuole che attorno a Nuova Andorra stia orbitando una loro nave che ha giusto due giovani pronti a sostenere l’esame di maturità.
Ripreso lo spazio con i due Viver a bordo, il salto successivo fa apparire la Space Angel in prossimità dei relitti di due gigantesche astronavi (misurano sul centinaio di chilometri di lunghezza) che si sono compenetrate: una sorta di fuso ha perforato una specie di vassoio ovale e vi è rimasto incastrato. Questo fuso è disabitato ma zeppo di cilindri in cui galleggiano creature piatte e rotonde, dotate di protuberanze fungoidi, tentacoli, appendici e noduli, immerse in un liquido trasparente: più avanti si scoprirà che la nave era una delle centinaia usate dai superstiti di un’antica razza per sfuggire alla distruzione del loro mondo.
L’altra nave, pure disabitata, è invece un gioiello di bellezza: l’interno è costellato di edifici, giardini e fontane: apparteneva agli Hubri, «forse il popolo più esteta che sia mai esistito. Come artisti e protettori delle arti non hanno paragoni. Visitarono per secoli i mondi dei sistemi centrali, e poi scomparvero un migliaio di anni fa mentre erano alla ricerca di nuove esperienze artistiche». Molto simili agli umani, avevano locali dedicati ad ogni tipo di intrattenimento e piacere: e le macchine di bordo funzionano ancora, soprattutto quelle che producono cibo, ottimo e commestibile anche dopo secoli, per la gioia dell’equipaggio.
Qui i nostri trovano anche un nuovo amico: Omero, una specie di grosso granchio, che appartiene ad una razza aliena intelligentissima che può scegliersi la forma fisica. Questo Omero – non è il suo vero nome ma quello che, anche qui, ha scelto per interagire con gli umani dopo averne rapidamente imparato la lingua e la cultura – è una sorta di poeta o cantore errante, che si trovava a bordo del relitto degli Hubri per raccogliere informazioni su questa razza: è ben contento di unirsi alla Space Angel, sia per imparare qualcosa sugli umani, la cui esistenza è ignota verso il centro della galassia, sia per la missione in sé.

Ritorno a casa
Dopo una puntata su un pianeta arretrato, la cui popolazione è stata schiavizzata da una razza brutale, ed una fuga precipitosa, i nostri arrivano all’ultima tappa prima dell’affondo finale: Sfera sa che, anche con i suoi poteri, la Space Angel non ha alcuna possibilità di superare il potente Guardiano che protegge la Stella Nucleo. Decide quindi che occorre creare un diversivo: e grazie alle conoscenze di Omero lo trova in un pianeta interamente trasformato in astroporto. In sostanza, un’antica razza impegnata in una guerra senza fine aveva creato astronavi robot capaci di ripararsi e replicarsi da sé: queste macchine hanno proseguito nel loro compito anche dopo la scomparsa dei loro creatori, per poi fermarsi in attesa di nuove istruzioni. Sfera, con i suoi poteri, riesce infine a penetrare il sistema di controllo e ad assumere così il comando di tutti i robot parcheggiati nel settore: una flotta che conta quasi otto milioni di astronavi, che poi manda alla distruzione certa come diversivo contro il Guardiano e così superarlo senza dare nell’occhio.
Il trucco riesce e Sfera può finalmente combattere la Stella Nucleo: non per sconfiggerla ma per curarla, in un modo che, tanto per cambiare, gli umani non potrebbero capire. Visto il successo, Sfera libera la Space Angel dal suo servizio e, con i ritrovati poteri (basta la vicinanza di una Stella Nucleo per ricaricarla), rispedisce l’astronave non solo nell’orbita della terra ma anche indietro nel tempo di un paio di anni, in sostanza pochi momenti dopo la partenza.
Questo ovviamente allerta le autorità terrestri che, dopo le relative indagini, devono accettare le spiegazioni fornite dall’equipaggio e corroborate dalle informazioni contenute nei computer di bordo: nel frattempo le avventure dell’astronave sono divenute popolari ed i nostri protagonisti delle celebrità.
Nell’epilogo il capitano di un’altra carretta dello spazio, la Black Comet, offre a Kelly un posto a bordo, come spaziale: e Kelly accetta, perché sa che la Space Angel non ha bisogno di un altro spaziale ma solo di un mozzo, che lui si rende conto di non essere più. Come regalo di addio, la capitana HaLevi registra il suo fascicolo personale promuovendo il ragazzo addirittura a spaziale di prima classe.
Bella storia, buon ritmo, grande fantasia: davvero una space opera ben riuscita.

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