C’è stato un tempo in passato in cui ho provato un certo interesse per il filone postapocalittico: non tanto dopobomba e zombi – anche se bene o male questi temi finiscono sempre per comparire in qualche modo – quanto soprattutto per quel sottogenere particolare che è l’ultimo uomo sulla terra, la cui promessa di quiete e silenzio ha sempre esercitato una certa attrattiva su di me. Almeno fino a quando non mi sono reso conto che essere l’ultimo uomo sulla terra ha anche alcuni risvolti negativi, dei quali l’assenza di dentisti quando si ha mal di denti e la scarsità di caffè e cioccolata non sono nemmeno i più rilevanti.
Tuttavia il genere catastrofico – o romanzo di sopravvivenza che dir si voglia – mantiene ancora un suo fascino, che ormai ha preso la forma di un interesse letterario-scientifico: come ci comporteremmo nel caso di un cataclisma mondiale?
Rimbalziamo così all’attualità, che offre una splendida opportunità per valutare le tante idee e predizioni degli autori e metterle a confronto con una situazione reale: solo che, se da un lato i libri postapocalittici traboccano di spunti ed esempi (mai troppo incoraggianti però), dall’altro sono loro stessi impreparati ad affrontare i livelli di panico che la propaganda mediatica ha saputo creare e diffondere attorno a questo virus fantasma.
Dato che adesso il tempo per leggere (e, almeno nel mio caso, anche per scrivere) non manca, mi sono deciso a compilare una lista di dieci validissimi libri postapocalittici che include non solo le tre o quattro storie migliori del genere ma anche una selezione di altre della fantascienza catastrofica, per abbracciare così tutti i possibili scenari da fine del mondo: per epidemia, evoluzione umana, cambiamenti ambientali o naturali, insorgenza di (simil)zombi, e l’immancabile guerra atomica.
Ho lasciato da parte solo le invasioni aliene, che offrono materiale a sufficienza per una lista dedicata, di cui mi occuperò un’altra volta.
Una rapida scorsa sul genere
Indipendentemente dalle cause e dallo scenario, tutte le storie postapocalittiche presentano suppergiù caratteristiche analoghe: crollo improvviso del mondo civile che provoca una situazione di incertezza alla quale i sopravvissuti devono far fronte, ogni gruppo a modo suo; a tempo debito, si pongono le basi di una nuova società, basata su regole nuove. Per sopravvivere, i protagonisti devono essere pronti a cambiare ed adattarsi rapidamente a questo mondo nuovo: ma, orfani una società che li sorregga o ne assorba la caduta in caso di fallimento, devono imparare a fare tutto da soli, dato che l’alternativa è la morte certa.
Proprio per le infinite possibilità che offre, il genere è stato sfruttato all’inverosimile in ogni branca dell’immaginario: gli scaffali traboccano di romanzi e film postapocalittici, che inevitabilmente hanno poi contagiato anche giochi, videogiochi, fumetti e tutto l’immaginario, nel senso più ampio possibile.
Ai fini di questa lista sono ovviamente i libri (e nemmeno i racconti, che pure ce ne sono di buoni) ad interessare: i migliori narrano una storia che si sviluppa su più anni, addirittura decenni o generazioni (come «La terra sull’abisso», il secondo volume nell’elenco, che considero il testo di riferimento per il genere). Ma le storie con queste caratteristiche non abbondano e così è stato necessario integrare questa selezione con altre opere altrettanto buone, che però seguono una strada differente: non descrivono primariamente un’ambientazione nella quale si svolgono anche delle vicende bensì raccontano una storia ben precisa che per caso si muove sullo sfondo di un mondo in rovina, un’avventura da romanzo di sopravvivenza, che solitamente si svolge in un arco di tempo più limitato. In altre parole, in questa seconda categoria, centrale al racconto non è tanto il mondo quanto la storia.
La lista
I dieci libri che seguono sono elencati non in ordine di merito ma di pubblicazione: tre costituiscono il nucleo di letture a mio avviso essenziali («La terra sull’abisso», «Il giorno dei trifidi» ed «Un cantico per Leibowitz»), tutti gli altri meritano sicuramente – con una sola eccezione – ma a patto di aver letto almeno una di queste tre opere per un raffronto.
Dal momento che si tratta di libri che ho letto molto tempo fa, mi sono dovuto affidare agli appunti che avevo scritto all’epoca, integrandoli con gli ultimi ricordi che sopravvivono: si tratta quindi di commenti piuttosto scarni, ben differenti per stile e contenuto dalle recensioni consuete che pubblico su questo blog.
In fondo alla lista pubblico anche un elenco di altri libri che ho preso in considerazione ma che ho dovuto scartare per una ragione o per un’altra.
– Ward Moore – Più verde del previsto (Greener Than You Think, 1947)
Un bel racconto che come libro lascia un po’ a desiderare, perché è troppo lungo e ripetitivo: ma nel suo insieme la storia è valida. Senza nemmeno conoscerne gli effetti, il narratore – un piazzista senza scrupoli – vende il fertilizzante inventato da una donna che si diletta di chimica: gli effetti del prodotto sono prodigiosi, tanto che in una sola notte l’erba inizia a crescere a dismisura nel giardino dove l’uomo l’ha spruzzato per una dimostrazione. Da quel momento la propagazione della nuova erba mutata, indistruttibile, è inarrestabile: in vent’anni arriva a coprire tutto il pianeta e, nell’ultima pagina, intacca anche la nave del protagonista, ultimo rifugio dell’umanità.
Nel corso del libro e di questi vent’anni l’uomo dà il peggio della propria natura: i politici dimostrano la loro incompetenza, la Russia invade l’America con esiti disastrosi per entrambi, gli speculatori si arricchiscono (ed il protagonista è uno di loro, della peggior specie), i superstiti si imbarbariscono e si lasciano andare ad orge, rapine, omicidi, persino al cannibalismo.
La prima parte del libro è abbastanza ironica, la seconda più pessimistica: quando l’erba abbandona l’America per conquistare il resto del mondo cambia il ritmo della narrazione e al piacere della lettura si sostituisce una sorta di dovere, quello di arrivare alla fine per vedere come finisce, nella speranza di un lieto fine che non c’è.
Lungo la metà sarebbe stato godibile il doppio: ma rimane una buona introduzione al genere, sia pure un po’ più sbilanciato verso la critica sociale.
– George Stewart – La terra sull’abisso (Earth Abides, 1949)
Probabilmente il miglior libro postapocalittico in circolazione, senz’altro l’opera di riferimento per tutto il genere: la storia affronta i tre grandi temi della crisi, della ricostruzione all’indomani della crisi e finalmente della nuova società che nasce dalla crisi, completamente diversa da quella che conosciamo. La trama è retta da una sostanziale fiducia nell’uomo e nella sua capacità di cavarsela in tutte le situazioni: ma in sottofondo si avverte anche la consapevolezza dell’autore che ogni opera umana è destinata a perdersi e scomparire, anche la conoscenza.
Isherwood Williams, morso da un serpente a sonagli durante un’escursione, sopravvive ad un’epidemia che lascia pochissimi sopravvissuti nel mondo: si salva probabilmente per l’azione combinata degli effetti del veleno e del virus. Dopo i primi mesi, in cui esplora gli Stati Uniti ormai deserti e si rassegna a vivere da solo a San Francisco, incontra una donna con cui si unisce: pian piano attorno a loro si crea una piccola comunità, la Tribù, che cresce e si unisce a un’altra comunità della zona; passano gli anni e con essi le gioie e i dolori. Ancor prima di divenire capo della Tribù, Ish era solito portare sempre con sé un martello per praticità, che così col tempo si trasforma anche nel simbolo del potere per le generazioni più giovani. Sazio di anni, Ish sarà l’ultimo degli antichi americani a morire: così può così vedere – o intuire – la nuova società che i suoi bisnipoti stanno avviando.
Dalla storia emergono due filoni: da un lato quello positivo della fiducia nell’uomo e nel futuro; dall’altro quello sostanzialmente negativo, latente ma più forte, del progressivo imbarbarimento dell’umanità, che pure però sembra rinascere più felice, o almeno più libera dalle preoccupazioni e senz’altro più forte e semplice, incapace di dare valore – se non pratico – ai resti della civiltà che sopravvivono ancora cinquant’anni dopo il crollo.
Tra alti e bassi, la storia è necessariamente molto lenta e affronta tutti i possibili temi collegati al «giorno dopo»: tratteggia così un quadro credibile del mondo che verrà.
– John Wyndham – Il giorno dei trifidi (The Day of the Triffids, 1951)
Splendida storia postapocalittica, con un finale aperto alla speranza: merita notare che il giorno dei trifidi del titolo non è tanto un riferimento all’inizio del libro quanto piuttosto al suo finale, dal momento che la minaccia delle piante carnivore ambulanti (i trifidi appunto) è marginale, tenuta sullo sfondo per gran parte della storia, anche se da subito si comprende che non è da sottovalutare.
I trifidi qui fanno le veci degli zombi, di cui sono l’equivalente «british», più pulito e presentabile: alla fine però è l’uomo, sembra dire il libro, il vero nemico di se stesso, dal momento che i pericoli narrati provengono da altri esseri umani (ad esempio, si intuisce che i trifidi sono un prodotto della manipolazione genetica; la cometa che acceca tutta l’umanità è in realtà un satellite militare impazzito; alcuni superstiti rifiutano di collaborare con gli altri e pensano solo al proprio tornaconto; e così via).
Una mattina il protagonista, Bill Masen, si sveglia in un ospedale, dov’è ricoverato per un intervento agli occhi: quel giorno dovrebbero togliergli le medicazioni ma non arriva nessuno e così decide di sbendarsi da solo. Presto scopre che tutti sono diventati ciechi, per aver assistito la notte precedente ad una pioggia di meteore.
Vagabondando per una Londra deserta, Masen ricostruisce la situazione e scopre che, in seguito al disastro, si sono liberati anche i trifidi, sorta di piante ambulanti di recente creazione che, pur velenose e carnivore, vengono coltivate in apposite piantagioni per l’olio miracoloso che da esse si ricava.
Nelle sue peregrinazioni, il nostro incontra l’immancabile donna di cui si innamora: subito separati dall’intervento di una fazione rivale, Masen impiega più di metà del libro a cercarla; intanto esplora il resto dell’Inghilterra imbarbaritasi ed osserva i tentativi dei superstiti di avviare piccole comunità, spesso frustrate da altri gruppi umani. Quando i due si riuniscono, vivono assieme per qualche anno, finché non vengono ritrovati dal primo gruppo di superstiti con cui si erano messi in contatto: e con questi, ben organizzati, si preparano a strappare la terra ai trifidi.
A lettura terminata non è difficile comprendere perché questo libro risulti in cima alle classifiche delle migliori opere di fantascienza.
– Richard Matheson – I vampiri / Io sono leggenda (I Am Legend, 1954)
Il capolavoro del cambio di prospettiva: quella che agli occhi del protagonista (e quindi del lettore) sembra l’unica alternativa possibile – ossia lo sterminio dei vampiri che hanno preso il posto dell’umanità – ai diretti interessati (i vampiri) appare invece come l’opera sistematica di un mostro sanguinario. La delicatissima sensibilità moderna metterebbe tutto in termini di genocidio ideologico: ma il libro non si esprime mai su chi siano i buoni e chi i cattivi e persino alla fine lascia che sia il lettore a prendere la decisione.
Da tre anni Robert Neville, l’ultimo uomo della terra (questo era anche il titolo della prima riduzione cinematografica del racconto, negli anni Sessanta), caccia vampiri, ossia ciò che rimane della razza umana dopo un’epidemia provocata dalle bombe batteriologiche: l’umanità è stata trasformata da un particolare virus, che si nutre di sangue e libera elettricità. Durante il giorno Neville entra nelle case abbandonate per cercare ed uccidere queste creature mentre dormono, perché proprio come i vampiri temono la luce del sole; durante la notte si barrica in casa e cerca di ignorare le minacce che gli giungono dall’esterno.
Un giorno però incontra una donna, Ruth, un’altra superstite che pure pare essere ancora umana: in realtà è una spia dei vampiri o, meglio, dei nuovi umani, che stanno imparando a convivere col batterio e ritengono di aver raggiunto un nuovo gradino nel percorso evolutivo; non molto tempo dopo Neville, che in compagnia di Ruth aveva abbassato la guardia, viene catturato. Mentre lo preparano per l’esecuzione, dall’atteggiamento dei suoi carnefici si rende conto che i nuovi umani lo temono: per i mostri, è lui il mostro.
E così, proprio mentre sta morendo, si rende conto di essere diventato una leggenda.
– John Wyndham – I trasfigurati (The Chrysalids, 1955)
Un bel libro con un finale blando. La storia segue il protagonista, David Storm, dai sei ai venti anni di età ed intanto offre uno scorcio su come si viva nel Labrador integrista secoli dopo una guerra atomica che ha spazzato via la civiltà. Qui si è stabilita una comunità agricola ossessionata dalle mutazioni: e David Storm, che è figlio di un fondamentalista, è un mutante; come altri bambini della comunità ha infatti sviluppato la telepatia ma riesce a non manifestarla davanti agli adulti. Quando però anche la sorella scopre di essere telepatica – e molto più potente di tutti – iniziano i guai: i protagonisti devono fuggire. Alla fine vengono salvati dai neozelandesi, che hanno ricevuto le onde mentali della sorella e sono subito accorsi a cercarla, perché stanno costruendo una società formata da soli telepatici.
L’ambiente e la società sono credibili, lo scenario appassionante: l’aspetto meglio riuscito di tutto il libro è tuttavia l’ignoranza. L’ignoranza della storia, del mondo e delle persone, nel senso di ottusità bigotta. La storia ha tutto, persino l’avventura.
– John Christopher – Morte dell’erba (The Death of Grass, 1956)
Il libro descrive il crollo, letterale e metaforico, della civiltà in seguito ad una catastrofe ed il rapido passaggio dalle buone maniere e dal perbenismo alla lotta per la sopravvivenza e all’affermazione del più forte: nel giro di pochi giorni tutte le convenzioni ed i tabù della nostra società vengono infranti dai personaggi principali, i classici liberal da salotto, sempre pronti ad indignarsi – quando hanno la pancia piena – per la sofferenza di popoli lontani o perché, cambiato il contesto, non sono capaci di abituarsi alla nuova realtà e al livello di barbarie necessario per sopravvivere. Solo il protagonista, John Custance, riesce a scrollarsi di dosso questo atteggiamento, anche se come capo lascia parecchio a desiderare e come protagonista non risulta così gradevole come il signor Pirrie, l’unico personaggio che sia già pronto – fisicamente e moralmente – alla sopravvivenza.
Un virus originatosi in Cina e mal «curato» uccide tutta l’erba, comprese le graminacee: ne consegue il crollo della civiltà, anche in Occidente. La storia segue l’esodo della famiglia Custance – e di altri che si aggiungono lungo il cammino – da Londra alla valle del fratello, vicino alla Scozia, adatta ad essere difesa. Lungo la strada tutti perdono sempre più la loro «umanità» per imbarbarirsi e accettare atti come l’omicidio, lo stupro, il fratricidio: non è tanto un libro postapocalittico quanto il trionfo dell’apocalisse stessa.
– Walter M. Miller – Un cantico per Leibowitz (A Canticle for Leibowitz, 1959)
Libro lentissimo, a tratti anche troppo: ha il sapore di un’enorme apologia del cristianesimo medievale mescolata alla filosofia vichiana dei corsi e ricorsi storici; nell’insieme emerge da un lato un pessimismo di fondo sulla natura intima dell’uomo, dall’altro una leggera speranza in un «resto» dell’umanità da cui il genere umano potrà un giorno rivivere, lontano dalla terra ormai condannata però.
L’opera è composta di tre parti, separate seicento anni l’una dall’altra, che hanno lo stesso monastero cattolico come centro narrativo: da questo punto di osservazione si assiste alla rinascita dell’umanità dopo una guerra atomica avvenuta negli anni Sessanta.
La prima storia – ambientata, nemmeno a dirsi, a seicento anni dal conflitto – vede il mondo impegnato a rimettersi in piedi: come i monaci medievali, così anche i preti di questo monastero nel deserto americano sono dediti a recuperare la conoscenza perduta; intanto tentano di far canonizzare il fondatore del loro ordine (il Leibowitz del titolo), un ingegnere martirizzato dopo la guerra.
La seconda storia, con Leibowitz già santo in seguito ad un ritrovamento descritto nell’episodio precedente, è collocata agli albori di una sorta di Rinascimento della nuova era, che vede lo scontro tra chiesa e laicato.
La terza storia infine è ambientata in piena crisi atomica: l’umanità è già cresciuta e per tecnologia ha superato anche la nostra civiltà. Quando sta per scoppiare un’altra guerra atomica, la Chiesa spedisce alcuni monaci del monastero di San Leibowitz (ormai incorporato nel tessuto urbano di un’enorme città) nello spazio, per salvare fede e sapere dalla distruzione.
– Pat Frank – Addio, Babilonia (Alas, Babylon, 1959)
Scoppia la Bomba. Il protagonista riunisce amici e parenti attorno a sé e, tutti assieme, riescono a tirare avanti, soprattutto nei periodi più difficili.
Buon libro postapocalittico, pervaso di buoni sentimenti e proiettato verso il lieto fine, o almeno agrodolce: manca il pessimismo di fondo classico del genere catastrofico, che include sì la fiducia nelle capacità dell’uomo ma anche la sfiducia nella sua intima natura. Qui invece, nonostante le difficoltà, tutto scorre placido e, già allo scadere del primo anno, la situazione è quasi buona per la piccola comunità: non ideale magari ma nemmeno disperata, senz’altro sopportabile. Il peggio è ormai passato e la radioattività nella zona tollerabile: né l’acqua né l’aria né il cibo sono contaminati, il che significa speranza e buone possibilità per il futuro.
– James Ballard – Mondo sommerso (The Drowned World, 1962)
Quando si parla di storie postapocalittiche, è d’obbligo includere uno dei tre libri della trilogia vento-fuoco-acqua di Ballard: e questo è il migliore, tutto dire. Confesso che è l’unica opera qui elencata a non avermi convinto affatto: ma ho deciso di includerlo lo stesso perché presenta un’ambientazione suggestiva che, come sempre, Ballard sfrutta malissimo. Nell’insieme infatti è un libro noiosissimo, quasi senza capo né coda, che continua a giocare sulla realtà e sui sogni, senza mai dire chiaramente quando è l’una e quando sono gli altri: l’aspetto introspettivo, psicologico, onirico è rilevante – oserei dire che è il vero interesse dell’autore – e l’ambientazione postapocalittica è solo funzionale a questa introspezione. Ma tant’è: se piace lo stile sconnesso di Ballard, completamente diverso dallo stile di tutti gli altri libri qui elencati, quest’opera è un successo garantito.
Quando due tempeste solari sciolgono i ghiacci polari (il mito del riscaldamento globale non era ancora stato creato), la terra viene sommersa dall’acqua, che mette così fine alla nostra civiltà. Una spedizione esplorativa è ancorata da mesi in una serie di atolli che sono la vecchia Londra: quando le imbarcazioni della spedizione fanno ritorno a casa, in tre decidono di rimanere, richiamati dall’istinto selvaggio.
Tempo dopo però compare un pirata, al quale si oppone il protagonista, che però ha la peggio: viene salvato solo dal ritorno di un certo colonnello, che sta cercando la spedizione di cui sopra. Per ringraziarlo dell’aiuto, il protagonista fugge senza ragione a sud, dove si trovano solo giungla, afa, pericoli vari e morte certa.
Di Ballard ho recensito anche un altro libro: «Condominium» (High Rise, 1975), che postapocalittico non è ma descrive piuttosto l’antefatto, l’apocalisse in sé, ossia il crollo della civiltà: incredibile a dirsi, è anche decente.
– Ian MacMillan – Virus Cepha (Blakely’s Ark, 1981)
Tempo fa una malattia spaventosa ha colpito l’umanità: il virus si trasmette con facilità a tutte le creature a sangue caldo e, soprattutto, è in grado di mutare e reagire ad ogni tentativo di cura. Il protagonista è un diciottenne che ha vissuto tutta la vita col padre in un angolo remoto degli Stati Uniti (Buffalo): ancora non lo sa ma è immune al virus. Quando il padre muore in seguito al contagio portato da un vagabondo, il ragazzo parte in bicicletta per raggiungere il Centro, che si trova non troppo distante, dalle parti di New York. Qui sorge la salvezza dell’umanità, un complesso sigillato in cui sopravvivono i resti della società: ma, superfluo a dirsi, la realtà è ben diversa.
Lungo la strada il ragazzo fa diversi incontri ed infine giunge al Centro, che è circondato da una serie di zone concentriche via via sempre più sicure. Dopo nuove avventure, riesce ad entrare nel Centro, ne viene respinto e fugge dalla zona più interna proprio mentre la stanno gasando per bloccare il diffondersi dell’ennesima epidemia: nel frattempo però anche il Centro sta cadendo, probabilmente perché il morbo è riuscito ad insinuarsi anche al suo interno (già in passato erano avvenuti dei contagi ma erano sempre stati bloccati rapidamente).
Nella fuga, il ragazzo assume il comando di un gruppetto di ragazzini sbandati e con loro si allontana dal Centro per creare una nuova umanità, immune al virus e capace di sopravvivere allo stato brado.
Altri libri che ho considerato
Nel compilare questa lista ho preso in considerazione anche altri libri, che ho scartato per vari motivi, primo tra tutti perché l’elenco doveva fermarsi a dieci opere: rimangono però letture validissime (alcuni più degli altri) e per questo ho scelto almeno di citarli in coda a questo articolo.
– John Wyndham – Il risveglio dell’abisso (The Kraken Awakes, 1953), un ottimo libro che però ha almeno due difetti ai fini di questa lista: sarebbe il terzo libro di Wyndham, e la storia è ascrivibile al genere delle invasioni aliene;
– Edgar Pangborn – Davy l’eretico (Davy, 1964), storia molto particolare che si dilunga sul cannibalismo: ma anche se è la terra del futuro postatomico, l’ambientazione ha un sapore più fantasy che postapocalittico;
– Philip Dick – La penultima verità (The Penultimate Truth, 1964), una storia che nonostante l’apparenza non è tanto postapocalittica quanto distopica: la terza guerra mondiale serve infatti solo da spunto per parlare del nuovo ordine mondiale che si è stabilito;
– J.T. McIntosh – L’orlo della voragine (Out of Chaos, 1965), un libro che parte da buoni presupposti ma subito si perde in un mare di convenzioni e vicende amorose: un terremoto sconvolge la terra e ne frammenta la crosta in piccoli territori isolati gli uni dagli altri, finché il mare non si fa strada e li trasforma in un gigantesco atollo;
– Harry Harrison – Largo! Largo! (Make Room! Make Room!, 1966) un postapocalittico in fieri: raccoglie tutto il pessimismo dell’epoca e lascia intravedere il collasso della società a causa della sovrappopolazione. È stato reso famoso dal film «2022: i sopravvissuti» (meglio noto col titolo originale: Soylent Green, 1973), che però spartisce poco con la storia del libro. In seguito l’ho recensito qui.
– Edmund Cooper – Gli anni della furia (All Fool’s Day, 1966), buono ma privo di originalità: non ha nulla che non si trovi già in libri precedenti. Si salva l’idea di partenza, che giustifica il comportamento folle dei superstiti: un decennio di attività solare straordinaria spinge al suicidio irrazionale quasi tutta l’umanità; solo i pazzi, gli artisti e gli originali sembrano esserne immuni. E sono loro a popolare il nuovo mondo;
– Roger Zelazny – La pista dell’orrore (Damnation Alley, 1967), un libro dal ritmo sostenuto e capace di tenere sveglio l’interesse del lettore: sono stato incerto sino all’ultimo se includerlo, poi dovendo limitare le scelte l’ho scartato perché pende più verso l’avventura che i temi postapocalittici classici;
– Bill S. Ballinger – L’ultimo guerriero (The Ultimate Warrior, 1975), la «novelization» del film «Gli avventurieri del pianeta terra», di cui segue la trama scena per scena: un ottimo film ma, in quanto sceneggiatura, come libro manca di originalità;
Alan Nourse – Il quarto cavaliere (The Fourth Horseman, 1985), più concreto, interessato soprattutto a descrivere la diffusione del contagio e la lotta al virus che ad ipotizzare le conseguenze di un crollo della civiltà.
Secondo me manca un libro fondamentate “Testimoni dell’Uomo” di Algis Budrys se lnon lo hai letto in tema di sopravvivenza è uno dei migliori che abbia mai letto.
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