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Dieci racconti marziani

Di recente mi è capitato tra le mani questo articolo che, letto soprattutto per curiosità (merito di un buon titolo), già dopo le prime righe aveva risvegliato tutto il mio interesse: in sostanza dice che entro sei anni dovrebbero partire i primi razzi diretti su Marte e che, nei due successivi, l’uomo inizierà a costruire il primo insediamento permanente sul pianeta rosso; attraverso progressive espansioni, da questa testa di ponte poi pian piano sorgerà un’intera città autosufficiente.
Materiale da fantascienza che però pare possa diventare realtà molto presto.
(Aggiunta del novembre 2021: ed infatti, appena tre anni più tardi, già si parla della costruzione di una colonia marziana entro una decina d’anni; la notizia è lo spunto per quest’altra selezione di racconti su Marte).

Un’impresa che ha il sapore della vecchia fantascienza
Probabilmente non vedrò mai il completamento di questo progetto – e sicuramente non sarò tra i fortunati che metteranno piede sul quarto pianeta – ma confido di riuscire a vederne almeno i primi passi: l’allestimento della base che farà da nucleo a quella che – voglio credere – un giorno potrebbe persino chiamarsi «Martia» (era questo infatti il nome della capitale del piccolo possedimento italiano su Marte nella mia campagna di Spazio 1889 che avevo masterizzato tempo addietro).
Questo progetto mi ha subito interessato perché include almeno tre elementi che sembrano essere ispirati se non addirittura strappati dai vecchi racconti di fantascienza, che poi sono la spina dorsale di questo blog: tanto per cominciare, l’esplorazione e la colonizzazione spaziale, ossia il cuore e la linfa della space opera, oltre che il primo passo di un impero o almeno di una confederazione interplanetari. In secondo luogo poi la destinazione, che è appunto il pianeta Marte, ossia l’astro che da sempre ispira il meglio ed il peggio delle fantasie romanzesche dell’uomo: è con Marte infatti che da oltre un secolo ci scambiano invasioni planetarie, al punto che nell’uso comune «marziano» è ormai divenuto sinonimo di «alieno», qualunque sia l’origine degli omini verdi. Da ultimo, il promotore del progetto, ossia la Space X di Elon Musk, che, pur con le dovute differenze, è l’incarnazione di uno dei luoghi comuni della fantascienza dei primordi, quando bastava un inventore visionario e capace, un po’ di ferraglia ed uno scantinato abbastanza ampio ed attrezzato per costruire macchine strabilianti capaci di rimpicciolire le cose, muoversi nel tempo o, nel nostro caso, viaggiare nello spazio in tutta sicurezza.
Ora, lasciando stare l’antipatia del tutto immotivata che provo per Musk (ma probabilmente collegata alla sua predisposizione a ritrattare un’affermazione quando risulta impopolare), pare che la Space X non sia proprio un’azienducola da scantinato di casa – ed anzi ha già all’attivo almeno un successo notevole e già si prepara ad intascarne un secondo – tuttavia tutta l’impresa è così impregnata di senso del meraviglioso che potrebbe essere materiale da riviste pulp: e probabilmente lo sarà anche, perché tornerà senz’altro a far sognare l’uomo – ed in particolare i più giovani – come ormai da troppo tempo non siamo più abituati. Se la corsa allo spazio e, ormai cinquant’anni fa, lo sbarco sulla luna avevano dato origine all’era spaziale ed alle splendide visioni retrofuturistiche degli anni Sessanta e Settanta, possiamo solo immaginare cosa ci potrà attendere quando persino Marte sarà finalmente alla nostra portata.
Detto ciò, auguro pieno successo all’impresa e buona fortuna a tutti coloro che sono impegnati nel progetto: non sprecate quest’occasione!

Cinquant’anni di evoluzione
Da quando ho letto quell’articolo mi sono trovato più volte a pensare all’impresa e alle vite di quei pochi fortunati che per primi potranno mettere piede su Marte e contribuire così a costruire il primo insediamento terrestre extraterrestre: purtroppo però la scienza, che con la sua saccenteria è sempre l’invitato sgradito di ogni festa, ci ha privati di ogni possibilità di fantasticare su ciò che attenderà quei pionieri. Di Marte infatti ormai sappiamo tutto: niente civiltà decadenti o morte, niente rovine, niente marziani, niente misteri; solo sabbia, rocce ed un pianeta sterile, morto.
Tuttavia Marte rimane Marte, il grande avversario della terra nel sistema solare ed il grande magnete delle fantasie romantiche dei nostri progenitori, oltre che l’astro abitato più vecchio del sistema solare, culla di civiltà ancora più antiche dell’umanità: così, con un pizzico di nostalgia per il pianeta rosso della fantasia – che include libri influentissimi come «La guerra dei mondi» di Wells e tutto il ciclo di Barsoom di Burroughs – ho ripescato dai miei appunti dieci racconti scritti nell’arco di una cinquantina d’anni (tra l’inizio degli anni Trenta e la fine degli anni Settanta) che sono ambientati sul pianeta rosso e lo portano in vita così come ogni fantascientista vorrebbe, tra civiltà antichissime e decadenti, meraviglie scientifiche e misteri, mentalità ed usanze diverse dalle nostre. Sono ambientazioni fantastiche ed affascinanti, magari un po’ troppo ingenue, ma offrono scenari così creativi, suggestivi e misteriosi che ancora oggi alimentano le nostre visioni marziane.
Questo articolo è dedicato a te, o Marte, compagno di tanti sogni d’avventura.

Lloyd Arthur Eshbach – Un messaggio dall’etere (The Voice from the Ether, 1931)
La terra e Marte sono in congiunzione: tutti gli astronomi, anche dilettanti, proiettano i loro strumenti sul pianeta rosso per studiarlo. Tra di essi c’è anche un radioamatore: con la sua antenna capta un lungo messaggio registrato che, decifrato parecchi anni più tardi, risulta essere la storia narrata di uno scienziato marziano. Questi, accusato dal consiglio degli scienziati suoi pari che regge il pianeta di aver mentito e privato per questo di ogni dignità e rispetto, descrive la vendetta che ha architettato ai danni non solo dei colpevoli ma addirittura dell’intera popolazione: ha infatti appena provocato la morte di ogni forma di vita marziana, che descrive con ricchezza di particolari.
Studiando al microscopio un elettrone di sodio, l’uomo aveva scoperto che anche su di esso esiste la vita come su un pianeta qualunque: si tratta di una sorta di fungo che giunge a maturazione ed esplode nel giro di pochissimi secondi, gettando tutt’attorno le spore che proseguiranno la stessa frenetica attività riproduttiva. Nessuno però gli aveva creduto né aveva accettato di verificare la sua scoperta: così lo scienziato, divenuto folle, ha deciso di usare questi funghi per la sua vendetta. Dopo aver trovato il sistema per ingigantire l’elettrone e con esso i funghi che aveva osservato, coltiva questi ultimi nel suo laboratorio per mesi e poi, chiamati a raccolta sotto il suo balcone gli scienziati e la popolazione, ne libera le spore, distruggendo rapidamente la vita su Marte.
Unico superstite della civiltà marziana, è però costretto a vivere confinato nel suo laboratorio stagno, che aveva preparato all’evento accumulando scorte di aria e viveri sufficienti: ma all’improvviso qualcosa va storto, si forma una crepa nella sua fortezza sigillata e subito dopo anche lui deve soccombere al flagello dei funghi divoratori.
Il succo del racconto è ottimo ma la storia in sé è tirata un po’ per le lunghe. (6)

Clifford D. Simak – La voce nel vuoto (The Voice in the Void, 1932)
Gran bel racconto, dal finale sconvolgente. Il protagonista ed il suo amico sono espulsi da Marte: il protagonista per aver chiesto troppe informazioni sulla religione dei marziani (la cui civiltà è antichissima e decadente), l’amico per aver trovato un deposito di un elemento raro che subito viene confiscato dal governo indigeno. L’amico, per vendetta, trafuga le ossa del loro dio più importante dal loro santuario più eminente e le porta sulla terra.
Inizia così una fuga dei due dai vendicativi sacerdoti marziani che però un giorno, molti anni più tardi, catturano l’amico. Il protagonista così torna su Marte, si intrufola nel tempio in cui stavano le ossa del dio (dove immagina abbiano portato il compagno) e fa una scoperta agghiacciante: hanno appena separato il cervello ed il volto dell’amico dal resto del corpo e, per mezzo di una tecnica particolare che li mantiene vivi, li hanno posti in un cilindro di vetro, per torturare l’uomo in eterno; pare che tutti i sacerdoti, alla morte, ottengano lo stesso trattamento (torture escluse), che per loro equivale alla vita eterna.
Con un’irruzione spettacolare il protagonista salva il cilindro dell’amico, ne trafuga un altro preso a caso dagli scaffali e fugge col bottino. Tempo dopo, nascosti nel deserto, i due amici scoprono una piramide dimenticata: il cervello del sacerdote rapito spiega che deve essere l’ultima di un antico ed empio culto distrutto dai marziani in epoche dimenticate; persino il protagonista, studioso di cose marziane, non ne sa nulla ma presto ne scopre la ragione.
La piramide – colma di ricchezze che serviranno ai due per attuare il loro piano di vendetta – custodisce anche lo scheletro di un umano (non marziano), morto in epoca così antica che non appena viene esposto all’aria si polverizza: eppure gli umani sono giunti su Marte solo da pochi secoli. Progettano così il loro piano: usano tutte le ricchezze per costruire un’enorme stazione radio che sia in grado di raggiungere l’intero sistema solare ed intanto scavano una caverna nelle Montagne Rocciose. A lavori ultimati, dalla radio dovrà partire un messaggio registrato del protagonista, che spiega all’universo sia il raggiro di cui sono stati vittima i marziani sia l’origine terrestre del culto marziano, perché le ossa del dio trafugate all’inizio del racconto sono chiaramente di un umano: il messaggio è registrato perché durante la trasmissione il protagonista stesso si sottoporrà al medesimo trattamento subito dall’amico per separare il cervello dal corpo e vivere in eterno.
Solo che, quando il messaggio sta per essere lanciato, un fulmine (ma si intuisce che potrebbe esserci dell’altro) distrugge la stazione senza che la registrazione sia nemmeno partita.
Davvero una bella storia: bella trama, belle idee, bel ritmo, persino bel finale, nonostante tutto. (6/7)

Clark Ashton Smith – Le cripte di Yoh-Vombis (The Vaults of Yoh-Vombis, 1932)
Una spedizione archeologica nelle rovine di un’antica città marziana che, si dice, è stata sterminata da una muffa finisce malissimo: involontariamente gli archeologi risvegliano una sorta di cappuccio sanguisuga che libera migliaia di altre creature identiche ed assieme fanno strage degli archeologi.
Questi cappucci si attaccano alla testa della vittima ed iniziano a divorare capelli, pelle, osso e cervello. Un archeologo riesce a mettersi in salvo strappandosi via il cappuccio col coltello: ma il semplice contatto con l’essere l’ha già reso schiavo dell’Uno, l’origine di queste creature; così, impazzito, fugge dal manicomio in cui era stato ricoverato, per raggiungere il suo destino. (7)

Leslie Frances Stone – Gli uomini di Marte (The Human Pets of Mars, 1936)
Scendono i marziani a New York: sono esseri tentacolati alti una dozzina di metri. Ignorano completamente gli uomini – non ci considerano esseri intelligenti – ma prima di partire prendono con sé numerosi campioni umani che, una volta tornati sul pianeta, vengono assegnati come animali di compagnia a diversi marziani eminenti.
Tra il freddo del pianeta, la dieta ipercalorica ed i bagni mattutini (che assieme al freddo fanno ammalare tutti ed uccidono qualcuno), gli umani deperiscono in fretta: ma, grazie al talento di uno dei prigionieri, si impossessano di un disco volante e lo usano non solo per tornare a casa ma anche per conciare male il disco volante degli inseguitori. (6)

Jack Williamson – Pattuglia solare (The Crucible of Power, 1939)
Bel racconto in cui c’è un po’ di tutto, necessariamente in forma sintetica. C’è anche tanto Marte (in stile Barsoom), che non è l’elemento centrale ma ciò che mette in moto gli eventi che si succedono nel corso di una trentina d’anni: infatti al centro della trama c’è la storia dell’ascesa, caduta e resurrezione di Garth Hammond, uomo dalle mille risorse che da lustrascarpe senza futuro e ciarlatano senza scrupoli diventa prima l’uomo più ricco e potente della terra e poi, fuori scena, il dominatore del sistema solare.
Dopo una lunga introduzione che prima affronta il «morbo caduco», una malattia epidemica che nel corso di un secolo e più rischia di sterminare l’umanità, e poi descrive l’inizio della fortuna di Garth Hammond, la storia entra nel vivo quando lo stesso Hammond decide di tentare il tutto per tutto e con tre compagni punta un missile su Marte, dove il telescopio del suo intimo amico Ared Trent ha messo a fuoco tracce di civilizzazione. Tuttavia il razzo, che era stato sabotato alla partenza, si schianta al momento dell’atterraggio: nel disastro si salvano solo Hammond e Trent che, privi di equipaggiamento, vengono catturati e poi accettati da una tribù di nomadi, che li scambia per inviati del sole. Questi marziani hanno forma umanoide ma assomigliano più ad insettoidi (per l’esoscheletro) o rettiloidi (per le scaglie colorate di cui sono ricoperti) che agli umani.
In un’ambientazione che ricorda il Marte morente di Burroughs e della Brackett, i due terrestri riescono a far prevalere i nomadi nella loro continua lotta con i marziani delle città e poi, sfruttando la situazione, anche ad intrufolarsi in un enorme edificio che al telescopio aveva attirato la loro attenzione quando erano ancora sulla terra. Trent, dopo settimane di studio (e torture al re catturato di una delle città marziane, chiamato Anak), comprende che la struttura era un’enorme astronave, che un tempo orbitava attorno alla nostra stella per accumulare polvere solare, usata dai marziani come propellente universale quand’erano una civiltà avanzatissima: la nave si è danneggiata e poi schiantata nell’ultimo viaggio, venti o trentamila anni fa. Ormai esaurite le scorte di polvere solare, ai marziani – che soffrono di senescenza razziale e sono rimasti in pochi (la città di Anak, una delle otto ancora in piedi, conta sui settemila abitanti ed è in gran parte abbandonata o in rovina) – non restano più di un paio di migliaia di anni prima dell’estinzione.
I nostri saccheggiano l’enorme astronave per costruirne una più piccola con cui tornare sulla terra assieme ad alcuni amici nomadi: sulla terra poi lanciano il progetto di costruire una stazione orbitante attorno al sole per ricavare la polvere solare, che rivoluziona le fonti energetiche terrestri. Hammond diviene così l’uomo più ricco e potente della terra ma si fa anche tanti nemici, tra cui Trent, che mal tollera la personalità dominante dell’amico, ed i marziani (che sono stati appena conquistati da una flotta terrestre), in particolare il re Anak, che viene in esilio sulla terra. Nel contatto con gli alieni esplode una forma mutata e micidiale del morbo caduco, che falcidia tanto i terrestri quanto i marziani: nel frattempo Trent si dà alla pirateria e saccheggia sia le navi onerarie di Hammond sia la stazione orbitante attorno al sole alla quale si rifornivano. Sulla terra è la crisi energetica.
Tempo dopo però gli eventi spingono Trent a fare la pace con Hammond: Anak infatti, appreso che la sua razza è spacciata a causa del morbo caduco, si prepara a provocare l’esplosione del sole e cancellare così anche i terrestri per vendetta. Tornati assieme, i due amici riescono a risolvere la situazione: l’ultima bottiglietta del vecchio olio miracoloso che Hammond era solito vendere agli inizi della carriera – tenuta come portafortuna – si è ossidata e, per caso fortuito, ha fornito da sé la cura definitiva al morbo caduco. Così, rappacificato Anak ed i marziani col rimedio della malattia, Hammond si prepara a diventare anche il grande filantropo che ha salvato due (o forse tre) volte l’umanità.
Finale un po’ ingenuo e banale magari ma nell’insieme la storia è avvincente e trasuda senso del meraviglioso ad ogni pagina. (7+)

P. Schuyler Miller – La caverna (The Cave, 1943)
Racconto tendente al filosofico ma ciononostante gradevole: affronta il tema dello scontro di culture o, meglio, di ciò che può verificarsi quando si ignorano le consuetudini di un luogo. Su Marte una tempesta di sabbia spinge un minatore a cercare rifugio in una caverna dove altre creature indigene («grekka» nella lingua marziana) hanno già trovato riparo: tra queste incontriamo un grak, sorta di selvaggi che sono i discendenti dell’antica grande razza marziana, ed uno zek, sorta di predatore che s’intuisce avere anche qualche livello di intelligenza.
Nella «Weltanschauung» marziana tutte le creature – i grekka appunto – sono unite in vario modo e fino ad un certo punto nella lotta contro il grande Nemico di tutto il creato, che è la Natura: nonostante le differenze, anche nella caverna vige una sorta di tregua. Quando il minatore fa il suo ingresso, il grak è incerto se l’umano faccia parte dei grekka oppure no (non ha mai incontrato umani prima) ma è disposto ad una sospensione del giudizio; l’uomo invece ignora quasi tutto della cultura marziana, perché nessuno si è mai preoccupato di spiegargliela: sa solo quello che è riportato sui manuali della Compagnia, che è «maledettamente poco».
Nel crescendo di tensione, ad un certo punto lo zek si sposta dal suo cantuccio per afferrare al buio la borraccia del minatore, che però interpreta il fatto come un tentativo di aggressione e gli spara: nella lotta tra i due che segue anche il grak è costretto ad intervenire, per uccidere lo zek, che ormai ha fiutato il sangue e non si fermerà finché non avrà saziato la sua sete di sangue; poi uccide anche il minatore che, calata la guardia, aveva interpretato l’aiuto del grak come un gesto di amicizia.
Infatti nella cultura marziana il fatto che l’uomo non solo non avesse offerto dell’acqua agli altri grekka presenti nella caverna (l’acqua deve essere condivisa tra tutti i grekka per sostenerli nella loro lotta contro la Natura) ma avesse addirittura cercato di uccidere lo zek che aveva solo cercato di prendere la sua parte di acqua è infatti dimostrazione sufficiente che l’uomo era un emissario del Nemico. E come tale andava eliminato.
Bel racconto che nonostante l’argomento sensibile non si perde a fare la morale come invece farebbe un autore contemporaneo. (7/8)

A. E. Van Vogt – Il villaggio incantato (Enchanted Village, 1950)
Dopo giorni di vagabondaggio nel deserto, l’ultimo superstite di una spedizione che ha fatto naufragio su Marte giunge alle montagne e vi trova un villaggio abbandonato: l’uomo sta morendo di fame e di sete ma qui non trova nulla di commestibile. Dopo giorni di tentativi, compreso che il villaggio è vivo e fa di tutto per soddisfare le sue necessità ma senza riuscirci perché è tarato su un’altra specie, riesce infine a sollecitare le automazioni degli edifici perché replichino una modesta quantità di viveri, dopo aver scaricato in una vasca le ultime gocce d’acqua putrida ed alcune briciole ammuffite di cibo che ancora aveva nelle tasche. Ma, costretto a cambiare la sua chimica, il villaggio lentamente inizia a morire: ed anche il naufrago si ammala senza possibilità di guarigione. Deciso a morire in un punto in cui il villaggio possa almeno riciclare il suo corpo, l’uomo si addormenta su una lastra e l’indomani si risveglia in perfetta forma, trasformato in una creatura di quelle che un tempo evidentemente abitavano il villaggio: adesso scopre di poter mangiare e bere tutti gli alimenti che prima gli erano tossici.
È di Van Vogt ma non si direbbe: è scritto bene! (6)

Edmond Hamilton – Com’era lassù? (What’s It Like Out There?, 1952)
Racconto crudo che descrive la conquista dello spazio in un’atmosfera di squallore. Il protagonista, uno dei sopravvissuti della seconda spedizione su Marte, va a visitare i genitori di quattro camerati che sono morti sul pianeta rosso, nessuno dei quali in circostanze eroiche ma tutti nell’anonimato: uno subito il decollo, un altro di una malattia marziana, altri due che si sono uccisi a vicenda durante una ribellione. A tutti i genitori il protagonista cerca di dipingere la morte del figlio in una situazione ben migliore – e più significativa – di quella reale. Giunto infine a casa dove viene accolto come un eroe, si rende conto che tutti si aspettano da lui che interpreti il ruolo del reduce e così preferisce tacere lo squallore che aveva continuato a ricordare e descrive invece la conquista dello spazio in termini entusiastici. (7,5)

Larry Niven – Il giocattolo (Plaything, 1974)
Racconto brevissimo. Una sonda mandata dalla terra su Marte atterra a poca distanza da un gruppo di bambini marziani, che per curiosità fanno a pezzi il nuovo giocattolo che è capitato loro per le mani. Gli adulti, che con una certa condiscendenza ritengono che sarebbe stato loro compito contattare la terra prima che noi avessimo la capacità di arrivare sul loro pianeta, possono solo rammaricarsi per ciò che aspetta la prima spedizione su Marte con uomini a bordo: «C’è da sperare che non finisca nelle mani dei bambini». (6)

Robert F. Young – La prima spedizione su Marte (The First Mars Mission, 1979)
La spedizione della fantasia che, in gioventù, aveva portato tre amici su Marte – dove avevano incontrato anche John Carter – è avvenuta davvero: uno dei tre, divenuto adulto, è il primo umano a mettere piede sul pianeta rosso: qui trova il coltellino che aveva perso durante quel viaggio fantastico dell’infanzia. Il racconto è pervaso da una certa melanconia ma sarebbe stato migliore se avesse mantenuto il confine tra sogno e realtà, con la meravigliosa grandezza del sogno da una parte e dall’altra la desolazione dei deserti sassosi della realtà. Nell’insieme è comunque gradevole. (6)

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