Come di consueto, la settimana scorsa sono stato alla fiera dei giochi da tavolo di Essen, che non solo è sempre più grande, ricca, affollata ed impressionante ma, purtroppo, anche impersonale: si è infatti ormai perso il sapore rustico dei vecchi tempi, di quando il mondo del gioco intelligente era ancora un settore di nicchia e, per una questione di costi, tutto era all’insegna della frugalità.
Quest’anno in fiera è esploso il lusso tipico degli eventi mainstream, molto videogiochesco per certi versi, quindi con stand enormi tutti curati, pannelli pubblicitari grandi come vele e persino schermi giganti a led con immagini che scorrono e cambiano in continuazione, tutto pagato dalle campagne Kickstarter di maggior successo o dai pochissimi giganti che hanno ormai preso in mano l’intero settore: il risultato è che, almeno nei padiglioni che contano, si sente fortissima la cesura tra «noi» (gli addetti ai lavori) e «voi» (gli appassionati che affollano la fiera), che invece un tempo – quando fiere e convention erano ancora un semplice ritrovo di appassionati – proprio non esisteva.
Alcuni trend
Quest’anno per la prima volta sono tornato a casa da Essen con un pizzico di delusione: colpa appunto dell’atmosfera impersonale che ha gravato sulla fiera per tutte le giornate ma anche della gran ressa che già il giovedì, solitamente il giorno più vivibile, è stata sui livelli caratteristici del sabato, storicamente il più caotico, e che quindi ha reso l’intera esperienza un calvario, dal trascinarsi nei padiglioni a passo di lumaca al trovare posti a sedere per provare un gioco qualsiasi.
Come l’anno scorso, più che soffermarmi sulle novità – su cui altri hanno già pontificato abbondantemente nei giorni scorsi – preferisco concentrarmi sui trend notati in fiera e cogliere le direttrici che il settore seguirà nei prossimi mesi: nel finale però mi prenderò la soddisfazione di segnalare il meglio ed il peggio di Essen di quest’anno secondo la mia esperienza.
1) Prezzi sempre più alti
Principale conseguenza del cambiamento che sta trasformando il settore, i prezzi dei giochi sono sempre più alti e gli sconti sempre minori, sempre se ce ne sono: ormai i giochi costano un 20/25% più di quanto costassero un paio di anni fa, con i titoli ex fascia cinquanta euri che superano i sessanta e si spingono anche fino ai settanta. A volte addirittura il prezzo del gioco presso lo stand dell’editore è più altro che dai commercianti: Kingdomino ad esempio veniva venduto a venti euri dalla Blue Orange contro i sedici dei banchetti disseminati qua e là.
Tra le probabili cause vanno sicuramente menzionate la trasformazione del settore in un quasi monopolio, la tendenza a spendere cifre irragionevoli per campagne Kickstarter che spesso non valgono un quarto di quel denaro, la fortissima concorrenza di internet, dove le offerte sono ancora più selvagge.
Invece che sui prezzi, gli editori contrattaccano quindi con i promo: comprare il gioco presso di loro è l’unico modo per avere in omaggio sia i promo per così dire «acquistabili» da tutti (ma a prezzi sproporzionati) sia certi altri articoli come tazze e suppellettili varie che invece non vengono messi sul mercato.
2) L’esplosione dei giochi leggeri, veloci ed economici (in rapporto ai giochi più costosi ma sempre carucci)
In questa fascia rientrano i «filler complessi» o «giochi leggerissimi», ossia quei titoli che sono appena al di sopra dei filler ma non ancora così complicati da essere considerati un gioco leggero o per famiglia: molti infatti non hanno nemmeno una plancia.
Anche se sono pensati soprattutto per i «turisti», ossia i non giocatori che hanno appena scoperto il gioco e amano fare una partita ogni tanto ma senza rompersi la testa su regole troppo complicate o giochi troppo lunghi, li considero un arricchimento del settore, una categoria che merita di essere scoperta, ampliata ed approfondita: certo, non tutti questi giochini meritano di essere anche solo provati ma bastano un po’ di fiuto ed una breve ricerca per scovare gioiellini come 10 Minute Heist o Trol, che appunto sono troppo complessi per essere considerati semplici filler ma sono anche troppo banali per essere giudicati dei giochi leggeri.
Certo la proliferazione di questi titoli dimostra sia la trasformazione del mondo del gioco intelligente da settore di nicchia a genere mainstream sia l’attenzione sempre crescente che i diversi editori riservano appunto ai turisti.
3) L’invasione degli orientali
Gli autori orientali vanno sempre più forte e, dopo Seiji Kanai di Love Letter, non solo presso le case editrici più affermate: ne sono la prova il grosso stand degli autori coreani, già apparso nella scorsa edizione della fiera e tornato anche quest’anno (sempre nella Halle 3), e quello leggermente più piccolo degli autori taiwanesi (ma nella Halle 6, meno nobile della 3), una novità di quest’anno.
Il successo dei giochi degli orientali può essere spiegato in vari modi: moda, meccaniche, temi, semplicità… Ritengo tuttavia che la principale ragione sia un’altra e cioè che questi giochi soddisfano i requisiti già esposti al punto precedente: solitamente sono infatti leggeri e veloci, così compatti che occupano poco spazio sul tavolo ed ancora meno sugli scaffali; nell’insieme sono quindi adattissimi anche per i turisti e i non giocatori, la categoria meno informata sulle novità e perciò più portata a spendere denaro sui giochi meno pubblicizzati.
Purtroppo però i prezzi in fiera sono spesso sproporzionati a causa dei maggiori costi di trasporto e le scorte troppo esigue per resistere anche solo al primo giorno di assalti.
4) Sempre più bianco sulle copertine
Un tempo eravamo abituati a scatole coloratissime e splendidamente illustrate (eurogame a parte): poi, probabilmente ispirate al nuovo stile delle pagine internet dove dominano gli spazi vuoti e l’assenza di informazioni, due o tre anni fa hanno iniziato a comparire le prime copertine bianche minimaliste, con disegni concettuali che le riempiono per meno di un terzo della superficie e non danno nemmeno l’idea di essere giochi da tavolo, come quelle di Time Stories, New Angeles o, più recentemente, Magic Maze.
Quest’anno ad Essen le copertine bianche sono infine esplose, come testimoniano ad esempio titoli così poco attraenti come il Professor Evil and the Citadel of Time (di scarsissima capacità evocativa ed ancor minore attrattiva), When I Dream (persino meno attraente della precedente), Alien Artifacts (che sembra tutto tranne la copertina di un gioco da tavolo), Vengeance (che a colpo d’occhio evoca i peggiori cartoni animati giapponesi), The Sanctuary (cui va il premio risparmio per il minor consumo di inchiostro) ed al nuovo set base di Star Wars Destiny (che sembra un sacchetto di patatine), solo per citarne alcuni.
Ma la lista potrebbe essere molto più lunga.
5) Pochi temi nuovi
A differenza del passato quest’anno non sono emersi nuovi temi dominanti ma hanno tenuto banco quelli già visti in passato: quindi fantasy e cooperativi in tutte le salse, spesso accompagnati da miniature che definire splendide è riduttivo; dominio delle campagne Kickstarter totali, con una leggera ascesa della fantascienza ed un’esplosione delle escape room, oltre ai già citati giochi leggerissimi, dove i temi sono accessori e spesso incollati.
Fatta eccezione per i giochi un po’ più vecchi di alcuni mesi, sono quasi scomparsi i vichinghi, che solo l’anno scorso erano invece all’ultima moda.
6) Il meglio ed il peggio
Tra i giochi che ho provato, il migliore è senza dubbio Iron Curtain, una versione condensata di Twilight Struggle: in diciotto carte e venti minuti riesce a ricostruire la stessa atmosfera e gli stessi dilemmi che si presentano nel progenitore, ovviamente ridotti e semplificati per un gioco che deve essere veloce. Ma, fatte le dovute distinzioni, nel complesso l’esperienza è più che soddisfacente e paragonabile all’originale.
La sorpresa maggiore è invece venuta da Bunny Kingdom, che pur essendo di Garfield (non il gatto ma l’autore di Magic e Roborally) mi aspettavo fosse il solito noiosissimo area control, quindi con strategie e mosse programmabili a tavolino ancor prima di cominciare a giocare: ed invece il drafting (che è il cuore del gioco) e soprattutto le sorprese dello scoring finale ne fanno un gioco tutt’altro che prevedibile, con la gran parte dei punti che si raccoglie proprio alla fine, grazie a speciali carte obiettivo che si possono pescare nel drafting stesso (rinunciando perciò ad altre carte che invece sono punti sicuri) ed in sostanza funzionano come delle scommesse.
Ottimi titoli sono inoltre Queendomino (un Kingdomino con più cose da fare, come lo Spiel des Jahres sarebbe dovuto essere sin dall’inizio), Secrets (un caoticissimo gioco di identità segrete), Meeple Circus (divertente, sì, ma poco rigiocabile), Wizards Wanted (formidabile gioco per famiglie), Trol (gioco di carte che richiede molta improvvisazione e grande interazione) e Road Hog (il gioco del pendolare che sta facendo tardi al lavoro, anche questo con grande interazione tra i giocatori).
Quanto al peggio, non si potrebbe andare più a fondo dell’«hyppatissimo» Photosynthesis, di una noia mortale (e pure mal calibrato), ma anche il Professor Evil and the Citadel of Time (un cooperativo senz’anima e tema che ruota attorno all’ottimizzazione delle azioni) non scherza per noia ed inconsistenza. Da ultimo, Arena for the Gods è già migliore dei precedenti ma è pur sempre un’arena e come tutte le arene è altrettanto piatto.