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Iron Curtain: un Twilight Struggle formato tascabile

Chi gioca a Twilight Struggle con una certa regolarità conosce molto bene il problema: una partita dura troppo e richiede un impegno mentale che spesso, già provati dalla giornata lavorativa e dagli altri pensieri quotidiani, non si è grado di sostenere. Così si finisce per giocare male o, più spesso, dirottare su altri giochi meno impegnativi: sempre però si rimane con un senso di rimpianto per l’occasione sprecata.
Adesso però un’alternativa c’è, e pure validissima: Iron Curtain, un gioco da tavolo «card driven» leggero e veloce che in sole diciotto carte e venti minuti condensa gli stessi dilemmi e la stessa atmosfera di Twilight Struggle.
Certo, non è la stessa cosa, ma è un surrogato più che soddisfacente.

Una guerra tiepidina
Come il progenitore, al quale si è apertamente ispirato, anche Iron Curtain è un «area control» ambientato durante la guerra fredda e mette quindi di fronte le superpotenze degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, gestite ciascuna da un giocatore: una partita si gioca su due turni durante i quali vengono usate tutte e diciotto le carte del mazzo; di queste, solo due (le «aftermath») non vengono attivate. Invece dei segnalini, per indicare il volume della presenza di ciascuna fazione si usano dei cubetti blu e rossi, ventiquattro per colore.
Mancano del tutto il Defcon, le operazioni militari, la corsa allo spazio, le sorprese delle headline ma nell’insieme l’influenza di Twilight Struggle si sente ancora: anche qui infatti si tratta di intuire le intenzioni dell’avversario, controllare il maggior numero di paesi, fare punti e, se possibile, limitare l’incidenza degli eventi negativi.
Una fazione vince automaticamente quando raggiunge la propria casella di fine tracciato (otto avanzamenti a partire dal centro, ogni punto guadagnato un avanzamento) che, come nell’originale, è unico: quindi per esempio ogni punto conquistato dal russo viene prima rosicchiato da quelli già raccolti dall’americano. Non appena un giocatore raggiunge l’ultima casella del tracciato vince, in qualsiasi momento ciò accada: qualora, terminati gli scoring finali, nessuno abbia raggiunto la casella conclusiva, vince chi ha più punti.

Anatomia delle carte
Ciascuna delle diciotto carte del mazzo rappresenta un paese, suddivisi per continente: cinque in Europa (le due Germanie, la Francia, la Polonia – che attiva un evento americano – e l’Italia, che invece parte già comunista), quattro in Africa (Sud Africa, Nigeria, Algeria e Zaire), tre in Asia (Giappone, Pakistan e Vietnam) e poi due ciascuno in Medio Oriente (Israele ed Iran) e nelle Americhe (Centro: Panama e Cuba; Sud: Cile e Brasile). Vi è poi una diciannovesima carta, quella di apertura, che rappresenta l’Europa in generale, è inclusa nello scoring di questa regione e parte già con un cubetto rosso ed uno blu. Fondamentali.
Oltre all’appartenenza geografica, le carte riportano anche una serie di informazioni: un numero di cubetti, ossia l’influenza che si può mettere giocando questa carta (da uno a quattro: entrambe le carte da quattro sono russe); un evento, che può essere americano o russo e, come in Twilight Struggle, scatta automaticamente se la carta viene giocata dalla fazione opposta mentre può essere usato in alternativa ai cubetti dalla fazione di appartenenza; il numero di carte che compongono quella regione ed i punti bonus assicurati dal dominio dello stesso continente (da uno a tre).
Le carte possono essere giocate ovunque sul tavolo, avendo cura di rispettare due sole regole: devono essere piazzate accanto ad un’altra carta già in gioco (ortogonalmente: solo i lati contano, non gli angoli) e, se possibile, accanto ad un’altra carta della stessa regione. Se ad essere calata è la prima carta di un continente o se l’accesso alle altre è stato bloccato in qualche modo, è possibile mettere la nuova dove si desidera, sempre rispettando però la prima regola.

I turni di gioco
Al primo turno entrambi i giocatori ricevono cinque carte: ne giocheranno solo quattro però, perché la quinta verrà messa da parte coperta e rivelata solo alla fine della partita, per assegnare un certo numero di punti ad una delle due fazioni. Il russo decide chi comincia: da quel momento si gioca una carta a testa; nel secondo turno parte chi è in svantaggio o, in caso di parità, è nuovamente il russo a scegliere.
Il meccanismo di gioco ricorda quello di Twilight Struggle: occorre dominare o controllare il maggior numero di stati (ossia carte) per guadagnare più punti non appena vengono giocati gli scoring relativi. Il predominio su una carta viene determinato dall’influenza, ossia dal numero di cubetti piazzati su di essa: in maniera molto intuitiva, chi ha più cubetti ha anche la supremazia su quel paese.
Il piazzamento dei cubetti segue la stessa regola base del progenitore: non sono permesse catene. Per «comandare» – ossia aggiungere – influenza ad un paese occorre quindi essere già presenti o almeno adiacenti a quella carta prima di svolgere qualsiasi altra azione.

Comandare e infiltrare influenza
A questo punto è bene fare chiarezza sulle due parole chiave del gioco: «command» ed «infiltrate», entrambe riferite al piazzamento dei cubetti.
Come già visto, «comandare» influenza significa seguire il principio base dell’essere almeno adiacenti ad una carta per potervi aggiungere cubetti; «infiltrare» influenza è invece l’azione più soddisfacente del gioco, perché ignora questa regola base e, proprio come l’influenza «paracadutata» dagli eventi di Twilight Struggle, permette di spalmare cubetti anche nei paesi che non si potrebbero raggiungere altrimenti.
L’azione comune è «command»; per usare l’azione «infiltrate» occorre invece attivare l’evento di alcune carte.
Merita anche osservare la differenza tra il dominio ed il controllo di una carta: per dominare uno stato basta avere un solo cubetto più dell’avversario, per controllarlo invece ne servono almeno due. Aggiungere influenza ad uno stato dominato dalla fazione opposta non ha costi aggiuntivi mentre ogni cubetto aggiunto ad un paese controllato dall’avversario costa il doppio (finché rimane controllato), proprio come avviene in Twilight Struggle: infiltrare influenza permette di ignorare anche questa restrizione.

Attivare gli eventi
Come accennato, anche gli eventi scritti sulle carte seguono lo stesso principio di Twilight Struggle: se è un evento «mio» posso scegliere se attivarlo o se usare i cubetti; se è del mio avversario, l’evento scatta immediatamente e non mi rimane altro da fare che «comandare» il numero di cubetti indicato sulla carta.
La particolarità è che qui non si può scegliere se attivare l’evento prima o dopo aver piazzato l’influenza: in Iron Curtain l’evento parte sempre per primo.

Macinare punti I: durante la partita
Anche lo scoring delle singole regioni segue un principio interessante, che trova un buon compromesso tra la semplicità di questa versione e il fardello rappresentato nel progenitore da una carta punteggio: in Iron Curtain quando viene giocata l’ultima carta di una regione parte subito – ancora prima di attivare l’evento ed il piazzamento dei cubetti – lo scoring, poi seguono l’evento ed i cubetti nell’ordine consueto.
Così il calcolo del punteggio durante la partita non include mai la carta che lo attiva e richiede anzi un minimo di programmazione per evitare di concedere troppi punti all’avversario: ma con il Medio Oriente e le Americhe composte da due sole carte, va da sé che chi controlla uno stato ha già messo una seria ipoteca sulla manciata di punti collegati allo scoring di quella regione. Da ciò si comprende la necessità di evidenziare su ciascuna carta il numero di paesi che ne compongono il continente di riferimento.
Ai fini pratici, ogni carta della regione interessata in cui si ha più influenza dell’avversario vale un punto: se nel continente si dominano o controllano anche più paesi dell’avversario si ha un ulteriore piccolo bonus di punti, sempre indicato su ciascuna carta.
A rovinare qualsiasi ragionamento intervengono però le due «aftermath», ossia le quinte carte del primo turno, quelle che non vengono giocate ma vengono messe da parte per il calcolo finale: questo significa che una o due regioni non andranno a punti durante la partita.

Macinare punti II: lo scoring finale
Se, dunque, non ci sono stati vincitori durante i due turni della partita, si procede allo scoring finale: per prima cosa si girano le due carte dell’«aftermath», che daranno a ciascuna fazione un numero di punti pari alla somma o alla differenza dei cubetti riportati su di esse (se, mettiamo, sono entrambe americane, i punti si sommano; se sono di ambo le fazioni si sottraggono, la differenza va a chi spetta).
Quindi si passa a riconteggiare i punti delle singole regioni, nell’ordine prestabilito: Europa, Medio Oriente, Asia, Africa. Centro e Sud America. Se in un momento qualsiasi il punteggio raggiunge la casella finale di una delle due fazioni, lo scoring termina immediatamente e quella fazione ha vinto; altrimenti vince chi ha più punti.

Un ottimo surrogato
Per loro stessa ammissione, i due autori di Iron Curtain – Daniel Skjold Pedersen e Asger Harding Granerud, gli stessi di 13 Days e 13 Minutes – hanno cercato di fare una versione condensata di Twilight Struggle: comprimere quel giocone in un’esperienza che duri solo un decimo del progenitore ma ne mantenga l’atmosfera e lo spirito ha ovviamente richiesto di semplificare o addirittura eliminare parecchie dinamiche ed infatti Iron Curtain non è solo molto più leggero e «streamlined» di Twilight Struggle ma manca anche di molte delle trappole e sottigliezze che i giocatori più esperti dell’originale conoscono ed apprezzano.
Tuttavia nella sua semplicità Iron Curtain offre un’esperienza di gioco comparabile al progenitore: c’è spazio per dilemmi e paranoie in abbondanza, soprattutto quando si ha una mano zeppa di eventi dell’avversario che occorre giocare in un dato ordine per almeno limitarne le conseguenze, sempre nella speranza che quegli non abbia invece certe carte o che almeno non le giochi troppo presto. Ciononostante, a volte è preferibile regalare punti all’avversario con la carta «aftermath» piuttosto che giocarla ed attivarne l’evento, che a lungo termine avrebbe effetti disastrosi sulla mappa: ma solitamente le carte peggiori capitano sempre al secondo turno, quando quindi non c’è nemmeno più la possibilità di questo sotterfugio.
Alla fine infatti si tratta di un gioco «card driven» e, com’è usuale per la categoria, la sopravvivenza richiede di memorizzare le carte o ricordare almeno le combinazioni più dolorose (ad esempio Brasile-Cuba a vantaggio del russo e Francia-Iran a vantaggio dell’americano), soprattutto quando si gioca con un esperto: ma con sole diciotto carte nel mazzo è anche più semplice mandarle tutte a mente.
Nell’insieme Iron Curtain è un ottimo surrogato di Twilight Struggle, per quando si ha la voglia ma non la lucidità o il tempo per giocare a quest’ultimo: l’atmosfera ed i dilemmi infatti sono gli stessi, al punto che chi ama l’originale apprezzerà senz’altro questo derivato. Iron Curtain ha inoltre il vantaggio di essere così compatto da poter essere portato ovunque (a patto di stampare una carta più piccola per il tracciato dei punti, che per ragioni ignote non è di formato Magic come il resto del mazzo ma di dimensioni maggiori: formato Tarocco), preparato in meno di un minuto e giocato in poco più di un quarto d’ora. Nell’insieme è così veloce che c’è sempre spazio per la rivincita, ovviamente a ruoli invertiti.
Un aspetto negativo tuttavia ce l’ha: il prezzo. Una ventina di euri per venti carte ed una manciata di cubetti sono tanti anche per un gioco così valido come Iron Curtain.

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