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James H. Schmitz – Le streghe di Karres

Quando penso a come può aver avuto origine la mia passione per la space opera vecchio stile, la mia mente corre subito ad un racconto in particolare: «Le streghe di Karres» di James H. Schmitz (The Witches of Karres, 1949). E intendo proprio il racconto, si badi bene, non il romanzo o «fixup» dallo stesso titolo pubblicato una ventina d’anni più tardi che, pur gradevole, non è all’altezza dell’originale.

Un vivido ricordo
Non so se questo sia effettivamente il primo racconto di space opera che abbia mai letto (non credo) ed escludo anche una illuminazione improvvisa, come se prima di leggerlo ci fosse stato il nulla e subito dopo mi si fossero spalancate le porte della space opera: so per certo però che oggi, a distanza di una trentina d’anni, quando penso alla prima storia di space opera che mi abbia davvero entusiasmato e che ha probabilmente influenzato i miei gusti è proprio questo il racconto che mi balza subito alla mente, accompagnato da un senso di calore ed un pizzico di nostalgia.
Credo di ricordare anche l’edizione in cui devo averlo letto: il volume numero 11 relativo al 1949 delle Grandi storie della fantascienza, edizione Armenia, curato da Asimov (almeno una cosa utile in tutta la sua carriera l’ha fatta) e Martin Greenberg, che credo di non aver mai posseduto ma sul quale devo aver messo le mani in virtù dei consueti scambi e prestiti temporanei in uso tra compagni di scuola o, alla peggio, del comodato in biblioteca (quelle delle mie scuole sono sempre state abbastanza fornite). In questo modo devo aver letto diversi volumi di quella collana: ed alcune di quelle storie sono ancora incise nella mia memoria, anche se non così bene come appunto «Le streghe di Karres».

Il capitano Pausert della Repubblica di Nikkeldapain
Prima di Han Solo e della «science fantasy» di Guerre Stellari c’era il capitano Pausert della Repubblica di Nikkeldapain, un pasticcione intraprendente che, per impressionare l’influente padre della fidanzata e racimolare qualche soldo in vista del matrimonio, dopo aver visto fallire tutti i suoi risparmi in un allevamento di animali da pelliccia sterminati da un’epidemia si è inventato mercante dello spazio. Così, armato un vecchio mercantile – la Venture – e riempitolo di prodotti invendibili, Pausert ha lasciato solitario il pianeta natio per darsi al commercio: quando la storia si apre è già riuscito a piazzare gran parte di quelle merci grazie al gioco d’azzardo (chi perde con lui alle carte deve acquistare qualcosa dalle sue scorte) e sta ormai tornando a casa carico di denaro.
Quella sera, sul pianeta Porlumma, mentre rientra dalla taverna dove aveva passato la serata all’astroporto, viene attirato dalle grida di una bambina: la breve indagine che segue lo conduce nel retrobottega di un pasticciere, furioso con la sua giovane schiava – che si chiama Maleen – perché questa avrebbe provocato il mal di pancia a più di cinquanta dei suoi clienti. Pausert si offre di riscattare la bambina (per poi liberarla: la schiavitù è legale su Porlumma, un pianeta di frontiera, ma non nell’Impero, cui il protagonista appartiene) ed il pasticciere è ben contento di accettare la modesta offerta di denaro del capitano.
Solo che Maleen ha due sorelle più giovani, che pure bisogna liberare: l’una, Goth, è stata acquistata da un gioielliere, che da giorni sta impazzendo a contare e ricontrollare la sua mercanzia; l’altra, la Leewit (e guai a dimenticare l’articolo), da un antiquario, che vede andare in frantumi le sue merci ed attende giusto l’intervento di un sant’uomo («lui sì che ti esorcizzerà come ti meriti, piccolo demonio!»). Così, quando Pausert si offre di riscattare le bambine, entrambi gli uomini sono ben felici di sbarazzarsene: infatti, scrive Schmitz nel presentare il gioielliere, «come tutti i padroni di schiavi che il capitano aveva finora incontrato su Porlumma, Wansing aveva un’aria infelice».
Le tre ragazzine (suppergiù di quattordici, dieci e sei anni) hanno infatti poteri magici, di cui non lesinano l’uso dato che già sanno che, raggiunta l’età adulta, queste doti si attenueranno sempre più fino a scomparire: Maleen è una presciente con poteri di suggestione, Goth è capace di telecinesi mentre le urla ed i fischi della Leewit sono in grado di frantumare qualsiasi cosa. Col consenso dei genitori hanno lasciato il pianeta natio, Karres, di cui Pausert non ha mai sentito parlare, per compiere un viaggio che, dopo la recente cattura ad opera degli schiavisti, le ha portate appunto su Porlumma: nel corso della storia si arriva però a pensare che le tre abbiano lasciato Karres proprio con l’obiettivo di incontrare Pausert su Porlumma, probabilmente in seguito ad un presentimento di Maleen.

La «propulsione Sheewash»
Riscattate quindi le ragazzine, Pausert decide di riportarle a Karres prima di far ritorno a Nikkeldapain: nel viaggio, che dura un mese, le tre non perdono però occasione per metterlo nei guai e proprio queste disavventure formano il nucleo centrale della storia. Goth ad esempio, per ripagare il capitano delle spese sostenute per liberarle, «teletrasporta» prima dei gioielli dalla cassaforte di Wansing nelle tasche di Pausert ad insaputa di quest’ultimo e poi, sempre senza informarlo, l’intero carico di un mercantile, che li insegue a cannonate, finché gli aggressori non vengono costretti a fermarsi da un urletto della Leewit, a cui fa seguito lo scarico della refurtiva nello spazio. In queste situazioni fa la sua comparsa anche la «propulsione Sheewash» (il nome stesso sarebbe l’onomatopea del suono prodotto da un corpo lanciato a folle velocità), un intrico di cavi elettrici che, accompagnato da una qualche litania segreta cantata dalle bambine, è in grado di scagliare l’astronave nello spazio alla velocità di diversi anni luce al secondo.
Quando finalmente raggiungono Karres, Pausert perde la cognizione del tempo: il pianeta, abitato solo da ottomila streghe e stregoni, è ricoperto di prati e foreste, nelle quali sono anche dissimulate le abitazioni dei karriani. Date le peculiarità della popolazione e la loro conoscenza della propulsione Sheewash (che può spostare persino il pianeta: quand’è necessario tutti si riuniscono in un anfiteatro apposito), gli abitanti sono inseguiti da tutti gli altri popoli della galassia e devono spesso fuggire. Nelle ultime pagine Goth spiega infatti che «agli Imperialisti si è di nuovo rizzato il pelo all’idea che esistiamo. Ma questa volta hanno mandato una flotta con le bombe più grosse e tutto il resto, così tutti sono stati richiamati a casa. Ma poi hanno dovuto aspettare fino a quando non hanno scoperto dov’eravamo noi tre… io, Maleen e la Leewit. Poi tu ci hai riportato a casa; ma hanno dovuto aspettare di nuovo, per decidere cosa fare con te. Ma subito dopo che tu te ne sei andato…che noi ce ne siamo andati, voglio dire…loro hanno spostato il pianeta».
Sempre all’insaputa di Pausert, durante la sua permanenza sul pianeta i karriani prendono diverse decisioni sul suo conto, che gli verranno notificate da Goth solo al termine del racconto: primo, che deve diventare uno di loro; secondo, che deve prendere moglie (e per questo si offre Goth, quando avrà raggiunto l’età); terzo, come portarlo ad una situazione di rottura col pianeta natale e, soprattutto, i suoi conoscenti.
Lasciato quindi Karres e raggiunto finalmente Nikkeldapain, ancora in orbita Pausert vede andare in fumo tutti i suoi sogni: la fidanzata si è sposata col suo rivale in amore; il padre della ragazza vuole essere risarcito di mille minuzie; alla polizia del pianeta sono inoltre giunte le denunce di tutte le birbanterie combinate dalle tre ragazzine, furti compresi, di cui è ritenuto colpevole il protagonista.
Disperato, Pausert, che crede di essere solo a bordo, si dà alla fuga. Quando sta per tentare una manovra folle – speronare le navi della polizia che lo inseguono – all’improvviso si attiva la propulsione Sheewash: è Goth, che così si manifesta (fino a quel momento era rimasta nascosta nella nave) e lo porta lontano dai guai. Col suo consueto distacco, la ragazzina lo informa delle decisioni prese dai karriani, incluso il matrimonio combinato: prima però Pausert dovrà sbloccare il suo potenziale di stregone, sotto la guida di Goth stessa, il cui padre – il protagonista apprende finalmente – è il suo famoso prozio Threbus.

Tutti i meriti del racconto
Riconosco che il mio giudizio su questo racconto può essere influenzato dall’importanza che gli attribuisco, dal momento che lo considero la scintilla che mi ha fatto innamorare della space opera: tuttavia, anche trascurando questo aspetto, sono dell’opinione che «Le streghe di Karres» sia una lettura gradevole per chiunque apprezzi una buona storia di fantascienza.
In primo luogo, il ritmo è veloce, l’azione non si ferma un momento, non ci sono mai pause o divagazioni per lasciare spazio all’inutile introspezione o alle insicurezze del protagonista: la storia invece incalza, di scena in scena, sino ai fuochi d’artificio del finale. La narrazione rallenta solo quando Pausert raggiunge Karres e vi si ferma per alcune settimane ma direi che ciò ha una sua ragione: rende infatti l’idea del diverso scorrere del tempo sul pianeta magico e della quiete che, si intende, vi regna e permette al tempo stesso di prepararsi alle battute conclusive.
C’è poi l’ironia, di cui ho voluto trascrivere alcuni esempi nei paragrafi precedenti: Schmitz è una sorta di vandalo dell’umorismo non volgare, estrae infatti la sua lametta quando meno te l’aspetti per tirare uno sfregio ad una scena che sta diventando troppo seriosa o stucchevole. Il contesto, la sintassi, la parolina nascosta qua e là che arriva all’improvviso creano l’effetto esilarante delle battute, come quando le tre bambine osservano in silenzio e poi commentano con crudeltà tutta da adulti il ritratto della fidanzata di Pausert, che «quasi subito capì di aver commesso uno sbaglio».
Pausert stesso non è un supereroe, tutt’altro; le ragazzine infatti lo trattano spesso con condiscendenza e se lo rigirano come vogliono: alla fine sembra essere solo una pedina, colui che esegue ciò che le tre bambine hanno già deciso di (fargli) fare. Il più delle volte sembrano proprio loro le adulte della situazione e senz’altro sono le sole ad averla sempre in mano.
Questo introduce la terza ragione per cui trovo questa storia così gradevole: la sua leggerezza, il non prendersi sul serio. Che qui si accompagna alla regola d’oro delle buone storie: non serve realismo; anzi, il realismo toglie solo al racconto e all’immersione, lo rende freddo e distaccato. Un po’ di fantasia, anche nella scienza, aiuta invece a rendere più piacevole la lettura: in effetti questo racconto si spinge anche troppo in là con la fantasia quando introduce alcuni elementi di magia, che sarebbe l’elemento definitivo del fantasy, ma qui parrebbe più un espediente narrativo che l’elemento fondante della trama. Mi rendo conto che mi sto arrampicando sugli specchi ma, data l’influenza che questa storia ha avuto nel definire i miei gusti, mi sento obbligato a tentare almeno un pizzico di apologia: a voler ben vedere, infatti, i poteri delle tre streghe potrebbero essere definiti in termini fisici (le urla ed i fischi della Leewit) o di psionica (la preveggenza di Maleen), che nelle ambientazioni fantascientifiche viene solitamente accettata come (fanta)scienza a tutti gli effetti.
E la propulsione Sheewash invece…non è forse la curvatura?

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