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E.E. «Doc» Smith – Triplanetary

L’ultimo articolo che ho scritto, ancora il mese scorso, mi ha fatto tornare alla mente un altro classico della fantascienza che prende spunto dai pirati dello spazio, salvo poi dirottare su tutta un’altra strada: si tratta di «Triplanetary» di E.E. «Doc» Smith (1934), pubblicato diversi anni dopo il citato romanzo di Cummings. Solo che nel libro di Smith ben presto la storia parte per la tangente e diventa una space opera in piena regola, su scala colossale: e c’è da aspettarselo, dal momento che Smith è il papà di questo sottogenere della fantascienza.

Solo il racconto originale
Apparso in quattro puntate su Amazing Stories dal gennaio all’aprile 1934, «Triplanetary» è la classica space opera in stile Smith, che – si ricorderà – aveva inaugurato questo genere appena sei anni prima con la pubblicazione, sempre su Amazing, dell’«Allodola dello Spazio», la prima vera avventura spaziale su scala galattica. Triplanetary ne segue in sostanza la formula, che include tecnologia onnipotente, protagonisti d’azione versati in tutte le (super)scienze, motori capaci di bruciare le distanze siderali, alieni tanto progrediti quanto malvagi (ma qui alla fine si redimono), un flusso continuo di nuove idee e teorie balzane illustrate in quella lingua tecnicissima che in inglese viene chiamata «technobabble» («tecnociance» o «tecnofarneticamenti» potrebbero renderne il senso in italiano), estrema serietà ed una vasta gamma di invenzioni impossibili ma presentate o descritte come se fossero concrete: in altre parole, Triplanetary non ha grandi qualità di suo e probabilmente sarebbe stata dimenticata come centinaia di altre storie dell’epoca se non fossero intervenuti tre fattori decisivi.
Primo, che è stata scritta da Smith, appunto, e quindi sorvegliata speciale come tutto ciò che il nostro ha pubblicato nella sua non prolificissima carriera; secondo, che ricalca le parti migliori dell’Allodola dello Spazio, l’opera che lo ha reso famoso; terzo e più rilevante, che una quindicina di anni più tardi è stata ripresa, riciclata e riadattata a martellate per divenire la storia di esordio della lunga saga dei Lensmen, probabilmente la più nota e certo la più fortunata di Smith. La versione che qui commento però non è quest’ultimo romanzo bensì la «one-shot» originale del 1934 che, presa come avventura a sé stante, ha molto più senso della storia rimaneggiata del 1948, anche se rimane non troppo convincente: questo articolo si riferisce quindi all’originale inglese, dal momento che mi risultano traduzioni italiane solo per l’edizione che apre il ciclo dei Lensmen, intitolata «Triplanetario», e non per l’edizione di Amazing.

L’influenza dell’Allodola dello Spazio
Sarebbe dunque impossibile non fare un confronto tra Triplanetary e l’Allodola dello Spazio: anche qui infatti le astronavi hanno forma sferica; anche qui i motori più evoluti – quelli che permettono di viaggiare più veloci della luce, inventati dagli alieni e copiati dai terrestri – consumano metallo (era rame nell’Allodola); anche qui il cattivo umano è intelligentissimo, freddo, spregiudicato, spietato e calcolatore, anche se riesce una pallida copia di DuQuesne; anche qui gli alieni si sentono immediatamente superiori agli umani, già a prima vista (merita ricordare che nel 1934 erano già uscite le prime due avventure dell’Allodola e la terza, Valeron, sarebbe uscita ad agosto di quello stesso anno: quindi si può presumere una certa familiarità del pubblico dell’epoca con gli osnomiani, i fenachroni, i cloriani e gli altri alieni asociali); anche qui ci sono rapimenti, superscienza e super raggi: manca solo di sentir nominare Norlamin o invocare l’impiego dei raggi del sesto ordine per sentirsi davvero a casa.
In questo romanzo c’è però anche qualche differenza sostanziale rispetto al precursore, che in un certo senso contribuisce a migliorare l’impressione generale: ad esempio, non risplende più un protagonista unico com’era Seaton nell’Allodola ma i protagonisti, ossia i personaggi chiave per la buona riuscita della storia, sono in realtà tre, tutti altrettanto abili e capaci nei rispettivi settori. C’è così l’eroe d’azione, Conway Costigan, che in un primo momento pare essere l’unico protagonista ma, pur pieno di risorse com’è, da solo non sarebbe stato in grado di sconfiggere né i pirati né tantomeno di salvare la terra dai ben più minacciosi alieni; c’è poi l’eroe della tecnica, Lyman Cleveland, l’inventore pieno di risorse, al quale basta vedere un dato fenomeno per ideare un macchinario capace di studiarlo, riprodurlo o contrastarlo; ed infine c’è l’eroe della mente, Frederick Rodebush, il fisico matematico, capace sempre di ideare la teoria che permette di superare qualsiasi problema scientifico si presenti.
A voler ben vedere, a completare la squadra ci sarebbe anche Virgil Samms, capo del Servizio Segreto della Lega Triplanetaria, che incarna così bene l’immagine del «Vecchio» – nel senso di «sommo capo» – da essere ancora oggi l’archetipo della classica figura di autorità: per molti versi però assomiglia al colonnello Halsey dei «Pirati dello spazio» già citati, solo con più spessore ed un minimo di caratterizzazione.
E, trattandosi di un personaggio di Smith, questo dice molto sulla profondità del suo omologo.

La Triplanetaria e gli altri pianeti
Senza troppa fantasia, i tre pianeti cui fa riferimento il titolo sono anche quelli usati tradizionalmente dalla fantascienza, ossia la terra, Marte e Venere: questi tre però non sono i soli mondi abitati del sistema solare bensì i soli pianeti civili e federati in quella che, appunto, si chiama Lega Triplanetaria (ed ecco spiegato il titolo). Ci sono infatti almeno altri due pianeti abitati – Giove e Nettuno – e sono entrambi fonti di guai: soprattutto i gioviani, con i quali in passato si sono combattute diverse guerre (almeno quattro). Per questo il quinto pianeta è l’ispiratore indiretto dei progressi militari della Lega, che includono l’inutile «cono da battaglia», una formazione navale che viene descritta come invincibile ma nelle vicende narrate risulta invece risibile sia contro l’ammiraglia dei pirati sia contro l’unica nave degli alieni: tuttavia in passato il cono avrebbe salvato la Lega e la «stessa sopravvivenza della civiltà» contro le «orde assassine di Giove» e da allora, dopo aver annientato la flotta nemica, non è mai più stato utilizzato. Sino agli eventi attuali, s’intende.
Non si sa molto riguardo ai gioviani, se non che sono malvagi, molto malvagi: su Giove infatti risiede anche il «North Polar Jupiter», una specie di società segreta o cabalistica che solo a nominarla fa venire i brividi persino ai cattivi. Roger, il nemico iniziale – quello che si credeva avrebbe avuto più spazio ma che in definitiva serve solo per mettere in moto gli eventi e fare una figura barbina nel finale – è un adepto di questa società.
Che aspetto abbiano i gioviani non si sa: si sa invece come siano i marziani e i venusiani o «veneriani» (nell’originale inglese infatti sono chiamati «Venerians»), sebbene non ci sia nemmeno un personaggio di queste due razze. I marziani, «che tutti conosciamo e amiamo», hanno la pelle rugosa e callosa e sono in grado di resistere alla mancanza d’acqua; i venusiani invece, anch’essi lontani cugini dei terrestri, hanno gli occhi come i pipistrelli, la pelle incolore e glabra.

La storia ha inizio
Già subito all’apertura la storia entra nel vivo: c’è appena il tempo di contestualizzare la situazione – una nave da crociera, la Hyperion, che si trova a passare per la stessa zona di spazio dove nelle settimane precedenti sono scomparse altre due astronavi – e già Costigan si trova al centro dell’azione. Il nostro, che ancora non sappiamo essere il famoso «chief lieutenant» di Samms e capo settore del Servizio Segreto, è in compagnia di Clio Marsden, con la quale ha appena lasciato la sala da ballo per una passeggiata sul ponte panoramico, quando vede cadere a terra priva di conoscenza la ragazza: dall’espressione degli occhi e dalle convulsioni del volto capisce subito che nell’aria è stato pompato del gas letale, il V2 (il cui uso è una condanna a morte automatica per chi lo respira: e anche per chi ne ha fatto uso, se viene pizzicato), così trattiene il respiro, si infila una tuta di emergenza riposta in un armadietto vicino, si carica in spalla la ragazza per ora senza sensi, si rifugia con lei in una scialuppa di salvataggio (il cui sistema di ventilazione è isolato dal resto della nave), avvisa il ponte dell’emergenza e poi si dedica a far rinvenire la ragazza (perché il gas è sì letale ma solo se non viene curato per tempo: se le vittime vengono soccorse rapidamente e trattate nel modo giusto si riprendono in fretta).
A questo punto la ragazza comprende la vera identità di Costigan e la comunica al lettore: lieto di essere stato riconosciuto, Costigan lascia la ragazza al sicuro nella scialuppa perché deve prima sistemare una faccenda. Scavalcando il resto dei passeggeri collassati a terra a causa del gas, da un altro armadietto prende un’arma (quella della copertina di Amazing Stories del gennaio 1934), scende nelle viscere della nave e, giunto alla sala di riciclaggio dell’aria, scova ed uccide il sabotatore; poi raggiunge sul ponte il capitano Bradley, comandante della nave, dopo essersi qualificato.
In quella però la nave sta subendo l’attacco dei pirati, le cui navi appaiono dal nulla ed attaccano, distruggendo con precisione i centri nevralgici della Hyperion: Costigan ed il capitano Bradley, indossate le armature da combattimento, hanno appena il tempo di rifugiarsi nella scialuppa con Clio che il relitto della nave viene catturato dal planetoide usato come base dai pirati.

Roger e la base dei pirati
Si fa così la conoscenza di Roger, il capo dei filibustieri: figlio di un pirata lunare e di un’avventuriera greca, non ha né cognome né epiteti, a parte un «il grigio» (perché tutto in lui è grigio, dai capelli, agli occhi, alla pelle, agli abiti) ed «il Grande», usato una volta sola, più per irridere i suoi sogni di grandezza che per autentico rispetto. Questi, che più avanti si scoprirà essere marchiato col simbolo cabalistico del «North Polar Jupiter» già citato (e pure iniziato al 77° mistero, quello dell’eterna giovinezza), viene descritto come il classico supercervello da pulp, votato coscientemente al male: intelligentissimo e spregiudicato, ha messo in piedi un’organizzazione che fa della pirateria il mezzo per mungere denaro ai terrestri e finanziare così i grandi progetti di Roger stesso. Che proprio incapace non deve essere, visto che non solo ha progettato il planetoide che opera come base mobile dei pirati ma ha inventato anche un sistema per rendere invisibili le loro astronavi: Smith lo descrive come un «uomo macchina con un maxicervello ed una minicoscienza, un meccanismo di lussuria ed immoralità fatto di carne e sangue che non riconosce alcuna autorità ma è guidato solo dall’impulso scientifico e dal bisogno altrettanto forte di soddisfare i suoi desideri e le sue passioni». La parte della lussuria ed immoralità include ovviamente Clio, sulla quale anche lui – oltre a Costigan – ha messo gli occhi.
Com’è tipico di Smith, mille informazioni vengono gettate qua e là, tutte colorate ma superflue ai fini della trama principale: ad ogni buon conto, Roger imprigiona Costigan ed i suoi due compagni (Clio e Bradley). Nessuno dei tirapiedi – nemmeno Roger – però si accorge che Costigan è imbottito di «Secret Specials» o «ultrastrumenti», ossia di oggetti tecnologici avanzatissimi ideati dal servizio segreto che gli permetteranno, ad esempio, di vedere, sentire e studiare ogni angolo del planetoide, tenersi in contatto con i compagni senza farsi udire da altri e così via.
Grazie a questo vantaggio, Costigan riesce ad architettare e mettere in pratica la fuga assieme ai due compagni facendo uso di una scialuppa di salvataggio, solo per essere ricatturato poco dopo dagli alieni, che stanno per fare la loro entrata in scena. Ma prima c’è uno stacco, che introduce gli altri due protagonisti dell’avventura (Cleveland e Rodebush) e soprattutto i malvagi neviani, gli alieni.

Altre cose che accadono
Nel frattempo dunque la flotta terrestre, attivata da una chiamata d’emergenza di Costigan e da un ordine di Samms, converge sul luogo in cui si trova il planetoide di Roger: segue una massiccia battaglia con le navi pirata, dove il citato «cono da battaglia» fa una magra figura. Tuttavia il naviglio pirata viene sgominato: non tanto dalla flotta triplanetaria (che anzi viene interamente distrutta a sua volta) quanto dai nuovi venuti, i neviani, che hanno inventato una tecnologia che permette loro di assorbire tutto il metallo dopo averlo trasformato in un liquido rossastro. Tutto in virtù delle «ultraonde», in sostanza una variazione sui raggi dei vari ordini usati nell’Allodola, che anche per l’attacco e la difesa sono di gran lunga superiori alle onde normali di cui invece fanno uso le forze triplanetarie.
Questi alieni, provenienti dal pianeta Nevia e perciò chiamati neviani, un pianeta d’acqua sperduto da qualche parte nella galassia ma molto, molto lontano, sono alla ricerca di metallo, di cui il loro pianeta natale è povero: ne hanno disperato bisogno perché ne fanno uso come combustibile nelle loro macchine. Il loro scienziato più prominente, il capitano Nerado, ha ideato la macchina aspiratrice e l’astronave sofisticatissima già presentata, che ha la forma di un pesce, e con esse sta esplorando la galassia in cerca di metallo: così, quando arriva nel sistema solare, crede di aver trovato l’Eldorado. Senza pensarci due volte, si getta nel vivo della battaglia ed inizia ad aspirare il metallo da tutte le navi – funzionanti o relitti – che incontra, distruggendo così entrambi gli schieramenti ed uccidendo tutti gli uomini a bordo (aspira persino il ferro che abbiamo nel sangue). Grazie al generoso uso di raggi ed onde di tipo evoluto di cui la sua nave è dotata, le nostre armi non riescono a recar danno alla sua, così Nerado si convince che i terrestri sono una razza primitiva che non merita rispetto alcuno (errore: mai sottovalutare gli umani!).
Tanto più che siamo così diversi d’aspetto!

Gli orribili neviani
I neviani, rettiloidi, infatti sono così «altri» da noi da apparire orribili: il loro corpo ha la forma di un pesce, sorretto da quattro gambe corte ricoperte di scaglie, con quattro corte code. Dal corpo parte un collo lungo e flessibile che termina in un cono massiccio con quattro occhi triangolari posti lungo la circonferenza, capaci di vedere in tutte le direzioni sia al buio sia con la luce: sotto ciascun occhio spunta un tentacolo che termina in otto dita; e sotto ciascun tentacolo trova posto una bocca a forma di becco. In cima al cono sono collocate le cavità che fungono da narici e branchie (i neviani infatti sono anfibi). A rendere ancora meno gradevole la loro compagnia, i neviani puzzano di pesce in maniera spaventosa!
La comunicazione tra noi e loro è impossibile, dato che gli alieni usano frequenze troppo alte per il nostro orecchio, mentre le nostre frequenze sono troppo basse per il loro, un altro elemento che agli inizi fa credere ai neviani che i terrestri siano poco più che bestie, incapaci persino di esprimersi: tuttavia nel corso della storia Nerado (mica Costigan!) inventerà un sistema che permette di udire così bene i suoni della controparte che Costigan potrà apprendere rapidamente la lingua aliena.
Ad ogni buon conto, i neviani prendono a bordo la scialuppa di salvataggio di Costigan (per avere degli esemplari dei terrestri da esibire a casa) e distruggono le navi pirata lanciate al loro inseguimento; poi, finito il raccolto di metallo, tornano a casa e sollecitano la nave gemella ad accorrere per continuare l’opera.

Tornano ad accadere cose
Dal disastro della flotta triplanetaria si salva solo una nave, la Chicago, quella su cui viaggia Lyman Cleveland, che aveva ricevuto ordine da Samms di tenersi fuori dal combattimento per registrare tutto quello che accadeva: così Cleveland assiste alla distruzione, capisce cos’è successo, comprende il funzionamento delle ultraonde usate dalla nave neviana e, ancor prima di essere giunto sulla terra, sa già cosa fare per costruire una nave che integri gli stessi principi, migliorati. La base su cui si metterà al lavoro è la «supernave» sperimentale Boise, che però sinora ha dato qualche problemuccio: è già esplosa cinque volte, causando una trentina di morti tra i tecnici. Merita citare il termine usato da Cleveland per parlare di questi intoppi: li chiama «bug», proprio come oggi vengono comunemente definiti gli errori nei programmi informatici (nelle parole di Cleveland, la nave «ha più “bugs” – letteralmente “insetti” – di una cucina venusiana»).
Grazie all’aiuto di Rodebush, il «wampus mangiaspazio» (un nomignolo dato alla Boise: il wampus è un felino leggendario del folklore americano) viene costruito senza intoppi e giusto in tempo: la gemella della nave neviana infatti è appena giunta sulla terra e sta facendo scempio di Pittsburgh (una città nota, merita ricordare, per le sue acciaierie). La Boise ingaggia battaglia e sta avendo la meglio quando la nave neviana, approfittando di un’incertezza di Lyman e Rodebush, batte in ritirata: i nostri si lanciano all’inseguimento.
E si imbattono così in ciò che rimane del planetoide di Roger e del suo equipaggio: questi infatti era fuggito con una dozzina dei suoi scienziati più geniali giusto un momento prima che il raggio aspirametallo di Nerado distruggesse la base dei pirati e si era rifugiato su un pianeta dove aveva iniziato la ricostruzione. Quando la Boise giunge sul pianeta per fare le riparazioni prima di riprendere l’inseguimento della nave neviana, vi trova il cantiere di Roger: nella battaglia che segue gli scienziati malvagi vengono sconfitti, Roger ucciso.

Ultime battute
Nel frattempo Costigan ed i suoi compagni hanno scoperto la società neviana ma, ancora lontani dall’essere riconosciuti come creature intelligenti, vengono tenuti in gabbia, esposti come animali alla curiosità dei neviani. Così, dopo aver tentato una prima volta la fuga dal pianeta ma essere stati ripresi, vengono divisi su tre città.
Costigan però riesce a produrre quantità spaventose di V2 (il gas usato dai pirati all’inizio) con cui gasa un’intera città, poi fugge a bordo di un innovativo velivolo neviano, gasa una seconda città, recupera i suoi compagni e finalmente si mette in rotta per la terra. Quando sta per essere ricatturato dai due vascelli neviani lanciati all’inseguimento (quello di Nerado e la sua gemella, di ritorno dall’incursione su Pittsburgh), compare anche la Boise, che distrugge la gemella ed ingaggia battaglia con Nerado il quale, accortosi della propria inferiorità, se la dà a gambe per rifugiarsi sul pianeta natio: la Boise, che ha preso a bordo i tre umani fuggiaschi, lo incalza e per ritorsione distrugge una città neviana.
A questo punto Nerado capisce che i terrestri non sono poi così primitivi come aveva giudicato in un primo momento e, dopo lo scambio dei biglietti da visita, propone una tregua che si concluderà con un’alleanza: al di là dello scambio di conoscenze, i vantaggi della reciproca collaborazione sono infatti evidenti, perché il sistema solare è ricco di ferro, prezioso per i neviani, che invece possiedono ricchi giacimenti di altre materie rare (non specificate) di cui la Triplanetaria ha bisogno. Messe sul bilancino, alla fine anche le perdite sono paragonabili: i neviani hanno distrutto Pittsburgh e la flotta triplanetaria; i terrestri hanno cancellato una città neviana con le bombe e, grazie a Costigan, praticamente spopolato altre due, ed hanno distrutto anche una discreta quantità di loro navi.

Principali differenze con la versione dei Lensmen
Come detto, l’originale pubblicato su Amazing Stories era una storia a sé che poi è stata ripresa e adattata per divenire l’episodio di apertura della saga dei Lensmen, la più famosa di Smith: per usare una definizione moderna, si tratta però di due «universi» differenti che l’autore ha dovuto conciliare in qualche modo. Triplanetary ha avuto la peggio ed è dovuto passare per il letto di Procuste.
La nuova versione, quella dei Lensman, include quindi un’intera nuova sezione in apertura, necessaria però per introdurre il conflitto tra Arisia (gli alieni buoni) ed Eddore (gli alieni cattivi) ed il programma di eugenetica dei primi, che porterà alla creazione dell’umano perfetto: ogni capitolo di questa lunga introduzione – paragonabile ad un romanzo Urania degli anni Settanta – affronta una diversa pagina della storia terrestre (la caduta di Atlantide e di Roma, le due guerre mondiali più una terza, atomica, che mette fine al vecchio mondo) e delinea i protagonisti dei volumi successivi, in particolare Gharlane di Eddore (di cui Roger è un’incarnazione) e le due linee genetiche usate dagli Arisiani nel loro programma di eugenetica, riconoscibili l’una per una variante del cognome «Kinnison», l’altra per avere i capelli rossi e gli occhi color dell’oro.
Tutto questo è assente dal Triplanetary originale: non c’è un conflitto galattico di cui la terra è il campo di battaglia se non quello tra la Lega Triplanetaria ed i neviani, non ci sono nemmeno programmi eugenetici e, soprattutto, alla morte di Roger non c’è alcuna essenza di Gharlane che faccia ritorno al Circolo Segreto di Eddore per riferire. Qui Roger muore e morto rimane.
Anche nell’economia della saga dei Lensmen, Triplanetario non è un libro essenziale: certo, mette chiarezza sulle dinamiche in atto ma non ha effetti diretti sugli eventi successivi, tanto che si potrebbe cominciare a leggere il ciclo dal volume successivo («Il primo Lensman») o addirittura dal terzo, «Pattuglia galattica». Anzi, dal momento che l’idea dei Lensmen è partita proprio con «Galactic Patrol» – l’originale di «Pattuglia galattica» pubblicato a puntate su Astounding Stories nel 1937-38 – sarebbe forse opportuno partire proprio da questo romanzo prima di immergersi nel resto della serie.

Un lavoro di maniera
Godibile come una space opera degli anni Trenta, Triplanetary non ha però la freschezza delle migliori storie di quell’epoca: sa di formulaico, un rimpasto di concetti già sperimentati ed ormai vecchi, un lavoro di maniera scritto senza l’entusiasmo ed il senso del meraviglioso tipici di quelle storie. A parte il merito di aver moltiplicato i protagonisti – che qui sono tre e tutti con pari dignità invece che uno solo – non c’è niente di sorprendente o «magico» nel romanzo, tutto segue strade già battute e viene riversato sul lettore senza nemmeno un velo di ironia o leggerezza bensì con quel senso di serietà e gravità tipici di Smith: la superscienza onnipotente (che qui usa ultraonde invece di super raggi), il cattivo freddo e spregiudicato, gli alieni malvagi che si sentono superiori agli umani e tante altre parti che sono chiaramente copiate o ispirate all’Allodola.
Trovo che un esempio emblematico di questa mancanza di creatività sia l’angustia dello spazio che si ricava dalla lettura della storia: non tanto per la rapidità con cui vengono bruciate le distanze (che è prerogativa della space opera, resa possibile dalla supertecnologia: senza una supervelocità di qualche tipo non ci sarebbe nemmeno la space opera) quanto piuttosto per la facilità e la frequenza con cui le navi si imbattono in altre navi, come Costigan che incrocia vascelli neviani nelle sue fughe o, ancora più significativo, il caso fortuito della Boise che, tra milioni di pianeti, capita proprio su quello dove si è rifugiato Roger con i suoi. Non sono mancanze gravi ma sanno di espedienti dozzinali usati da un autore rimasto senza idee per far avanzare la storia e portarla al punto che aveva in mente.
Nell’insieme Triplanetary non è certo la miglior opera di Smith ed è anzi uno dei suoi lavori trascurabili: molto meglio la prima avventura dell’Allodola dello Spazio o la Pattuglia Galattica a cui si è già accennato.

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