L’arco principale delle avventure del terrestre Jonathan Dark su Callisto si chiude letteralmente col botto: perché in «Sky Pirates of Callisto» (1973), terzo volume del ciclo ambientato sulla luna di Giove chiamata Thanator dai locali, Lin Carter manda all’aria non solo la regola d’oro di ogni serie (cambia quanto vuoi ma poi rimetti tutto a posto) ma anche Zanadar, la città dei pirati dell’aria, che nel finale esplode e frana assieme alle inaccessibili cime della catena montuosa sulla quale era arroccata. Ma nonostante la scomparsa dei principali antagonisti e dell’unica superpotenza thanatoriana la serie di Jandar proseguirà ancora, per altri cinque volumi: ed anche i prossimi non sono niente male.
Un finale esplosivo
Con «Sky Pirates of Callisto», pubblicato nel 1973, pochi mesi dopo l’uscita dei due precedenti episodi, il ciclo di Jandar of Callisto torna a decollare, dopo gli eventi scialbi e statici descritti in «Black Legion of Callisto»: il terzo libro infatti non solo introduce una nuova area di Thanator, il Corund Laj o Mar Grande e l’irrilevante impero perushtariano che sorge sulle sue rive, ma chiude anche una rivalità che era rimasta in sospeso sin dal primo volume.
Perché le disavventure di Jandar su Thanator erano iniziate proprio a Zanadar, la città dei pirati dell’aria: e a Zanadar doveva quindi necessariamente risolversi anche la contesa del protagonista col principe Thuton, sovrano dei predoni, che prima aveva umiliato Jandar e poi aveva persino cercato di soffiargli la ragazza. Ed infatti ora, in quella stessa arena da cui la prima volta era dovuto fuggire, il nostro eroe uccide finalmente il suo avversario, proprio con quella mossa speciale imparabile che, sempre nel primo volume, aveva imparato dall’anziano maestro di scherma Lukor e da allora mai usato: e con l’uscita di scena dell’antagonista la storia d’amore di Jandar con la principessa Darloona può finalmente prendere il volo, matrimonio incluso.
A precipitare è invece Zanadar, la malvagia città che il protagonista voleva semplicemente privare della possibilità di armare nuove navi volanti ma involontariamente condanna alla distruzione totale: e così, uscita di scena l’unica superpotenza di Thanator e la principale avversaria di Shondakor, la Città d’Oro dei Ku Thad può finalmente imporsi come nazione egemone di questo emisfero della luna gioviana. Cosa stia dall’altra parte nessuno lo sa, nemmeno gli stessi thanatoriani: ma i lettori lo scopriranno tra qualche volume.
Tutto il repertorio degli eroi: coincidenze, errori, e tanta fortuna
Dopo i primi tre capitoli, che per noia fanno concorrenza alla «Black Legion», la storia improvvisamente prende vita: per una di quelle formidabili coincidenze che rendono possibile la carriera di un eroe, all’indomani della battaglia di Shondakor Jandar scopre che il relitto di una nave zanadariana è ancora in grado di volare. Infatti, nonostante i danni subiti dallo scafo, i serbatoi del gas leggerissimo che permettono allo scafo di librarsi nell’aria sono intatti: tutto il resto si può facilmente aggiustare, anche se le riparazioni portano via più tempo del previsto.
Il piano di Jandar è di stipare la nave – ribattezzata Jalathadar, ossia «Impresa disperata» – di un centinaio di volontari shondakoriani e di impiegarla come un cavallo di Troia, per raggiungere senza dare nell’occhio la città dei pirati dell’aria – inaccessibile da terra – e una volta lì tentare un colpo di mano per salvare la principessa Darloona, che il malvagio principe Thuton, sovrano dei pirati, ha rapito nel finale del precedente volume.
Solo che, per uno di quegli errori di valutazione di cui, al pari delle coincidenze, le carriere degli eroi sono pure zeppe, Jandar decide di prendere a bordo anche il capitano zanadariano della nave, un certo Ulthar, miracolosamente sopravvissuto al naufragio, dopo avergli fatto giurare che non avrebbe tentato nulla contro la sicurezza della missione: e questo è già garanzia che qualcosa accadrà, e di grosso.
Infatti, portata fuori rotta da nuvole basse e forti venti, oltre che dall’inesperienza del nocchiere, la spedizione è costretta a fermarsi sul Mar Grande per prendere acqua: le scorte di provviste a bordo di queste navi sono sempre tenute al minimo, per non sovraccaricare di peso lo scafo, e anche solo un paio di giorni di ritardo possono svuotare la cambusa.
L’espediente serve però per offrire ad Ulthar l’occasione di mettersi all’opera: non visto, fa precipitare in acqua l’ingenuo Jandar mentre la nave sta riprendendo quota dopo aver riempito le botti, e così nessuno si accorge della sua scomparsa, se non molto tempo più tardi. Ma a questo punto Jandar avrà già trovato nuove avventure, e tutto sommato un mezzo più veloce e sicuro per raggiungere Zanadar.
Quel giorno stesso Ulthar prosegue col suo piano di sabotaggio, che riesce: la nave diventa ingovernabile e solo grazie ad un’invenzione dell’eroe ora assente – una balestra pesante, che sarebbe servita per aprire falle negli scafi nemici in caso di battaglia – i suoi amici a bordo riescono ad ancorarsi alla sommità di una montagna per compiere le riparazioni necessarie: ma ormai sono finiti nell’estremo nord, lontanissimi dalla loro destinazione. Qui il giovane Tomar, un nuovo personaggio appena introdotto che riceverà via via sempre più esposizione nei prossimi volumi, scova Ulthar nel suo nascondiglio (come visto nei precedenti volumi, Carter ha la passione per i luoghi segreti) e riesce persino ad ucciderlo, emendando così la sua colpa per aver creduto alle lusinghe dello zanadariano ed avergli involontariamente permesso di sabotare la nave.
Ma, compiute le riparazioni, la spedizione ha accumulato oltre una settimana di ritardo.
«Dammi un po’ di zucchero, baby»
E questo ritardo viene a tutto beneficio di Jandar, che dopo aver raggiunto la terraferma è stato catturato e ridotto in schiavitù dalla «mercantocrazia» perushtariana: giudicato tuttavia inutile come schiavo perché non sa far altro che tirare di scherma, viene quindi destinato al «tributo». E solo dopo molte pagine si scopre di cosa si tratti: è una donazione di cento schiavi al mese offerti non in sacrificio a qualche dio truculento (su Thanator non esistono religioni) ma proprio ai pirati dell’aria, come tassa per evitare che saccheggino le loro carovane.
Così, sia pure da schiavo, Jandar raggiunge comunque la sua meta, e anche prima del resto della spedizione.
A Zanadar viene subito scelto come gladiatore per gli imminenti giochi nell’arena (altro pallino di Carter, al pari dei passaggi segreti): fa in tempo però a farsi due nuovi amici, il perushtariano Ergon, calvo e dalla pelle rossa come un pomodoro come tutti i suoi connazionali, e Zantor, un capitano zanadariano insolitamente caritatevole caduto in disgrazia proprio per la sua indole buona.
Il giorno dei giochi a Jandar si presenta quindi l’occasione di brillare: per proteggere l’amico Zantor, l’eroe attira su di sé l’attenzione del gigante Panchan, imbattibile beniamino delle folle, e con un pizzico di fortuna – il terzo e principale requisito che rende possibile, e soprattutto lunga, la carriera di un eroe – lo uccide. L’impresa ha dell’incredibile e così lo stesso Thuton, che assiste ai giochi dal palco reale assieme a Darloona, desidera conoscerne l’autore: ma nessuno sembra riconoscere Jandar, perché indossa una specie di cuffia per nascondere i capelli biondi.
Quando è finalmente al cospetto di Thuton e dell’amata, l’eroe getta finalmente la maschera e, complice la contemporanea rivolta degli schiavi, dà inizio al duello tanto atteso, che si conclude rapidamente e culmina in una scena alla «dammi un po’ di zucchero, baby» mentre tutt’attorno alla coppia infuria la battaglia.
A rendere ancora più caotica la situazione, la Jalathadar – la nave volante della spedizione shondakoriana – aspetta proprio questo momento per piombare letteralmente in scena: perché, vista la ribellione, si lancia contro la cupola di vetro che protegge l’arena dal freddo e dal vento d’alta quota (Zanadar è costruita sulle cime più elevate di una catena montuosa) e dare così man forte agli insorti, che poi prende a bordo, Jandar e Darloona inclusi. Zantor ed il suo ex equipaggio invece preferiscono correre ai moli per riconquistare la loro vecchia nave, la Xaxar («Terrore»), e mettere fuori uso tutti gli altri vascelli…ormeggiati al porto. Così Zanadar, che ricavava la sua potenza dalla supremazia aerea, è resa incapace di nuocere ancora.
Come tocco personale, quella sera Jandar decide di sabotare anche le miniere del prezioso gas che rende gli scafi più leggeri dell’aria, che non sono molto distanti dalla città ormai isolata: ma l’incendio che viene appiccato alle pompe si propaga anche all’intero giacimento di gas racchiuso nella roccia, che esplode violentemente provocando la distruzione delle montagne tutt’attorno, incluse le cime su cui è arroccata Zanadar, che così scompare per sempre, portando con sé i malvagi pirati dell’aria.
L’epilogo è tutto quello che ci si aspetta: il trionfo dell’amore col matrimonio tra Jandar e Darloona, tornata sul trono della sua città che, senza più avversari, è appena diventata la principale potenza di Thanator.
Per lo meno di questa faccia di Thanator, dato che nessuno sa cosa si trovi dall’altra parte.
La serie torna a decollare
Solo leggermente inferiore a «Jandar of Callisto», il primo volume della serie, «Sky Pirates of Callisto» è un ottimo libro, che stenta un po’ nei primi capitoli ma poi si riprende in fretta e, come un motore diesel, una volta riscaldatosi non si ferma più: la parte ambientata a Zanadar – e soprattutto i lunghi capitoli che si svolgono nell’arena – appartiene alla miglior narrativa d’azione, perché non solo procede a ritmo incalzante ma costruisce anche la scena madre (il duello con Thuton ed il trionfo finale) in un crescendo mozzafiato che concatena tra loro gli eventi in maniera tutto sommato credibile, e con una progressione tale da tenere incollata l’attenzione del lettore.
Il culmine, la già citata scena alla «dammi un po’ di zucchero, baby», è descritta in poche ma efficaci parole: trafitto Thuton, Jandar si fa avanti a grandi passi verso Darloona con la stessa spavalderia di Bruce Campbell nell’Armata delle tenebre e, mentre tutt’attorno infuria la battaglia, le strappa un bacio con la stessa spacconeria di quel personaggio da film («I strode forward and swept her into my arms, crushed her to my breast, and drank one superb kiss from her soft, warm lips»).
Ciononostante anche in questo episodio non c’è traccia dell’umorismo, a questo punto probabilmente involontario, che aveva caratterizzato il volume d’esordio della serie: c’è però – e lo giudico una nota simpatica per rompere la quarta parete – un’osservazione paragonabile alla scena della «Black Legion» in cui Jandar diceva di sentirsi un eroe della sword and sorcery mentre cavalcava spavaldo entrando a Shondakor. Qui infatti il protagonista, appena scartato dai perushtariani che lo giudicano inetto e inutile anche come schiavo «nonostante la mia straordinaria esperienza su ben due mondi», gonfia il petto ma è costretto a riconoscere che il rifiuto è difficile da mandare giù ed è anzi un colpo al suo ego, quello di «Jandar di Callisto, l’eroe di mille battaglie, ed il più grande spadaccino di due mondi». Alla faccia della modestia.
Tra i punti forti del libro includerei anche l’ampliamento della geografia thanatoriana, che arriva ad aggiungere un’intera nuova regione, anche se ai fini pratici la zona del Mar Grande è superflua dal punto di vista della trama: serve solo per inserire una svolta improvvisa nella narrazione, allungare la storia e permettere a Jandar di entrare a Zanadar dalla porta di servizio. In questo modo la conoscenza dell’emisfero noto del satellite gioviano si fa però abbastanza completa anche per il lettore, che se non altro ha un’idea generale delle diverse zone e dei loro abitanti: rimane sempre da scoprire l’inesplorato altro emisfero, sul quale verrà gettata un po’ di luce (non troppa però, perché è sempre in penombra) a partire dal quinto volume della serie.
Sempre dal punto di vista geografico, è impossibile non ammirare il coraggio di cancellare Zanadar dalla mappa, e con essa la minaccia rappresentata dai pirati dell’aria: soprattutto nel primo volume infatti Carter si era dato molto da fare per costruire e caratterizzare la città, che dava l’idea di poter diventare il centro di ogni attività nefasta sul pianeta, una sorta di Tortuga chic su Thanator. Ed invece scompare per sempre nel finale di questo episodio: un autore che uccide le sue creature più riuscite è sempre ammirevole ma in questo caso non posso che rammaricarmi della loro scomparsa, perché i pirati dell’aria ed il loro inaccessibile covo rappresentavano l’antagonista perfetto.
Da ultimo, non potevano mancare nemmeno i punti deboli, per lo più gli stessi che sono già stati osservati nei precedenti volumi: primo tra tutti, lo stile narrativo di Carter, che a volte sembra scrivere più fan fiction che narrativa destinata alla pubblicazione. Infatti non solo si perde in troppe descrizioni, troppi dettagli, troppe minuzie – e li tratta tutti troppo a lungo – ma impiega anche grandi giri di parole che servono solo ad allungare ed appesantire la narrazione. In sostanza, «Sky Pirates» è un ottimo (o pessimo) esempio di quello che gli inglesi chiamano «purple prose» o «scrittura viola», un modo di scrivere pieno di svolazzi e circonlocuzioni che non aggiungono niente alla storia in sé ma allungano la minestra e disturbano la lettura: ogni frase infatti è scritta con un’abbondanza di parole, ogni sostantivo è sempre accompagnato da almeno un aggettivo, ogni verbo da un avverbio, e la scelta lessicale premia sempre i termini più inconsueti a scapito di quelli più comuni.
Ma se si superano i punti più difficili, quelli in cui Carter diventa un po’ troppo «ruminativo» (i primi tre capitoli in particolare sono una trappola che rischia di fiaccare l’entusiasmo persino del lettore più determinato), la storia è ricca e non delude, perché ha molto da raccontare: e lo fa con un ritmo serrato.
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