Scrivo questa recensione come pubblico atto di contrizione: ho sempre detestato con tutto il cuore i giochi cooperativi che proibiscono ogni forma di comunicazione tra i giocatori, perché snaturano il senso stesso del giocare assieme ad altri, che è appunto stare insieme e socializzare.
Così, dopo essere stato costretto per anni a giocare sin troppo spesso ai vari Hanabi, The Crew, The Game, The Maze e compagnia bella, ho maturato un’avversione tale per questa categoria che oggi preferirei di gran lunga una seduta dal dentista piuttosto che dovermi sorbire ancora una volta uno qualsiasi di questi giocacci.
Poi però, di recente, mi è capitato di provare Quirky Circuits della Plaid Hat, pubblicato nel nostro paese dalla Asmodee Italia, che mi ha costretto a ricredermi: infatti, nonostante il divieto di comunicazione tra i giocatori (da due a quattro), l’ho trovato divertente, molto più di quanto mi aspettassi. Probabilmente perché è una copia spudorata di Roborally tradotta in cooperativo: e Roborally è uno dei miei giochi preferiti.
Una versione semplificata
Prima di parlare del gioco in sé, occorre osservare che nonostante il titolo questa non è l’edizione italiana del Quirky Circuits originale del 2019, ormai esaurito e fuori catalogo anche in inglese, bensì di Quirky Circuits. Penny & Gizmo’s Snow Day, la versione semplificata e abbreviata uscita all’inizio di quest’anno: in sostanza significa dieci scenari contro ventuno, e solo due personaggi invece di quattro. Gizmo, il gattino sul Roomba che è la figurina simbolo di questo gioco, ritorna e continua a seminare disastri per casa ma al posto degli altri tre – il cane robot, l’autocuoco e l’ape meccanica – arriva Penny il Pinguino col suo snowboard, e nuove abilità.
L’idea base del gioco infatti non cambia: si tratta sempre di guidare uno dei personaggi lungo un percorso in scenari di difficoltà crescente, programmandone le mosse in anticipo mediante un certo numero di carte movimento, che ciascun giocatore deve scegliere segretamente.
Poche regole elementari
La scatola contiene una quarantina di carte movimento suddivise tra i due personaggi, le loro belle miniature, una manciata di segnalini e due libretti: uno è quello delle regole, l’altro un volumetto rilegato a spirale che serve come plancia di gioco, secondo un’usanza divenuta abbastanza frequente negli ultimi anni. Ogni pagina dispari di questo volumetto mostra un nuovo scenario, che aggiunge piccole regole extra rispetto ai precedenti: purtroppo però queste regole non sono spiegate nella pagina dirimpetto (che sarebbe stato d’aiuto) ma a parte, nel regolamento.
Le regole base sono di una semplicità incredibile: ad ogni turno i giocatori, nell’ordine che preferiscono, devono scegliere dalla propria mano almeno una carta movimento e metterla sul tavolo coperta accanto a quelle già giocate (pure coperte), senza comunicare in alcun modo con i compagni. In questa maniera si programmano i movimenti del personaggio per quel turno, che poi verranno risolti in sequenza, rivelando le carte (almeno cinque) da sinistra a destra, una alla volta: per vincere i giocatori devono raccogliere una serie di segnalini sparsi sulla mappa («coniglietti di polvere» o maoli per Gizmo, bandierine da slalom per Penny) entro un certo numero di turni, rappresentati in maniera tematica dalla carica decrescente della batteria. Tutto qui.
Occorre quindi avere un’idea di quello che i compagni di tavolo potrebbero aver giocato per cercare di far progredire la pedina sulla plancia ed evitare di mandare all’aria quanto è stato costruito dagli altri, perché alla fine del turno le carte vengono girate e risolte nell’ordine in cui sono state giocate: così una curva a destra invece che a sinistra può non solo vanificare il movimento delle carte successive ma potrebbe persino spedire la miniatura dalla parte opposta della plancia, con effetti disastrosi.
I giocatori però non sono del tutto lasciati a se stessi, perché il dorso delle carte dà un vago indizio: dice se si tratta di un movimento o di una rotazione da fermo, ma non mostra di quante caselle muove né da quale parte gira. Così il rischio di remare in due direzioni opposte si riduce ma non si annulla completamente: perché i giocatori sono comunque obbligati a giocare una carta anche se non ne hanno di appropriate ma non possono dirlo e, pur senza volerlo, in alcune circostanze non possono far altro che mandare a rotoli l’accorta programmazione dei compagni.
Come si vede, il gioco non è niente di difficile: la vera difficoltà sta solo nella comunicazione o, meglio, nella sua assenza.
Atmosfera rilassata e tanto buonumore
La somiglianza con Roborally è evidente: in entrambi si devono programmare (almeno) le cinque mosse successive di un robot; entrambi hanno dei traguardi da raggiungere; ed entrambi usano gli stessi movimenti, ossia Avanti 1/2/3, Indietro 1 e Ruota a destra/sinistra/di 180 gradi; Penny il Pinguino tuttavia rimpiazza gli Avanti 2 e 3 con Scivola, che è un «Avanti finché non sbatti contro qualcosa».
La vera differenza è quindi nella natura dei due giochi: Roborally è un competitivo, Quirky Circuits un cooperativo. Mentre nel primo si fa di tutto per ostacolare i robot avversari e seminare distruzione tra di essi con spinte, raggi laser e altre malvagità nel tentativo di inguaiarli e bloccare sempre più carte movimento nella loro programmazione, in Quirky Circuits l’atmosfera è molto più rilassata: dopo tutto è un gioco per famiglie solo moderatamente impegnativo. Come accennato sopra, la sua sola difficoltà è intuire le intenzioni – a volte le scelte obbligate – dei compagni e far comprendere le proprie agli altri senza poterle dichiarare: ma bastano poche partite per trovare l’affiatamento necessario.
La soddisfazione di girare le carte e constatare che seguono esattamente la sequenza che ci si aspettava – o addirittura di chiamarle una per una appena prima di girarle, per mostrare che si è sempre avuta la situazione in pugno – è di quelle che ripagano tutto l’impegno, e fanno pure venire il buonumore.
Un gioco che perdona gli errori
E proprio qui entra in gioco ciò che distingue Quirky Circuits dagli altri giochi simili: la pressione sul giocatore è minore, quasi assente. Perché non si tratta di eseguire operazioni matematiche a mente né di risolvere rompicapi astratti né di muoversi tutti assieme il più rapidamente possibile perché il tempo stringe bensì di valutare la situazione di volta in volta: e già la rapidità di un compagno a giocare una carta o la sua esitazione a farlo basta a dare un bell’indizio sulle sue scelte.
Tra l’altro, gli errori non sono puniti così severamente come negli altri giochi dello stesso tipo: non portano cioè alla sconfitta automatica né compromettono irreparabilmente l’esito della partita ma, almeno ai livelli più semplici (quelli che non riducono il numero di turni disponibili ma sfruttano tutta la carica della batteria), possono essere recuperati con solo un po’ d’affanno ma nemmeno troppo.
E anche in caso di errore, chi sbaglia ride assieme agli altri, non viene additato come «il colpevole» né è spinto a vergognarsene come solitamente avviene negli altri giochi in cui la comunicazione è proibita: proprio perché un solo errore non compromette irrimediabilmente una partita, non c’è un unico responsabile in caso di sconfitta, che invece è piuttosto il risultato di una catena di errori o scelte sbagliate, a volte persino inevitabili, e quindi una responsabilità condivisa.
Può sembrare una piccolezza ma è il cuore del problema: infatti, anche se continua a sentirsi la mancanza di un aspetto essenziale del gioco di società come la comunicazione tra i giocatori, in Quirky Circuits almeno rimane intatta l’impressione di fare qualcosa assieme ad altre persone, e la partita non si riduce né alla fredda risoluzione meccanica di un rompicapo né al mero tentativo di salvare la faccia evitando di sbagliare.
Ma, appunto, è diverso anche l’obiettivo del gioco: come suggeriscono le illustrazioni, Quirky Circuits è rivolto per lo più alle famiglie con bambini, gli altri giochi di questo tipo invece ai giocatori della domenica, che hanno altre esigenze.
Una freccia per due difetti
Tutti i componenti sono di ottima qualità, in particolare le miniature, grandi, robuste e dettagliate: tuttavia da giocatore veterano di Roborally non ho potuto fare a meno di notare subito l’assenza di una semplice freccia sul davanti delle miniature che indichi la direzione seguita dal robot. Detto così sembra una minuzia, quasi un capriccio, perché la direzione si può ricavare facilmente dall’orientamento stesso della miniatura, basta solo guardare dov’è rivolta: ma, se l’esperienza conta qualcosa, la pratica è ben diversa.
La freccia infatti è di grandissimo aiuto nel ragionamento astratto, soprattutto per chi osserva la plancia da una prospettiva diversa dal senso di marcia del robot e deve quindi capovolgere ogni movimento: comprendere se sia necessaria una rotazione a destra o sinistra diventa molto più semplice se si può fissare l’attenzione su un punto chiaro come una freccia e girarla mentalmente da una parte o dall’altra, come se fosse la lancetta di un quadrante.
La sua assenza richiede invece un passaggio mentale in più e rende questa astrazione leggermente più laboriosa, con la conseguenza che anche l’errore si fa più probabile, tanto più che non è possibile consultarsi con i compagni di squadra e quindi nemmeno far capire con capovolgimenti vari quale carta si abbia intenzione di giocare.
E sempre a questo proposito, le stesse carte movimento non sono chiarissime: o meglio, lo sono tutte tranne proprio quelle due che fanno ruotare la miniatura a destra o sinistra. È vero che il simbolo in alto non lascia spazio agli equivoci ma, ancora una volta, quando è necessario ruotare una miniatura rivolta in una direzione diversa dall’avanti di chi guarda sorgono alcuni dubbi, perché il disegno sulla parte bassa della carta – che dovrebbe risolvere ogni dilemma – è invece piuttosto equivoco: non vorrei essere ripetitivo ma se la basetta della miniatura avesse una bella freccia sul davanti ed il disegno sulla carta ne tenesse conto nel mostrare la rotazione, comprendere il movimento sarebbe molto più intuitivo.
Sia chiaro, né l’uno né l’altro difetto influiscono negativamente sul gioco, che è e rimane godibilissimo: e l’errore, come accennato nei paragrafi precedenti, contribuisce pure al divertimento, perché fa parte delle situazioni di gioco. Ma un piccolo aiuto visivo in più, soprattutto per chi sente avanzare l’età un po’ troppo rapidamente, non sarebbe affatto sgradito.