Scrivere i commenti ai libri della mia gioventù mi ha fatto ricordare che non avevo ancora terminato di leggere alcune serie: come quella di Tumithak dei Corridoi di Charles R. Tanner (di cui ho scritto a novembre), che nel 2005 ha visto la pubblicazione postuma del racconto «Tumithak and the Ancient Word»; e quella di Jorian di Xylar di Lyon Sprague De Camp (presentata ad ottobre), di cui da un po’ andavo progettando di leggere «The Honorable Barbarian», l’ideale epilogo.
Negli ultimi mesi li ho finalmente letti ed apprezzati: pubblico quindi di seguito i commenti che ho scritto ai due libri – nessuno dei quali è stato purtroppo tradotto in italiano – che passo ad includere anche nei relativi articoli già caricati su Libri Pulp.
1 – Tumithak and the Ancient Word
Racconto conclusivo della serie, «Tumithak and the Ancient Word» è stato pubblicato postumo e di parecchio, dato che Tanner è morto nel 1974 e questa storia è apparsa solo nel 2005: visti i riferimenti agli eventi narrati nelle «Torri di fuoco», deve essere stato scritto dopo il 1941.
Delle «Torri di fuoco» segue, a spanne, anche il canovaccio: l’eroe eponimo ed il fedele servo Mog Kiletlok, già incontrato nella storia precedente, partono con un terzo compagno, Domnik dei Corridoi Bui (il popolo di selvaggi che, ridottisi a vivere nell’oscurità, hanno perso l’uso della vista ma affinato tutti gli altri sensi) per salvare la moglie (Tholura, già vista) ed il figlio di Tumithak, rapiti entrambi da un certo Yofric. Questi, salvato ed accolto tempo prima dal protagonista come amico, è in realtà un Mog mezzosangue ancora al servizio degli shelk della città di Kuchklak: il suo compito era appunto di ottenere la fiducia di Tumithak e poi di rapirgli la famiglia e riportarla in città perché servisse da esca per l’eroe.
Kuchklak, viene spiegato, sorge un centocinquanta chilometri più ad ovest dei possedimenti di Tumithak che, si scopre finalmente, si trovano pressappoco nel Minnesota ed al momento attuale, a dieci anni dall’inizio della rivolta, contano otto città: centri molto singolari tra l’altro, dal momento che gli umani, abituati a vivere nelle gallerie sotterranee, hanno riadattato le torri degli shelk abbattute perché rassomiglino il più possibile ai corridoi in cui erano soliti vivere, quindi lunghissimi parallelepipedi al cui interno si sviluppa un corridoio sul quale si affacciano gli appartamenti.
1.1 – A Kuchklak e ritorno
Messisi dunque all’inseguimento di Yofric con un «ornitottero» (gli aerei ad ala mobile degli shelk), i tre stanno per raggiungere l’analogo velivolo del traditore quando sono costretti ad ingaggiare battaglia con un terzo veicolo: entrambi vengono abbattuti ma quello degli shelk ha la peggio. L’unico sopravvissuto è un certo Lornathusia, un Esthett, il popolo di artisti ciccioni usati come bestiame dagli invasori venusiani che si erano già incontrati nel primo racconto: evidentemente gli Esthett sono suddivisi in più colonie, tutte con lo stesso scopo. Anche se con disprezzo, Tumithak, che è andato ad ispezionare il relitto, accoglie Lornathusia nel gruppo. Quella notte si aggiunge anche un cane, riconosciuto da Domnik (i selvaggi dei Corridoi Bui vivevano come punkabbestie a stretto contatto con i loro cani), che dopo averlo preso con sé gli dà il nome di Kuzco: così abbiamo esaurito tutti i nomi rilevanti del racconto.
L’indomani mattina il gruppo viene catturato dagli shelk e, dopo le consuete promesse e vuote minacce ad opera del governatore di Kuchklak, gettato in una profonda buca scavata tempo prima per lo scopo: i prigionieri vengono però nutriti molto bene. Giorni dopo, il cane, scavando nel terreno per sotterrare del cibo avanzato, trova il vuoto appena sotto il pavimento della buca: è una galleria abbandonata, che quella notte i nostri usano per fuggire.
A questo punto, tutti gli accompagnatori di Tumithak hanno giustificato la loro presenza con un contributo alla fuga: Kiletlok ha messo Tumithak sulla giusta traccia, il cane ha trovato il corridoio, l’Esthett ha modellato delle forme che assomigliassero ai protagonisti addormentati per ingannare gli stupidi shelk, Domnik il cieco sta invece per guidare il gruppo nel buio totale delle gallerie appena scoperte. Giorni dopo si imbattono finalmente in Tholura, che pure è riuscita a fuggire da Yofric: costei li conduce all’antica e ricchissima biblioteca dei rifugi abbandonati in cui si trovano, vicina all’ingresso attraverso cui si è avventurata in queste gallerie. Quando, carichi di volumi, i nostri lasciano finalmente i corridoi vengono però catturati nuovamente dagli shelk, per essere liberati subito dopo da un corpo di spedizione dei Krayling, gli abitanti di un villaggio umano sotterraneo di soli neri che, nelle «Torri di fuoco», Tumithak aveva soccorso e che da allora hanno giurato fedeltà al protagonista.
Con sua somma soddisfazione i liberatori, appresa la cattura dell’eroe e datane ormai per scontata la morte, avevano deciso di compiere una spedizione punitiva contro Kuchklak: al sentire ciò Tumithak si rallegra perché la reazione dei Krayling ha appena cancellato il suo unico timore, ossia che il destino dell’umanità pesi solo sulle sue spalle e che la ribellione degli uomini possa finire con la sua morte.
Lo spirito guerriero dell’umanità si è invece appena risvegliato.
1.2 – Un breve commento
Com’è lecito attendersi, la storia è leggera e non ha altro scopo che intrattenere il lettore: i suoi aspetti più validi riguardano infatti la continuità con i racconti precedenti, non c’è un solo antefatto che venga cambiato o abbandonato perché non è più utile ai fini della trama ma anzi ci sono frequenti riferimenti a fatti, personaggi od oggetti già apparsi nelle storie precedenti. Come prevedibile, invece, gli aspetti più deboli sono gli stessi di tutti i pulp: una trama lineare, personaggi bidimensionali, il pesante intervento dell’autore perché avvengano determinati eventi, un lieto fine già certo all’apertura del racconto. Non sono veri difetti ma caratteristiche di questo tipo di letteratura, volutamente disimpegnata: si possono vedere come una sorta di invito a pensare sempre in positivo, a non disperare mai, a non darsi mai per vinti perché l’uomo con la sua creatività – ed un pizzico di fortuna, magari: ma si sa che aiuta gli audaci – trova sempre una soluzione.
2 – The Honorable Barbarian
Scritto e ambientato diversi anni dopo il ritorno di Jorian nella natia Kortoli, The Honorable Barbarian (1989, non mi risultano traduzioni italiane) ha per protagonista il fratello minore di Jorian stesso, Kerin, che si è messo nei guai con la figlia un po’ troppo allegra di un vicino ed è perciò costretto a fuggire prima di essere costretto al matrimonio riparatore.
Ricevuta un’istruzione basilare dal fratello nelle discipline che gli serviranno nel viaggio – ossia l’uso della spada, lo scasso e l’adulazione, «che ti porta sempre lontano» – Kerin viene quindi spedito dalla famiglia nel lontano Kuromon (sorta di Cina imperiale, dove riceverà l’attributo di «onorevole barbaro» che dà il titolo al libro) al tempo stesso per scoprire i segreti dell’arte orologiaia di quella misteriosa contrada ed intanto tenersi lontano dai guai, che però ovviamente abbonderanno: essenza stessa del viaggio, nell’anno o giù di lì di assenza diventa adulto, grazie sia alle raccomandazioni del fratello sia alle proprie capacità sia, va detto, ai colpi di fortuna. Così, quando a missione compiuta torna a casa, si presenta anche con la giovane moglie, una ex principessa salimoriana (che qui sta per l’Indonesia) che prima ha salvato dai pirati e poi dal sacrificio umano cui era destinata.
Nell’insieme la storia è sì gradevole ma è anche inferiore a quelle di Jorian, sebbene il protagonista riesca altrettanto simpatico dell’ex re: sono l’ambientazione e le imprese a non riuscire così fantasiose come le precedenti e persino l’umorismo, pur presente, qui è meno incisivo.
Non è quindi una sorpresa che le battute più divertenti riguardino ancora i (pochi) maghi e l’uso della magia, come quando un orribile demone del quinto livello, evocato dal prete stregone per riportargli la principessa rapita e messo alle strette da Kerin, osserva quanto siano crudeli gli abitanti del primo piano (il nostro), che «ci strappano dal nostro piano, ci obbligano a servirli senza nemmeno pagarci e poi ci costringono a commettere azioni che a casa nostra nemmeno ci sogneremmo».
Purtroppo però simili situazioni e battute al limite del demenziale sono gran poche in tutto il libro, che probabilmente deve proprio a ciò la sua debolezza: non riesce infatti ad ironizzare sui luoghi comuni del fantasy e delle storie d’avventura come facevano abbondantemente i libri di Jorian ma tenta invece di prendere di mira soprattutto le somiglianze tra il mondo di Novaria ed il nostro, tra le follie della burocrazia trionfante, gli strumenti magici che scimmiottano apparecchi tecnologici e le forzature varie dei pattini a rotelle o delle cause infinite in tribunale.
Certo questo Honorable Barbarian non è uno dei migliori libri del ciclo di Novaria ma, in quanto volume per così dire conclusivo della serie, non è nemmeno del tutto da buttar via.