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Alfred Coppel – Il ribelle di Valkyr

Non mi stancherò mai di ripeterlo: idee e ambientazione sono più importanti di trama e personaggi.
Certo, da sole non bastano a salvare una storia scadente ma in molti casi aggiungono concetti che, spostando l’attenzione dagli eventi poco interessanti al loro curioso contorno, la rendono se non altro più gradevole, a volte persino avvincente: è il caso ad esempio del «Ribelle di Valkyr» di Alfred Coppel (The Rebel of Valkyr, 1950), dove l’ambientazione e le idee che hanno ispirato il racconto sono così suggestive che risvegliano subito l’interesse del lettore, anche se la struttura che tiene in piedi la storia segue il più banale canovaccio delle storie fantasy. Solo che qui nonostante le apparenze si tratta indubbiamente di fantascienza, senza nemmeno un briciolo di magia o di soprannaturale.

Un universo di contrasti
Ottimo esempio del genere di racconti prediletti da Planet Stories, che infatti gli ha dedicato la copertina del numero di agosto 1950, «Il ribelle di Valkyr» è una space opera che porta il nostro medioevo nel remoto futuro e lo traspone su scala galattica: la scienza è ormai dimenticata e chiunque cerchi di riscoprirla viene guardato con sospetto se non addirittura bollato come stregone e linciato o bruciato sul rogo, perché già solo l’idea di qualcuno che traffichi con la «Grande Distruttrice» mette paura. Ciononostante, sopravvivono ancora i resti di una lontana epoca tecnologica le cui meraviglie vengono ancora usate ma senza comprenderne il funzionamento: è il caso ad esempio delle astronavi, pilotate mediante astrolabi e armille dagli sciamani della casta ereditaria dei navigatori, che non hanno nemmeno una vaga idea delle reali distanze tra i pianeti.
Così la galassia diventa un impero medievaleggiante vecchio migliaia di anni del quale i singoli pianeti costituiscono i feudi: la società, l’architettura, l’abbigliamento, ogni descrizione contribuisce poi a rafforzare questa immagine. Le stesse guerre vengono combattute alla vecchia maniera, con spade, armigeri e cavalli, trasportati di pianeta in pianeta da astronavi al cui interno l’unica fonte di illuminazione è il fuoco delle lampade a petrolio tenute basse per non inquinare troppo l’aria: su tutto infatti aleggia ancora lo spettro della Grande Distruttrice, la scienza, che in epoche passate ha già devastato la galassia.
Ne deriva così un’ambientazione suggestiva in cui si mescolano scienza e superstizione, tecnologia e mistero: in questo universo di contrasti è facile trovare l’ispirazione di Dune (il feudalesimo dell’impero galattico e la casta dei navigatori sono gli indizi più ovvi) e, nell’oscurantismo tecnologico, anche di Warhammer 40.000. Ma se ne può scorgere un’eco anche in un romanzo ben più leggero come «Crociata spaziale» di Poul Anderson, che pure mette un esercito medievale in un’astronave aliena e lo lancia alla conquista di un impero tra le stelle.
Alla fine degli anni Sessanta lo stesso Coppel è tornato sull’ambientazione con la serie di Rhada, scritta sotto pseudonimo: il primo volume, «The Rebel of Rhada» (qui si trova la mia recensione in inglese), riprende e modifica profondamente questo racconto, al quale regala un nuovo finale, molto meno melodrammatico dell’originale.

Venti di ribellione
Il vecchio imperatore galattico è morto da qualche tempo: l’erede, suo figlio Toran, è un debole che non vale un briciolo del padre ed infatti si lascia manipolare dall’ambiziosa moglie Ivane. Su sua istigazione Toran ha alzato le tasse ai pianeti delle Marche Esterne, in sostanza pianeti poveri di risorse che però forniscono il nerbo degli eserciti imperiali: ed infatti per un’antica consuetudine questi pianeti erano soliti pagare i loro tributi in truppe, non in denaro. Ma Toran ha cambiato questa usanza e agli uomini adesso ha aggiunto anche le monete.
Da settimane Kieron di Valkyr – il signore del pianeta: «warlord» nell’originale, «generalissimo» nella traduzione, che però suona un po’ come l’«amato leader» di un regime comunista – è ospite del palazzo imperiale sulla terra ma gli intrighi di Ivane gli hanno impedito finora di incontrare il neoimperatore: il protagonista vuole esortarlo a ritornare sui propri passi e cancellare i nuovi tributi, che stanno non solo soffocando i pianeti delle Marche Esterne ma anche spingendo alla rivolta. Che anzi sta già bollendo: Freka lo Sconosciuto, attuale reggente del pianeta Kalgan, ha infatti invitato gli altri Re delle Stelle suoi pari ad un imminente consiglio di scontenti.
Stufo di aspettare, dopo l’ennesima provocazione Kieran decide di ripartire ma solo dopo aver fatto omaggio al ritratto del defunto imperatore Gilmer, custodito in una stanza accanto alla ricca sala dei Mille Imperatori: qui sono effigiati i grandi sovrani del passato che, ancora venerati come dei, avevano un tempo unificato la galassia finché in un’epoca antica quel primo impero non si è sgretolato a causa della Grande Distruttrice – la tecnologia usata per fini distruttivi – scatenata dalla ribellione dei pianeti delle Marche Esterne.
Al crollo del primo impero è seguito un lungo periodo di barbarie noto come interregno: ma da quattro generazioni è sorto un nuovo impero che con le armi ha riunito nuovamente la galassia, «un impero selvaggio e buio, nato nel periodo tenebroso dell’interregno, un feudo galattico di Re delle Stelle e di servi della gleba, di stregoni e di astronavi, di luci e d’ombre. Questo impero era nato dall’agonia di una galassia ed era stato temprato nelle rabbiose lotte fratricide della riconquista». Kieron è ancora fedele a questo impero, nel quale crede e per il quale ha combattuto a fianco del defunto Gilmer.
Tra i colonnati di queste sale il protagonista incontra Alys, sorella minore di Toran: inizia così una storia di baci (la ragazza, appena ventenne, è innamorata di Kieron sin da quando era bambina), che scandisce gli eventi successivi e culminerà nel più classico struggimento interiore dovuto alla lotta tra amore e ragion di stato.
Alla fine Kieron parte per Kalgan ma lascia il suo secondo, Nevitta, a protezione della ragazza, che è tenuta segregata nel suo appartamento da Toran su ispirazione di Ivane: prima della partenza però Alys strappa al protagonista la promessa che non aderirà alla ribellione finché «non avremo tentato tutto».
Qualcosa bolle in pentola.

Complotto nel complotto
Su Kalgan, Kieron vede per la prima volta Freka, un uomo d’aspetto simile a un dio: con facilità il reggente locale riece a convincere gli altri sovrani ad aderire alla ribellione. Solo Kieron si astiene, e non solo per la promessa fatta ad Alys: l’eroe si è infatti reso conto che all’improvviso Kalgan, un pianeta di scarsa importanza, è balzato al centro degli intrighi galattici. Non solo è il cuore della ribellione ma, così gli ha detto Alys, da qui proviene anche un certo Geller delle Paludi, uno stregone noto per trafficare con gli omuncoli alchemici che da anni visita Ivane in gran segreto: Kieron inizia quindi a sospettare che la ribellione sia ispirata dalla stessa Ivane come scusa per sbarazzarsi del marito ed assumere lei stessa il potere.
Quella notte Kieron riceve la visita di Nevitta e Alys, che è dovuta fuggire in gran fretta dal palazzo imperiale perché alcuni sicari, dopo aver ucciso Toran, hanno cercato di eliminare anche lei: infatti, scomparso il fratello, la corona imperiale adesso spetta ad Alys.
Più tardi Kieron cattura anche un cortigiano che aveva già incontrato e disprezzato sulla terra, mandato su Kalgan per portare a Freka la notizia della morte di Toran: la sua scomparsa improvvisa fa scattare un’indagine che si conclude con la morte di tutte le guardie valkyriane e la cattura dello stesso Kieron, che pure riesce a pugnalare Freka tre volte in pieno petto.
Ma Freka, si scoprirà, non è morto, perché è un «cyb», che nel gergo del libro non sta per cyborg ma per androide: un robot di forma umana, prova tangibile dell’antica scienza riportata alla luce. Pura eresia.

L’abisso del potere
Nelle settimane che seguono la ribellione ha successo ed Ivane assume il potere: ma i valkyriani non vi prendono parte ed anzi per liberare il loro sovrano conquistano Kalgan, lasciato sguarnito. Basta l’arrivo degli invasori per scatenare la ribellione e la rabbia repressa degli abitanti, che devastano le strade di Neg, l’unica città del pianeta: nei disordini, Geller delle Paludi viene ucciso, il suo laboratorio distrutto.
Settimane più tardi Kieron, tornato libero ed ormai ristabilitosi dalla prigionia, visita ciò che rimane dell’edificio: tra le rovine trova importanti indizi, come un paio di testi sulla robotica e sull’incubazione e gestazione degli androidi. Adesso è tutto chiaro.
Tornato sulla terra, riesce a convocare gli altri Re delle Stelle davanti ad Ivane e a mostrare le prove della sua colpevolezza: ma la sua arringa viene interrotta dall’arrivo di Freka, che ha il diritto di combattere con Kieron perché il suo pianeta è stato saccheggiato dai valkyriani.
Nel duello Kieron infilza più volte l’avversario, che non solo non cade mai a terra ma non mostra nemmeno di aver subito il colpo: e non sanguina nemmeno, perché è un androide. Solo quando Kieron lo fa letteralmente a pezzi Freka smette di essere una minaccia.
L’identità di Freka è la prova della colpevolezza di Ivane: ma dato che le donne non si toccano nemmeno con un fiore, Kieron non può pensare né di uccidere né di far uccidere l’usurpatrice. Si accontenterebbe di imprigionarla: ma Ivane mostra ancora una volta di avere più carattere del protagonista e, estratto un coltello, si pugnala al cuore prima che questi riesca a toccarla.
Alys può quindi essere installata sul trono imperiale: ma così si crea una barriera tra Kieron e la ragazza, perché sebbene l’amore li unisca adesso li divide l’abisso del potere. Seguono struggimenti vari mentre cala il sipario.

Un racconto influente
Se, leggendone il riassunto, «Il ribelle di Valkyr» è sembrato una storiaccia è perché lo è davvero: ma l’ambientazione è così evocativa che i malanni della trama passano in secondo piano. Quello che conta sono l’atmosfera, le descrizioni, le idee, che ancora oggi riescono a destare l’immaginazione del lettore, anche se da allora si è abusato di quelle suggestioni: ma quando la storia è stata pubblicata per la prima volta settant’anni fa erano nuovissime, così nuove che sono riuscite ad impressionare altri autori e che sono poi confluite in alcune delle opere più influenti della fantascienza, come il già citato «Dune» di Frank Herbert. Già solo per questo, «Il ribelle di Valkyr» merita di essere riscoperto e goduto per la fantasia e e le fughe dell’immaginazione che è capace di evocare.
Ma il racconto è notevole anche per un’altra ragione: nonostante le apparenze – parla infatti di magia e superstizione – è vera fantascienza; non appartiene cioè a quella science fantasy che da alcuni anni va così di moda, a causa soprattutto della moda di Guerre Stellari, dove invece certi fenomeni straordinari possono essere spiegati solo ricorrendo a poteri o energie soprannaturali, estranei quindi alla nostra esperienza comune.
Nel «Ribelle» infatti non c’è traccia di magia o altre forze prodigiose, a parte l’uso volutamente scorretto del termine da parte dei personaggi: tutto quello che sembra magia o che viene definito un suo effetto è in realtà (super)scienza o tecnologia applicata, solo che se ne sono perse le conoscenze; di conseguenza, l’ignoranza porta ad associare il terrore della «Grande Distruttrice» – e più in generale tutto quello che non si capisce – con la magia. Ma non si tratta d’altro che di un’applicazione letterale della citatissima terza legge di Clarke, secondo la quale una tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia: solo che qui viene anche creduta tale.

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