Ci sono dei libri che ti fanno andare via la voglia di leggere: e «Titano» di John Varley (Titan, 1979) è uno di questi. Già mentre tentavo di finirlo nella speranza che accadesse qualcosa (e ho tenuto duro solo perché tratta di un BDO e gli oggetti grandi e stupidi di origine aliena mi affascinano sempre) faticavo a trovare la voglia di riprendere in mano il volume per proseguire con la lettura: ma poi, una volta terminato, mi è venuto a noia leggere proprio a causa sua e per qualche tempo non c’è stato verso di trovare qualcosa che mi andasse anche solo di sfogliare.
«Titano» infatti è un altro libraccio che dalle premesse sembra il non plus ultra della fantascienza ma poi in concreto non riesce ad imbastire una storia che abbia un minimo di senso, per non dire di interesse: questa addirittura è per lo più fantasy, con un finale fumato e intricato che non spiega niente e rimanda tutto ai seguiti. Che mi guardo bene dal leggere e commentare.
Il buco col pianeta attorno
Com’è spesso il caso con i libri di sui BDO, lo spunto è ottimo e l’ambientazione affascinante ma l’uno e l’altra vengono rovinati dalla trama, che non solo non è all’altezza delle aspettative ma spreca pure le ottime premesse nella prima manciata di pagine: qui addirittura l’attrattiva del gigantesco BDO (una ruota – o toroide, come si ostinano a ripetere tutti i protagonisti – di milletrecento chilometri di diametro, pari a quattromila di circonferenza: in altre parole, un piccolo pianeta col buco in mezzo) passa in secondo piano, soffocata da un’inutile scena di sesso dietro l’altra – ma tutte ugualmente fuori luogo – e dai drammi interiori di personaggi (uno in particolare, Cirocco Jones, l’insoffribile protagonista) che hanno la personalità di una suola di scarpe e dei quali importa anche meno.
La storia è un accumularsi di problemi: tanto per dare un’idea di ciò con cui ci si dovrà confrontare per tutto il tempo, il primo pensiero dei naufraghi non appena si ritrovano nel manufatto alieno è fare l’amore. Poi, soddisfatti i bisogni primitivi, non si fermano nemmeno un minuto a cercare di immaginare chi possa aver costruito il satellite in cui sono finiti o quando o perché; né perché l’oggetto abbia aggredito l’astronave con un tentacolo che l’ha distrutta e ne abbia assorbito il piccolo equipaggio, risputandoli poi tutti nudi qua e là al proprio interno; né ancora perché carne e frutta siano commestibili, l’acqua potabile, l’aria respirabile, l’ecosistema equilibrato.
Semplicemente procedono, dando quasi per naturale di ritrovarsi in quell’ambiente, senza preoccuparsi del futuro o di trovare il modo per uscirne: l’unica è appunto la sciocca Cirocco, che per ragioni sue si mette in testa che deve esserci un’entità che governa tutto, che deve trovarsi nel mozzo della ruota e che deve raggiungerla a tutti i costi. Così la storia diventa la missione privata di Cirocco, la sua scalata al monte Olimpo, un riferimento che sorprendentemente Varley non ha sfruttato, dato che dissemina frammenti di mitologia greca a tutto spiano (e visto in particolare il riferimento ai titani già nel titolo), presa a modello persino dall’entità che è diventata l’ossessione della protagonista.
Così addio esplorazione – che, anche nei suoi momenti di massimo rigoglio, non è chissà che: alberi, paludi e centauri che vivono in armonia con la natura, intervallati da colossali tiranti d’acciaio ricoperti di vegetazione, uno spettacolo mozzafiato che però rimane sempre sul fondo – per far spazio a sempre nuove ripetizioni delle stesse cose, come l’interminabile scalata di Cirocco e fidanzata (perché c’è anche questo, sì, nella deriva sessuale della storia) al mozzo alla ruota, che sembra non voler terminare mai perché Varley si perde a descrivere ogni minimo ostacolo che incontrano, invece di fare ampi salti di trama e limitarsi a liquidare con poche parole, magari retroattive, quello che succede tra un salto e l’altro.
E così la storia si trascina nella noia.
È sempre colpa degli umani
Un altro problema grosso come il planetoide stesso riguarda le reazioni dei protagonisti, Cirocco in testa, quando scoprono gli alieni, i già citati centauri: sono i primi extraterrestri mai incontrati dall’umanità. Ed invece di essere sorpresi, meravigliati o spaventati dall’incontro, i nostri sono affascinati dalle dimensioni esagerate dei loro organi genitali e dalla natura androgina di questi esseri, che di aspetto paiono tutti femminili sebbene alcuni siano dotati di attributi spropositati. Ora, so per certo che, qualora da naufrago in un mondo artificiale di cui ignoro tutto o quasi dovessi trovarmi faccia a faccia con una razza di alieni, i loro genitali sarebbero l’ultima cosa alla quale penserei ed invece mi preoccuperei prima di tutto di accertarmi delle loro intenzioni, quindi di stabilire un rapporto di amicizia ed un sistema di comunicazione. Ma anche in questo Cirocco parte avvantaggiata perché, nel periodo trascorso nella pancia del «toroide» dopo che il tentacolo l’aveva assorbita, le è stata impiantata nel cervello la piena conoscenza della lingua musicale dei centauri, e così almeno lei non ha problemi di comunicazione: ma resta sempre la sorpresa del primo contatto, la meraviglia della prima creatura intelligente mai incontrata dall’uomo. Che invece passa completamente ignorata e rimpiazzata semmai dalla meraviglia per la superdotazione di cui gli alieni fanno libero sfoggio, perché non indossano vestiti.
Ma i problemi non si fermano qui: infuria infatti una guerra tra i centauri ed un’altra razza, quella degli angeli (così chiamati proprio perché hanno questo aspetto). E la colpa è…degli uomini: perché l’intelligenza che controlla il planetoide, che ha creato tutte le creature che lo abitano, centauri ed angeli inclusi (modellati gli uni e gli altri sulle analoghe creature dell’immaginario terrestre), è appassionata di televisione. La nostra televisione, quella che le arriva dalla terra con qualche mese di ritardo.
E guardando la televisione ha scoperto che per gli uomini la guerra occupa un posto importante: così voleva sperimentarla e per questa ragione ha programmato le menti delle due specie perché provino un odio irrazionale l’una per l’altra, in modo tale che si attacchino a vista, incapaci di controllare la furia e le reazioni alla semplice presenza di un membro dell’altra specie. Di conseguenza, per ridurre tutto ai minimi termini, la causa di questo conflitto è ancora una volta la cara vecchia natura umana: un’altra guerra di cui dovremo rendere conto.
Un fantasy mascherato da fantascienza
Così, man mano che ci si addentra nella lettura, si passa anche di delusione in delusione: presto il libro dimentica di essere quello che voleva far credere di essere e diventa un’esplorazione interiore, la metafora della crescita di Cirocco e della sua ascesa a «maga» («Wizard», che è infatti il titolo del secondo libro della serie: ma non aspettatevi di leggerne qui il commento), solo perché ha il sostegno di Gea, l’intelligenza superiore che controlla il planetoide.
Perciò anche «Titano», come gli altri libri che ruotano attorno ai BDO, perde presto di vista il fascino del mistero per concentrarsi su una storia che sa di fantasy e che è tagliata sul suo personaggio principale, se non addirittura confezionata su misura: «character-driven» e non «story-driven» né tantomeno «exploration-driven», che poi sarebbe davvero il massimo. La situazione è sempre così sotto controllo che non affiora mai l’idea del mistero, del pericolo, della scoperta, nemmeno una traccia: si sa che c’è qualcosa di ignoto ma da subito si comprende che tutto verrà rivelato a tempo debito, quando Cirocco avrà finalmente avuto la sua occasione di incontrare l’entità superiore che, si intuisce parimenti, deve esistere, perché Cirocco è il personaggio positivo a tutto tondo e non può sbagliare.
Tutto il resto è riempitivo, è una storia che serve solo per giustificare il viaggio e la metamorfosi della protagonista.
Nell’insieme, è un libro da dimenticare, il peggiore tra quelli che trattano di BDO: è «Incontro con Rama» di Clarke mescolato con «Gli dei di Marte» di Burroughs ed una spolverata di Matrix (il film) ma senza nessun collante. Persino «Il satellite proibito» di Budrys (Rogue Moon, 1960), che pure ruota attorno ad un manufatto alieno ma non lo mostra mai se non nelle ultimissime pagine e solo di sfuggita, è leggermente migliore, perché almeno è lungo la metà.
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