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Damon Knight – Terrore dallo spazio

Ci sono dei libri dai quali non si sa cosa aspettarsi: si sa solo che non ci si deve aspettare molto. Ma poi, complici proprio le basse aspettative che si avevano, alcuni di questi libri finiscono per sorprenderci, pur restando opere tutt’altro che immortali: sono semplicemente buoni, scorrevoli, solidi per le idee che presentano prima che per la storia. E «Terrore dallo spazio» (The Rithian Terror, 1965) di Damon Knight appartiene a questa categoria: un libro abbastanza banale sin dallo spunto iniziale ma sorprendentemente avvincente, grazie ad una trama che mescola il filone poliziesco investigativo alla fantascienza d’invasione, con molta creatività e divagazioni dai canoni di ambo i generi.

Un «terrore» dai molteplici significati
Opera minore di un autore minore, «Terrore dallo spazio» è la rivisitazione ampliata di «Double Meaning», un racconto pubblicato dallo stesso Damon Knight sulla rivista «Startling Stories» nel gennaio 1953: il titolo della storia originale – che si può tradurre letteralmente con «Doppio significato» – già anticipa il finale, dal momento che l’esito dell’indagine dipende proprio dai diversi modi in cui può essere interpretato l’indizio chiave. Ed i terrestri del futuro, che sguazzano nell’iperorganizzazione e nell’applicazione letterale delle norme, sono impreparati ad affrontare una simile eventualità, che per loro non è nemmeno concepibile dal punto di vista linguistico: la lingua del domani infatti è inadeguata ad adattarsi agli imprevisti ma, stabile ed immutabile, è invece così regolamentata che persino i neologismi devono prima essere approvati da un ente apposito, che ad ogni parola assegna un unico significato ed uno solo, inequivocabile, senza neppure contemplare sinonimi ed omonimi.

Ottusità e pensiero divergente
In questa storia il tema dell’infiltrazione aliena è solo un pretesto per affrontare il vero conflitto, quello tra due nature opposte dell’uomo: da una parte chi venera la burocrazia e si attiene scrupolosamente alle leggi perché danno un senso di sicurezza, qui rappresentato da Thorne Spangler, l’alto funzionario di sicurezza dell’impero terrestre che dirige l’indagine; dall’altra chi invece è abituato a contare soprattutto sull’improvvisazione e sull’intuizione – e quindi su se stesso – per risolvere i problemi, impersonato da Jawj Pembun, un «ometto buffo» del pianeta Manhaven, colonizzato sei secoli prima (nel ventesimo secolo quindi) da quella che Spangler definisce sprezzantemente «una massa eterogenea, generata da una mezza dozzina di gruppi di livello inferiore alla media» di caraibici ed africani. Eppure è proprio il pensiero divergente di Pembun – il cui aiuto come esperto in affari riziani è stato richiesto dallo stesso governo terrestre – a permettere di chiudere l’indagine in tempi rapidi laddove la standardizzazione e la regolamentazione ossessiva dei terrestri avevano (e avrebbero ancora) fallito.
Nemmeno lui però può salvare l’impero, che già prima del suo arrivo sulla terra era stato sconfitto dagli scaltri alieni ma nessuno ancora se ne era reso conto.

Frammenti di ambientazione
La terra del futuro – siamo nell’anno 2521 – è il cuore di un impero che include duecentosessanta pianeti e ottocento miliardi di individui: anche se mantiene intatti il suo prestigio e la sua potenza, questo impero è solo l’ombra del passato. Continua infatti a perdere pezzi, quando pianeti come Manhaven si staccano e proclamano l’indipendenza. Come conseguenza delle sue dimensioni, l’impero si regge sulla burocrazia sfrenata: per ogni situazione possibile c’è una procedura già prevista, magari secoli prima e mai utilizzata sino al momento del bisogno. E, come ulteriore conseguenza, i terrestri non sono più abituati a pensare con la loro testa ma sono condizionati ad applicare sempre alla lettera norme, pensieri e procedimenti già ideati da altri: perciò sono esecutori efficientissimi ma carenti di iniziativa. Più robot che esseri umani, verrebbe da pensare.
Per mantenere il suo potere, l’impero si è sempre dato da fare con operazioni di spionaggio, sabotaggio, sovversione e, quando queste fallivano, campagne militari e bombe capaci di annientare mondi interi. Da qualche tempo però i terrestri si sono imbattuti in un concorrente tecnologicamente avanzato col quale la prudenza sconsiglia un’azione diretta: sono i riziani, originari del pianeta Rizia appunto, esseri tentacolati assai progrediti («l’insieme delle informazioni raccolte era stato così impressionante da convincere gli strateghi terrestri che muovere guerra ai riziani sarebbe stato disastroso»), al punto che hanno già colonizzato anche numerosi altri pianeti. Da quando si apprende, questi alieni non sono né malvagi né aggressivi (tanto che commerciano pacificamente con Manhaven da diverso tempo), amano la vita ed hanno un debole per gli scherzi e l’umorismo, che è la chiave di tutta la storia. E sono pure capaci di controllare le menti mediante ipnosi.
Vista l’impossibilità di sconfiggerli militarmente o anche solo di spaventarli mostrando i muscoli, la terra ha scelto una campagna di lento e paziente logorio, per indebolirli, dividerli ed ostacolarli: nella teoria, così facendo i riziani si sarebbero trovati prima o poi sulla china discendente, nella decadenza storica, anche se questo avrebbe richiesto secoli di paziente attesa.
Solo che i riziani sono passati al contrattacco ed hanno inviato otto agenti sulla terra: di questi, uno è tornato a casa dopo breve tempo (probabilmente con le informazioni cercate dai protagonisti nella seconda parte del libro) ed altri sei sono stati uccisi dalle forze dell’ordine terrestri. Ne è rimasto quindi uno solo, che deve essere trovato ed eliminato prima che possa nuocere: per questo è stato richiesto l’aiuto di Pembun, già membro del governo coloniale di Manhaven prima che il pianeta ottenesse l’indipendenza e, suo malgrado, agente imperiale. Manhaven infatti mantiene ottimi rapporti con i riziani, con i quali commercia regolarmente: Pembun stesso conosce molto bene l’indole, il comportamento, la mentalità e tutte le altre caratteristiche degli alieni, al punto che riesce ad interpretare le azioni dell’alieno e a prevederne le mosse.
Solo che c’è un ostacolo anche alle sue intuizioni: i riziani sono privi di ossa e possono costringere il loro corpo all’interno di un corpo umano, tanto da apparire perfettamente umani anche ai raggi X. Cosa che infatti è già avvenuta.

Rapporti e relazioni nell’impero
La storia è un continuo tiramolla di situazioni che vengono prima esasperate dalla paranoia e dall’apprensione di Spangler e poi sempre risolte da osservazioni casuali di Pembun: presto il disprezzo di Spangler per l’extraplanetario, ispirato da un senso di superiorità comune a tutti i terrestri nei confronti dei «selvaggi dell’Oltrespazio», si trasforma in odio autentico, perché Spangler mal sopporta che Pembun con la sua semplicità ed ingenuità abbia sempre la soluzione a tutti i problemi, come se l’ometto di Manhaven si divertisse a sminuirlo e metterlo a disagio. In realtà è solo un’impressione di Spangler, infastidito se non addirittura spaventato da tutto ciò che è imprevedibile ed esce dagli schemi: al culmine della sua paranoia arriva persino ad odiare Pembun e a sospettarlo di essere un agente dei riziani, perché «era dalla parte dell’ambiguità e dell’illegalità», ossia «l’essenza immutabile dell’antica irrazionalità, ormai sconfitta sulla Terra ma non ancora cacciata dal cosmo».
Al tempo stesso, Spangler è interessato solo a far carriera. Il suo arrivismo modella anche la sua relazione assai poco spontanea con Joanna, una nobile che lui non ama ma vuole sposare comunque perché il matrimonio con un’aristocratica è l’unico modo che abbia per raggiungere le posizioni dirigenziali più alte, altrimenti sbarrate a chi come lui è di umili origini: Spangler la disprezza perché è legata alle cose del passato – ama la musica, i libri, persino l’arredamento e l’architettura dei secoli precedenti – e fatica ad accettare il presente. Per riuscire nel suo intento non si fa quindi scrupolo di manipolarla e programma ogni incontro, periodo di attesa, parola e atteggiamento in funzione della reazione che vuole suscitare in lei, per portarla a fare, dire, desiderare ciò che lui ha in mente: solo alla fine, quando a causa dei riziani vede crollare tutto ciò in cui ha creduto, Spangler riesce ad essere spontaneo per la prima volta anche con la donna. Ma ormai è troppo tardi.

Doppio significato
Grazie alle intuizioni di Pembun, l’alieno viene presto scovato ed ucciso, travestito da capitano nello staff di Spangler: solo che l’esperto sospetta che gli infiltrati abbiano disseminato bombe per il pianeta, non tanto per farle esplodere quanto per tenere in ostaggio la terra con la minaccia di farle detonare. Pembun però intuisce che l’ubicazione degli ordigni è stata impiantata nella mente di un altro umano (un colonnello della sicurezza: il senso dell’umorismo riziano) mediante comando ipnotico: alla fine, quando finalmente riescono a strappare queste informazioni dalla mente dell’ufficiale, tutti credono di poter risalire facilmente alla posizione delle bombe. La prima si trova infatti in un «pet shop» (negozio di animali) tra un ristorante ed un «book store» (libreria): non se ne conosce la città ma è un ostacolo insignificante, la burocrazia dell’impero ha gli strumenti per desumere questa informazione in brevissimo tempo; identificata quella prima posizione, il messaggio fornisce distanze e direzioni da seguire per raggiungere le altre.
Ma a nessuno viene in mente che «pet shop» e «book store» (le uniche parole del messaggio in terrestre, tutte le altre sono in riziano) possano avere un significato diverso da «negozio di animali» e «libreria», quello univoco deciso per legge: solo a Pembun viene il dubbio e, mentre tutti si scambiano pacche sulle spalle per il successo, butta lì che queste espressioni hanno diversi significati nelle diverse lingue parlate sui pianeti imperiali. E visto che non si conosce quale sia la lingua o il dialetto che i riziani hanno scelto per decrittare il loro codice, l’informazione è praticamente inutile, perché il significato di «pet shop» e «book store» cambia di pianeta in pianeta e di volta in volta può indicare negozi che vendono gioielli, o parrucchini, o macchine, o tappeti, o giocattoli, persino i vespasiani, solo per includere le lingue che Pembun conosce. In sostanza, la bomba potrebbe essere dappertutto: è un altro esempio del senso dell’umorismo dei riziani.
Ma questa è anche la fine della terra come potere supremo, perché d’ora in poi può essere ricattata dai riziani in qualsiasi momento: l’impero è destinato a collassare presto; di conseguenza, i mondi dell’Oltrespazio dovranno imparare a reggersi da soli ma molti, compreso lo stesso Manhaven, non sono ancora pronti.

L’abitudine ad obbedire ai precetti
Storia leggera e scorrevole (si finisce in mezza giornata), «Terrore dallo spazio» spinge il lettore a riflettere sul presente: già oggi infatti viviamo in un mondo che lascia sempre meno spazio allo spirito di iniziativa individuale e tende invece a soffocare i singoli con leggi, norme e obblighi sempre più numerosi e opprimenti, come se la nostra sopravvivenza dipendesse solo dall’osservanza scrupolosa di tutti i precetti, quasi un dogma di fede.
Ma questa mentalità ci rende via via sempre più incapaci di far fronte all’inatteso, perché lentamente ci ha abituati a dipendere dagli altri e non a far conto sulle nostre capacità: così quando all’improvviso ci si trova in una situazione imprevista, privi di una guida, si è smarriti, incapaci di prendere decisioni su due piedi. In altre parole, si aspetta che arrivi qualcuno a dirci cosa dobbiamo fare: ma «perché un governo dovrebbe dire alla gente che cosa deve o non deve fare?», chiede ad un certo punto un tale originario di Manhaven a Pembun, mentre bevono ricordando il passato.
La risposta è abbastanza ovvia: lo stesso Knight ne dà una sua versione quando per bocca di Pembun osserva che «colui il quale ha assimilato con successo tutti i taciti impegni e tutti gli atteggiamenti condizionati (…) è già mezzo ipnotizzato».
Abituarsi a pensare con la propria testa, avverte il libro, è quindi la miglior cura contro qualsiasi avversità.

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