«Guerra al grande nulla» di James Blish (A Case of Conscience, 1958) è un caso emblematico di libro sopravvalutato, uno dei quei libri cioè che non hanno alcun senso eppure godono di una reputazione spropositata, proprio perché i più – critica inclusa – preferiscono osannarli piuttosto che ammettere di non averci capito niente: e così queste opere finiscono per essere ammantate di un alone mistico, quasi di santità, che non meritano affatto.
Questo romanzo di Blish infatti è una grandissima delusione: parte molto bene perché presenta subito una società aliena perfetta, che vive in armonia con tutto e tutti e non conosce nemmeno il peccato. Così, grazie a questo spunto, riesce ad accendere l’interesse del lettore e a tenerlo vivo fin verso la metà del volume, quando iniziano a comparire le prime crepe: poi però bastano poche pagine – giusto un cambio di scena – e la storia precipita sino a schiantarsi davvero nel grande nulla dell’assenza di un senso, perché tutto ciò che di buono aveva ravvivato l’interesse nella prima metà viene o dimenticato o snaturato nella seconda, per condurre ad un finale forzato, così prevedibile da essere telegrafato.
Ed i grandi dubbi che accompagnano l’origine e la natura di questa razza aliena (che si teorizza sia una trappola del diavolo perché è impossibile che esista in natura tanta purezza), il vero interesse del romanzo, non solo rimangono senza risposta ma – ed è questo ciò che più dà fastidio – non ricevono nemmeno un briciolo di approfondimento o esame : semplicemente, vengono formulati dal protagonista – un gesuita – all’inizio e poi restano nel cassetto come un dato di fatto, senza più ricevere quella trattazione che invece ci si aspettava e che sarebbe indispensabile.
Siamo d’accordo che una risposta definitiva non doveva essere data ma doveva essere lasciata al lettore, ed almeno in questo il romanzo segue la strada giusta; tuttavia una disputa dottrinale sulla correttezza teologica delle motivazioni con cui il protagonista ha motivato la sua presa di posizione doveva trovare posto nella storia, tanto più che il gesuita viene persino convocato in udienza privata dal papa, che però si limita a non essere d’accordo e ad amministrare la sua scomunica, senza motivarla con qualcosa di più di un «Roma lucuta, causa soluta».
E così il lettore, che si aspettava (e si meritava) un po’ di ciccia, rimane con un pugno di mosche.
La prima parte: i lithiani, il popolo senza peccato
L’elemento di interesse ruota dunque attorno alla razza aliena dei lithiani (dal nome del pianeta, Lithia, così chiamato dai terrestri perché è ricco di rocce), un popolo di rettili umanoidi alti quattro metri: buoni di indole e pacifici, ignorano praticamente tutto ciò che dà sapore alla vita umana. Non conoscono invidia, odio, amore, dubbi, indecisioni, emozioni. Intelligentissimi e velocissimi ad apprendere, non hanno bisogno di leggi perché rispettano d’istinto la legge naturale. Non conoscono l’avidità perché non hanno denaro, non hanno mai avuto una guerra perché formano un unico popolo e di conseguenza hanno un’unica lingua. Sono pure molto progrediti nella scienza, almeno in quelle discipline che il loro ambiente naturale, povero di metalli, ha permesso loro di approfondire: ma con l’aiuto dei terrestri hanno già fatto passi da giganti in molti campi di cui ignoravano l’esistenza. In altre parole, sembrano il popolo perfetto.
Tuttavia non conoscono l’arte, la religione e non hanno altri legami che l’amicizia, perché sul pianeta non esiste il concetto di famiglia: sono la gestazione, la nascita ed il primo sviluppo stessi dei piccoli lithiani a rendere impossibile anche solo il concetto di una famiglia.
Quattro terrestri, tutti scienziati, sono stati mandati dalla terra per studiare il lontano pianeta da poco scoperto e vedere come si può sfruttare: devono raccogliere informazioni per poi fornire un parere alla terra che permetta di decidere se annetterlo, sfruttarlo, metterlo in quarantena o chiuderlo definitivamente ai contatti con l’uomo, secondo una procedura già adottata altrove.
Uno dei quattro, un gesuita, viene preso da una crisi di coscienza dopo una chiacchierata con un suo amico lithiano proprio all’ultimo giorno di soggiorno: si rende conto infatti che gli alieni sembrano sì perfetti ma in realtà lo sono solo perché sono privi di libero arbitrio. In altre parole, non hanno dubbi né indecisioni perché non conoscono il male e quindi non possono scegliere tra il bene ed il male. Si convince così che tutto il pianeta sia una messinscena, una trappola ordita dal diavolo per tirare un brutto scherzo agli umani: eppure il diavolo non sa creare, può solo corrompere. Quindi ammettere che il pianeta e i suoi abitanti siano stati creati dal diavolo significa cadere in eresia perché è un concetto manicheista respinto con energia dalla Chiesa in quanto ereticale.
Così, contrariamente a quanto aveva ritenuto fino a quel momento e a quanto credevano i suoi colleghi, il gesuita vota per chiudere il pianeta e metterlo sotto quarantena permanente.
E fin qui la storia è grandiosa: affronta con competenza un argomento teologico affascinante e crea un problema teorico del quale si desidera conoscere non tanto la soluzione quanto il ragionamento che la precede. E ci si illude che questa disputa teologica troverà posto nella restante metà del libro: ma, ahimè, la storia sta per prendere tutta un’altra strada.
Infatti, nonostante le apparenze, la storia non vuole parlare di religione.
La seconda parte: iniziano i problemi
Al momento della partenza l’amico lithiano del gesuita dona allo scienziato terrestre un’anfora al cui interno ha posto l’uovo fecondato di suo figlio, che si schiuderà al suo arrivo sulla terra: e qui iniziano i primi problemi, perché non c’era bisogno di questo regalo. È ovvio che il figlio del lithiano crescerà male e diventerà uno spostato, perché si troverà su un pianeta che non è il suo, in mezzo ad un popolo che non è il suo, costretto a convivere con costumi che non sono i suoi: se i lithiani fossero davvero così intelligenti come era stato detto fino alla pagina precedente, avrebbero dovuto capire da soli che cosa sarebbe successo, che era una cattiva idea. E così si fa strada un brutto presentimento: che la storia stia per deragliare.
Giunto sulla terra, in pochi mesi il lithiano nasce, si sviluppa e cresce sino alla piena maturità: in breve diventa un beatnik disgustato da tutto ed un personaggio televisivo di successo, seguito devotamente da almeno un terzo della popolazione. Questo suo seguito devoto è composto in buona parte di giovanissimi violenti e arrabbiati, che il lithiano – ben diverso dai suoi simili come li avevamo conosciuti su Lithia – incita alla ribellione aperta: infatti prova rabbia per l’uomo, di cui coglie il tocco corruttore.
Ma le autorità (la malvagia Onu, che nei decenni precedenti ha sfruttato la paura della guerra atomica per aumentare la sua influenza, togliere il potere agli stati ed accentrarlo sotto la sua autorità dispotica: come risultato, i terrestri adesso vivono sottoterra come schiavi; elite escluse, ovviamente) non sono preoccupate tanto dalla ribellione che fermenta e poi scoppia quanto da aspetti amministrativi come la naturalizzazione del lithiano.
La disputa teologica mancata
A questo punto la trama ha già iniziato a fare acqua: ma si continua a confidare nell’approfondimento sulla diabolica origine dei lithiani, così ci si illude che nelle pagine restanti – che non sono più molte ma sarebbero ancora sufficienti – finalmente questo dubbio venga chiarito.
E ci si va anche vicini,. perché ad un certo punto il gesuita viene finalmente convocato dal papa: ma non per quello che ci si aspetta bensì solo per essere scomunicato per eresia, per aver sostenuto che Lithia e i lithiani sono creature del diavolo. Senza possibilità di spiegazione, senza possibilità di ritrattazione: e soprattutto senza l’atteso dibattito dottrinale, che sarebbe stato il cardine della storia.
Senza questo scontro crolla tutta l’impalcatura: perché c’è una tesi che non viene confutata ma solo respinta a priori. E non è tanto l’esito di questa divergenza dottrinale ad interessare quanto invece le motivazioni teologiche che giustificano l’una o l’altra tesi, cioè se l’origine di Lithia e dei lithiani sia davvero diabolica come sostiene il gesuita oppure…divina? naturale? evolutiva? come invece sottintende la scomunica. Che così suona come un artificio da parte dell’autore per chiudere la storia senza entrare in un campo minato.
Tuttavia la scomunica impartita al gesuita è a mezzo servizio, perché subito dopo il papa lo definisce «la spada di San Michele» (un appellativo che suggerirebbe una comunione di vedute col protagonista: nell’iconografia Michele è l’arcangelo che sconfigge il diavolo) e lega il suo futuro ad un esorcismo che l’ormai ex sacerdote avrebbe dovuto fare sul pianeta prima di partire, non appena gli era sorto il dubbio che il diavolo ci avesse messo la coda.
E così sfuma ogni speranza di disputa teologica. Ma a questo punto il libro ha proprio fatto naufragio.
Fine di un pianeta
Alla fine, dopo diversi eventi ininfluenti per l’esito della storia, il lithiano sale da clandestino su un’astronave diretta a Lithia, dove i terrestri hanno avviato un’opera di disboscamento e distruzione dell’ambiente naturale per costruire un arsenale atomico, il progetto sostenuto all’inizio da un altro dei quattro scienziati: mentre i protagonisti rimasti sulla terra osservano il pianeta attraverso un telescopio capace di mostrare i corpi celesti in diretta, come sono adesso e non come erano nel passato, il gesuita compie il suo esorcismo. Che coincide col momento in cui viene avviato un certo esperimento dei terrestri sul pianeta: in quella, Lithia esplode, perché era ricco di certe sostanze instabili che il laboratorio atomico ha attivato.
Fine della storia: al lettore rimane il dubbio se sia stato per effetto dell’esorcismo (perché il pianeta era davvero una creazione del diavolo) o se invece sia esploso a causa dell’esperimento fallito. Non viene detto esplicitamente, ma tutto lascia credere che sia stato per ragioni più fisiche che teologiche.
E così si rimane a bocca asciutta, perché il libro illude e promette molto più di quanto mantenga.
Una storia priva di identità
Ciò che disturba di «Guerra al grande nulla» è l’assenza di una disputa teologica sulla natura dei lithiani, dopo che proprio questo dubbio aveva stuzzicato la curiosità: le conclusioni sono lasciate al lettore, com’è giusto che sia, ma si ha l’impressione che non siano state fornite tutte le informazioni necessarie per formarsi un’opinione propria. Infatti vengono presentate le tesi a favore dell’origine diabolica del pianeta ma quali sono le tesi contrarie?
L’idea di un popolo così puro che non solo non conosce il male ma non è nemmeno in grado di concepirlo è un interessante problema teologico ed è adattissimo alla fantascienza, che può muoversi con molta più libertà delle scienze umane o naturali: ed infatti nell’area anglosassone si parla anche di «speculative fiction». Proprio per questa sua sfumatura speculativa, nel libro ci si aspetterebbe un’ampia disquisizione sull’argomento chiave della storia, non il salto improvviso dall’enunciazione delle premesse ad una conclusione che le rifiuta in pieno, senza tutto ciò che sta in mezzo. Viene da pensare che se Blish ha creato un pianeta ed una razza aliena con queste caratteristiche doveva anche avere in mente una ragione particolare: ed il dibattito mancato sulla natura dei lithiani parrebbe la motivazione più probabile.
Ma, dal momento che nel libro non è incluso questo momento culminante, la storia rimane solo una generica presa di coscienza sul male connaturato all’uomo: accusiamo il buon selvaggio di essere una creatura del diavolo senza renderci conto che invece siamo noi i veri demoni che corrompono tutto quello che toccano, come dimostra lo scempio compiuto sul pianeta vergine che era Lithia sino alla sua completa distruzione.
Ma è una conclusione piuttosto scontata, così noiosa e fiacca che non giustifica nemmeno la gran fatica necessaria a rendere appena accettabile la premessa della purezza d’animo degli alieni: ne esce così un libro a doppia velocità, che non sa bene cosa voglia essere. Forse per questo il titolo originale è più adatto, perché già allude alla crisi di coscienza di una storia priva di identità.
Diciamo che il dibattito teologico sarebbe interessante e non poco. Le opzioni sono due: o si tratta di creature sante create da Dio, come l’uomo era inizialmente, e che quindi non hanno conosciuto il peccato originale né la caduta che da esso ne consegue, o appunto di un inganno. Diciamo che allo stesso tempo non ha senso che siano un inganno diabolico perché appunto il demonio non può creare, ma è anche vero che non sono dei santi altrimenti saprebbero dell’esistenza di Dio, o, anche se fossero nell’ “innocenza” e non lo sapessero (cosa assai improbabile), comunque avrebbero probabilmente rapporti più emotivi tra di loro (sono creature fisiche come gli umani e non angeli, vedo improbabile che siano naturalmente senza emozioni e/o sentimenti ad eccezione delle amicizie), e sicuramente, se fossero dei santi, non disprezzerebbero gli uomini perché peccatori ma ne avrebbero compassione, disprezzando e odiando solo il peccato in sé. Un vero peccato che non ci sia un dibattito teologico nel libro, ma forse è meglio non scriverlo che scriverlo male, e come si vede in un caso come questo c’è non poco dubbio su come ammettere teologicamente l’esistenza dei Lithiani. Questo è quanto direi leggendo questa recensione (grazie di averla scritta, ne cercavo una che fosse un minimo dettagliata). Forse comprerò il libro e lo leggerò, ma devo ancora decidere