Anche se può sembrare una semplificazione esagerata, «Gli Asutra» di Jack Vance, terzo libro del ciclo di Durdane (The Asutra, 1973), non c’entra quasi niente con i precedenti due episodi, «Il mondo di Durdane» e «Il popolo di Durdane»: ricicla semplicemente il protagonista ed alcuni elementi e li incastra a martellate in una trama che, pur collegata in modo grossolano agli eventi iniziali, è così diversa per tono e contenuti da sembrare un’altra storia.
In altre parole, è la deludente conclusione di un ciclo deludente.
Cambia il tono, lo stile, l’ambientazione
Pubblicato in due puntate nel maggio e giugno 1973 sul Magazine of Fantasy and Science Fiction, la stessa rivista sulla quale già erano usciti i due precedenti episodi e poi l’anno seguente in volume, «Gli Asutra» è dunque il terzo e ultimo libro della serie di Durdane, che era iniziata in un cantone del piccolo stato dello Shant sul pianeta Durdane, appunto, ed ora si sposta dapprima sullo sconfinato continente di Caraz e poi addirittura nello spazio: idealmente vorrebbe mostrare la maturazione del protagonista, Gastel Etwane, che da bambino sveglio e ribelle diventa un adulto così sveglio da attuare la ribellione e poi un uomo stanco e svuotato ma ancora sveglio e sempre animato dal fuoco della ribellione. La storia però è narrata in maniera tale per cui il Gastel Etzwane di questo volume sembra un’altra persona rispetto al Gastel Etzwane dei precedenti due: viene mostrato subito molto più cupo, amareggiato e melanconico e poi, alla fine, addirittura completamente deluso, senz’altro dagli amici (o da coloro che riteneva tali) e forse anche dalla vita.
Questo libro stacca dai precedenti anche per tono e ambientazione. Per più di metà volume narra infatti una specie di «travelogue» del vastissimo e in buona parte sconosciuto continente del Caraz, che ricorda le analoghe descrizioni già incontrate nel «Pianeta Tschai», pubblicato pochi anni prima: per l’asprezza dell’ambiente e la povertà dei suoi abitanti, Caraz stesso pare uno dei continenti di quel pianeta, il Kachan (dove vivono i Wankh e in particolare i Lokhar), mescolato con elementi del Kislovan infestato dai Dirdir. Così, se lo Shant era la tipica ambientazione vanciana a cavallo tra fantasy e fantascienza, dove una tecnologia rudimentale convive con una società ancora primitiva, il Caraz è invece decisamente fantasy perché è solo selvaggio e primitivo, senza nemmeno una traccia di tecnologia.
Eppure, come si diceva negli articoli dedicati ai precedenti episodi, questa è anche una delle serie più fantascientifiche di Vance, perché affronta temi tipici della fantascienza che però sono insoliti nelle opere del californiano: ad esempio, l’invasione aliena di un mondo umano; il rapimento degli umani ad opera degli alieni per farne schiavi sotto il controllo di un simbionte; la presenza di astronavi e macchine belliche avanzatissime; e anche lo stesso conflitto planetario tra diverse fazioni aliene, con l’intervento fuori scena della terra. Si tratta, è vero, di temi incontrati saltuariamente anche in altre opere di Vance – come ad esempio nei «Signori dei draghi», l’esempio emblematico – ma mentre in quelle sono l’elemento chiave della storia, per arrivare ad un certo messaggio, in questa sono solo parte marginale di una trama che si sviluppa lentamente, quasi un ripensamento dell’ultimo momento.
Gastel Etzwane non è un eroe positivo
Il guaio è che in questo modo – col cambio improvviso di tono, stile e ambientazione – tutto il resto passa in secondo piano: la ribellione di Etzwane, che prima abbatte l’Anome per prenderne il posto e poi per capriccio abdica per installare una specie di governo repubblicano dal quale pure infine si dimette, è dimenticata. E anche la recente liberazione della popolazione dal torc (il collare esplosivo) non è né mostrata né celebrata come ci potrebbe aspettare, ed è anzi motivo di nuove lagnanze: perché, come sottolinea una delle figure quasi positive della storia, il taverniere Fontenay, i nuovi politicanti appena spuntati «ci hanno oppressi con nuove tasse» e «vogliono farmi pagare la libertà. Che cos’è meglio: la sottomissione a buon mercato, o l’indipendenza a caro prezzo?». Bella domanda, ma retorica: perché se è vero che il popolino è sempre insoddisfatto è anche vero il nuovo regime non ha perso tempo a far rimpiangere il precedente.
Così, per soddisfare un suo capriccio, la sua sete di vendetta, Etzwane ha abbattuto un governo oppressivo che funzionava e l’ha sostituito con un altro altrettanto oppressivo ma avido e inetto: l’unica differenza è che la popolazione ora non rischia più di morire all’improvviso per l’esplosione del torc ma solo dopo lungo travaglio per le ristrettezze causate dall’aumento della pressione fiscale («oppressione» sarebbe un termine più appropriato).
Ma come Nerone davanti a Roma che brucia – e alla quale lui stesso ha dato fuoco – Etzwane preferisce tornare a suonare come un vagabondo spensierato, abbandonando lo Shant a se stesso in mezzo ai problemi che lui stesso ha causato: e questo sarebbe il nostro eroe positivo, un eroe incapace di vedere più in là del proprio naso. Da un Cugel, l’egoista e non tanto «astuto» protagonista di due deludenti seguiti della «Terra morente», ci si potrebbe aspettare un simile comportamento: ma da Etzwane, che nei primi due episodi era stato dipinto come un uomo tutto d’un pezzo, ci si aspetterebbe maggiore interesse per un governo di riforme che, in definitiva, è una sua creatura.
E anche questo contribuisce a creare l’impressione di quello scollamento tra i primi due libri e questo, perché nonostante il nome dei personaggi, i riferimenti saltuari a certi eventi e più in generale una certa apparenza i pezzi non combaciano più, sono due frammenti di due storie simili ma non della stessa: e così la vera storia, quella dalla quale tutto era cominciato, rimane a metà, incompiuta.
Perché nonostante l’età e le esperienze che ha vissuto Etzwane è ancora un bambino capriccioso.
Sviluppi scollegati dal resto della storia
Stanco e amareggiato, dopo la sconfitta dei Rogushkoi a Palasedra Gastel Etzwane si dimette dal consiglio di ispirazione repubblicana che ha installato nello Shant e torna a suonare: ma alla taverna di Fontenay dov’era solito esibirsi si imbatte nuovamente in Ifness, l’agente della terra, col quale stringe un patto per indagare sull’origine extraplanetaria degli Asutra, i crostacei simbionti che prendono il controllo degli schiavi ai quali si attaccano fisicamente.
L’indagine porta i due sull’immenso, primitivo e in gran parte inesplorato continente di Caraz, grande una ventina di volte lo Shant: qui le indagini portano il duo molto all’interno, in una zona infestata dai mercanti di schiavi. Pare infatti che uno di essi in particolare, Hozman Maldigola, abbia in mano il monopolio di questo losco traffico: per una serie di eventi fortuiti, Etzwane riesce a catturare il mercante e lo costringe a confessare. Così Hozman confessa di lavorare per una razza di alieni e di condurre gli schiavi catturati a bordo di astronavi, che li conducono poi verso altri mondi.
Etzwane decide quindi di abbordare con l’inganno uno di questi trasporti ma, dopo aver preso il controllo dell’astronave madre, si trova poi prigioniero al suo interno, perché non sa pilotarla: così settimane più tardi è costretto ad arrendersi ad un nuovo equipaggio che, ignorando il protagonista, sale a bordo per portarla a Kahei, il pianeta natale degli alieni, dove Etzwane viene ridotto in schiavitù assieme agli altri prigionieri.
Dopo questa fantozzata il nostro eroe si mette buono: nelle svariate decine di pagine seguenti succedono diverse cose ma tutte di scarsissima rilevanza ed utili solo ad allungare il libro e preparare il suo epilogo. Perché ad un certo punto i prigionieri umani vengono mandati a rintuzzare un tentativo di invasione da parte di un’altra fazione aliena: e solo nelle ultime pagine verrà finalmente gettata un po’ di luce sull’intricata vicenda.
Etzwane infatti è schiavo degli Asutra di Kahei – o, meglio, dei Ka – che sono in guerra da lunghissimo tempo con un’altra fazione di Asutra ribelli: il campo di battaglia indiretto è proprio Durdane. Un tempo infatti i Ka – i ciclopi umanoidi indigeni di Kahei – erano gli schiavi degli Asutra: ma col tempo i ruoli si sono invertiti, finché ad un certo punto i Ka sono diventati la parte dominante della relazione simbiotica. Così è scoppiata una guerra tra i Ka e gli Asutra, che sono stati sconfitti: non si può evitare di notare che, nonostante la vittoria, ancora oggi i Ka continuano a portare gli Asutra al collo, proprio come gli shantiani portavano il torc.
Dopo la sconfitta, una parte dei crostacei però è riuscita a fuggire e ha trovato nuovi ospiti adatti alla simbiosi negli umani di Durdane, che hanno iniziato a rapire per trasformarli in schiavi. Così in seguito hanno raggiunto il pianeta anche i Ka, che vi hanno poi riversato le orde di Rogushkoi come arma biologica per sterminare gli umani e quindi eliminare la nuova fonte di ospiti degli Asutra ribelli: tanto gli uni quanto gli altri però continuavano a rapire gli umani da ridurre in schiavitù. E proprio un esercito formato da schiavi umani, tra i quali anche Etzwane, viene mandato dai Ka a fronteggiare un attacco degli Asutra ribelli: ma, ribellatosi anche ai padroni, alla fine della battaglia Etzwane guida gli umani alla conquista di un disco volante dei Ka col quale tornare a casa.
Solo che nel frattempo e fuori scena la terra, su istigazione di Ifness (che non era salito a bordo del trasporto assieme ad Etzwane per andare invece a riferire ai suoi superiori), ha già sconfitto la flotta dei Ka e li ha obbligati a riportare a casa tutti gli schiavi catturati su Durdane: perciò anche questa piccola vittoria di Etzwane è priva di valore, perché la situazione era già stata risolta da altri.
E così, con un ultimo incontro pieno di risentimento alla taverna di Fontenay nella città di Garwiy, la capitale dello Shant, si conclude la storia: e l’insoddisfatto Etzwane, che è stato abbandonato da Ifness per l’ultima volta, pare ormai avviato a diventare un ospite abituale delle bettole a causa dell’amarezza che cova in petto.
Una storia che non sta in piedi
È difficile pensare che questo volume sia davvero collegato ai due precedenti, perché cambia tutto rispetto all’ambientazione, al tono e a ciò che era stato stabilito sinora: anche solo la storia degli Asutra fatica ad avere un senso e riduce quella che pareva una minaccia universale – e aveva rischiato di cancellare lo Shant (ma stranamente non il Caraz) – ad una scaramuccia, un piccolo fastidio localizzato.
Infatti, mentre nei volumi precedenti gli Asutra sembravano molto più aggressivi e prendevano il controllo degli ospiti umani penetrando nel loro corpo e di fatto uccidendoli, ora non solo si disinteressano degli umani – continuano a preferire i Ka come ospiti – ma non ne causano neppure la morte, perché possono essere separati senza nemmeno causare problemi al sistema nervoso dell’ospite: tra l’altro, vale la pena ricordare che nel precedente volume gli Asutra potevano essere staccati solo con un intervento chirurgico che portava alla morte sicura dell’ospite (si pensi a Finnerack), che era già stato ucciso come essere umano nel momento in cui la creatura era entrata nel suo corpo e si era collegata al suo sistema nervoso.
E lo stravolgimento di tutto ciò che era stato definito in precedenza non finisce qui, perché ora si sono persino invertite le parti: in questo volume conclusivo infatti si scopre che gli Asutra sono in realtà la metà sfruttata nella simbiosi con gli umanoidi, ormai trasformati quasi in un’unità di calcolo espandibile o sostituibile come la ram di un computer. Lo scontro tra le due fazioni aliene che ne deriva è una sottotrama affascinante, che avrebbe meritato molto più spazio, ma così com’è presentata – spunta solo nell’ultima parte dell’ultimo volume e viene spiegata solo a grandi linee – sembra quasi un ripensamento o un espediente scovato all’ultimo momento per dare una spiegazione e soprattutto trovare una via d’uscita all’intera vicenda.
Un primo indizio di questo scollamento arriva proprio dal titolo del libro, che non sembra nemmeno far parte della stessa serie alla quale appartengono i due precedenti episodi: infatti adesso non solo manca ogni aggettivo ma non c’è nemmeno più alcun riferimento all’«uomo» o agli «uomini». Adesso sono solo «Gli Asutra», come se si trattasse di tutta un’altra storia.
Per quanto ami Vance ed apprezzi le sue opere, non posso fare a meno di trovare sgradevole una serie che di punto in bianco cambia le carte in tavola e continua a stravolgere gli elementi su cui aveva fondato le premesse: è peggio anche di certi romanzi gialli alla Christie, quando l’investigatore risolve il caso perché è a conoscenza di elementi chiave che erano stati taciuti al lettore. In quelli almeno la storia è coerente, cosa che purtroppo non si può dire del ciclo di Durdane: certo, qua e là affiorano delle buone idee – si tratta sempre di una serie scritta da Vance, uno degli autori più creativi della vecchia fantascienza – ma queste idee sono spesso in contraddizione tra loro, con l’effetto di mettere assieme una storia che proprio non sta in piedi.
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