Libri

Charles L. Harness – La finestra su Araqnia

Non c’è dubbio che l’argomento preferito di Charles L. Harness fossero i viaggi nel tempo: questa è infatti l’idea alla base di quasi tutti i suoi libri, come «Astronave senza tempo» (Firebird, 1981), «Paradosso cosmico» (The Paradox Men, 1953) e «La legge della creazione» (The Ring of Ritornel, 1968), anche se quest’ultimo li affronta con una variazione alla «Ricomincio da capo» (il film). E così pure il racconto «The Araqnid Window» (1974, mai tradotto in italiano) trova in un paradosso da viaggio nel tempo la spiegazione al mistero inspiegabile che è al centro della storia: la scomparsa improvvisa ed immotivata di una razza aliena superevoluta quando sulla terra era ancora l’età del bronzo.

I ragni alieni estinti da tremila anni
Pubblicato sul numero di dicembre 1974 di Amazing e poi da allora solo nelle varie ristampe dell’antologia che raccoglie i migliori racconti di Harness, «The Araqnid Window» è un racconto ingiustamente dimenticato, perché pur senza essere un capolavoro di innovazione o creatività racconta una bella storia con abbastanza idee ed abbastanza elaborate per renderlo gradevole: inizia infatti come una storia di archeologia spaziale – di quella vera, sul campo, con picconi e badili – e poi presto si tramuta in un racconto d’avventura e mistero, con una missione di salvataggio condotta nelle rovine aliene, che poi è un filone parallelo a quello di partenza.
Nel prossimo futuro (è il 2177), un professore universitario settantenne ha dedicato gran parte della vita allo studio di una civiltà aliena scomparsa da circa tremila anni: sono gli Araqnidi del pianeta Ferria, che avevano sviluppato una civiltà spaziale e, attorno al novecento avanti Cristo, dovrebbero essere arrivati persino sulla terra, salvo poi scomparire improvvisamente subito dopo, senza lasciare traccia. E la cosa non si spiega, perché una civiltà così evoluta, capace di raggiungere le stelle e quindi di fondare colonie su altri pianeti, non svanisce all’improvviso.
Come suggerisce il nome, si sa che gli Araqnidi erano simili ai ragni e che probabilmente avevano anche dei tentacoli ma non si è mai trovata una loro raffigurazione, per cui tutto ciò che li riguarda è ancora una speculazione. Anche la loro storia è ancora per lo più oscura, anche se pare che ad un certo punto della loro evoluzione abbiano soggiogato un’altra razza bipede, i Llanoani, con la quale hanno instaurato una relazione simbionte (da dominatore a dominato), sul modello dei kaldane del romanzo «Le pedine di Marte» di Edgar Rice Burroughs, sui quali paiono essere stati modellati.
Nel tempo questa simbiosi ha portato alla perdita di alcune funzioni degli Araqnidi, come l’apparato digerente e i mezzi di locomozione. In pratica, salivano sul dorso dei bipedi, affondavano uno o più tentacoli nella spina dorsale delle loro cavalcature e così ne controllavano ogni movimento: ed intanto traevano nutrimento dal loro sangue. È stato solo dopo l’asservimento di questa razza che gli Araqnidi si sarebbero evoluti rapidamente da una civiltà sostanzialmente arretrata ad una razza di viaggiatori delle stelle.

Il rapimento che porta alla grande scoperta
Su Ferria il professore sta dunque dirigendo un campo di scavi archeologici con un gruppo di studenti universitari: è la sua ultima occasione di raggiungere il suo obiettivo e soprattutto la notorietà alla quale ambisce, perché l’università non ha intenzione di prolungargli il contratto a causa dell’età avanzata e per la stessa ragione nessun’altra fondazione o istituzione è disposta a dargli credito.
Tra i suoi studenti c’è un certo Thorin che, suo malgrado, continua a combinare piccoli disastri negli scavi: rompe un vasetto qui, abbatte un muricciolo lì, ora scava troppo a fondo una buca e così via. Un po’ per dileggio e un po’ punizione, quando successivamente gli studenti vengono dislocati in varie zone del pianeta per ampliare le possibilità di scoprire le rovine della città di Araqnia che stanno cercando, Thorin e la moglie Coret vengono assegnati ad una foresta rigogliosa, dove entrambi capiscono che è impossibile fare la grande scoperta: però almeno il luogo è ameno, con un bel laghetto vicino al campo.
Il giorno successivo all’arrivo, di mattina presto, Coret va a fare il bagno nel laghetto, poi lancia un grido e fugge senza ragione nel folto della foresta: balzando fuori della tenda, Thorin la scorge mentre si allontana con qualcosa sulle spalle. Coret è stata infatti aggredita da una creatura che ne ha preso il controllo e la sta guidando nella sua tana: è l’ultimo Araqnide in vita, il decimo dei dieci custodi, che aveva il compito di proteggere la sua civiltà dal «Distruttore», sul quale tornerò più avanti.
Raccolto al volo il suo zaino di emergenza, Thorin si lancia all’inseguimento, che occupa quasi i tre quarti della storia: attraversa una rete di corridoi scavati sottoterra, nei quali riesce via via a districarsi e a trovare sempre la strada giusta solo grazie alle apparecchiature che porta nello zaino (e che il giorno prima il professore aveva dileggiato ritenendole superflue per un archeologo), perché il ragnaccio è furbo e semina un sacco di false piste.
I corridoi sono pieni di ragnatele, che servono per tutto quello per cui solitamente servono le ragnatele più molto altro ancora: perché il filo appiccicoso di cui sono intessute è anche una specie di sistema nervoso che gli Araqnidi possono controllare ed eventualmente disattivare brevemente col semplice contatto dei loro tentacoli, così da permettere alle loro cavalcature (Coret in questo caso) di correre nei corridoi senza restare attaccati alle ragnatele. Thorin invece riesce a proteggersi perché indossa il suo impermeabile, che è trattato con certe sostanze chimiche che lo rendono impervio alla viscosità delle ragnatele.

La finestra sul passato
Dopo più di venti ore di inseguimento finalmente Thorin raggiunge il cuore di questo complesso sotterraneo, che è una stanza delle meraviglie, con libri e apparecchiature varie disseminate qua e là. E su una parete compare anche una finestra che si apre su una città Araqnide piena di vita: il protagonista comprende che si tratta di una finestra sul passato, una sorta di tunnel temporale che collega l’oggi all’Araqnia di tremila anni prima; e comprende anche che superare quella finestra è pericoloso, perché probabilmente è a senso unico e non permette di tornare indietro, così si avvicina per dare un’occhiata ma non la supera.
Dopo ulteriori vicende, Thorin riesce finalmente a raggiungere la moglie e l’Araqnide, semplicemente cadendo nella trappola di quest’ultimo: ma poi riesce a girare la situazione a suo vantaggio, perché trova il modo di invertire la polarità delle ragnatele. Così quando la moglie, sotto l’influenza dell’alieno, arriva di corsa per l’affondo finale, invece di scostarsi le ragnatele si attaccano ai tentacoli dell’Araqnide, che non se l’aspettava: per l’inerzia della corsa, i tentacoli vengono strappati via dal corpo del custode, che invece era rimasto ancorato al dorso di Coret. E così l’alieno muore.
Negli sviluppi seguenti, la sala viene saccheggiata dei suoi tesori: ed il professore, che dovrebbe essere raggiante perché ha finalmente realizzato la ragione della sua vita, è invece deluso, perché anche l’ultima istituzione gli ha appena comunicato che, sempre a causa dell’età, non è interessata alla sua consulenza per studiare le rovine e la conoscenza degli Araqnidi appena recuperata.

Fine di una civiltà di conquistatori
E così si torna al custode e al Distruttore, che raccoglie tutti i fili (per lo più figurati) e spiega la ragione dell’improvvisa fine della civiltà Araqnide: questa sala era stata costruita dagli ultimi e morenti alieni per proteggere l’Araqnia del passato dal Distruttore, del quale si sapeva solo che sarebbe arrivato dal futuro di tremila anni più tardi. La finestra serviva per attirarlo in trappola e distruggerlo a vista, perché una telecamera analizzava tutti coloro che le si avvicinavano e avrebbe riconosciuto il nemico di Araqnia: ma, avvicinandosi alla finestra la prima volta, Thorin aveva disattivato quella telecamera.
Ed infatti i ragnacci non si erano sbagliati: il Distruttore è proprio il professore, che si è appena preso un bel raffreddore. Condotto nella sala da Thorin e affascinato dalla scena che vede attraverso il vetro, l’uomo di scienza si avvicina alla finestra e la attraversa, rimanendo così imprigionato nel passato: e subito dopo viene catturato dagli Araqnidi e portato via.
Si scopre così quello che già si stava sospettando: è stato proprio il raffreddore del professore a sterminare gli alieni, quasi dal giorno alla notte. Questo complesso era stato costruito proprio per proteggere il passato dalla minaccia del futuro: l’Araqnide che aveva aggredito Coret era l’ultimo dei custodi fatti nascere a distanza di trecento anni l’uno dall’altro proprio con lo scopo di assicurarsi che la trappola funzionasse. Curioso notare che, come sempre, è proprio colui che dovrebbe proteggere la sua civiltà a determinarne invece il crollo con le sue azioni: perché se l’alieno non avesse aggredito Coret nessuno avrebbe mai scoperto la finestra sul passato e quindi il professore non avrebbe mai raggiunto l’Araqnia del passato. Che – ma anche questo già lo si sospettava – si stava preparando ad invadere in forze la terra: i quattrocento tumuli disposti in bell’ordine (venti per venti) su uno spiazzo vicino agli scavi di cui si parla all’inizio sono infatti i resti di altrettante astronavi che di lì a poco sarebbero dovute decollare per prendere possesso del nostro pianeta, che all’epoca si trovava ancora all’età del bronzo.
Quindi il professore che voleva salvare la memoria degli Araqnidi li ha in realtà condannati all’estinzione ma così ha salvato l’umanità: ed i suoi studenti, riconoscenti, si mettono all’opera per dedicargli almeno una statua all’ingresso del complesso.
Ma adesso è venuto il momento dell’uomo di conquistare le stelle: perché grazie a Coret tutta la conoscenza degli Araqnidi, incluso il segreto dell’antigravità, è a disposizione dell’umanità. Quando infatti il mostro aveva preso il controllo della sua mente, la donna e l’alieno avevano anche immediatamente condiviso le conoscenze l’una dell’altro: così ora Coret sa leggere la lingua Araqnide e ne conosce la storia e ogni altra informazione.
E questo sarà proprio l’argomento della sua tesi di laurea.

Scrivi qui il tuo commento